Inammissibilità dell’impugnazione per mancata produzione dell'avviso di ricevimento

Ignazio Gennaro
16 Dicembre 2015

In tema di appello dinnanzi alla Commissione Tributaria Regionale notificato a mezzo del servizio postale, i Giudici della Suprema Corte stabiliscono che laddove l'appellato non si costituisca, la mancata produzione dell'avviso di ricevimento determina in modo istantaneo ed irretrattabile la inammissibilità dell'impugnazione.
Massima

In tema di appello dinnanzi alla Commissione Tributaria Regionale notificato a mezzo servizio postale, qualora l'appellato non si costituisca, la mancata produzione dell'avviso di ricevimento determina in modo istantaneo ed irretrattabile la inammissibilità dell'impugnazione nonché il consolidamento del diritto della controparte a tale declaratoria.

Né può essere accolta l'istanza di mero rinvio formulata dalla parte impugnante al fine di provvedere al deposito dell'avviso di ricevimento, tranne che l'appellante non offra la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all'Amministrazione postale un duplicato dell'avviso stesso, ciò in quanto il differimento d'udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio della ragionevole durata del processo stabilito dall'art. 111 della Costituzione.

Il caso

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma annullava un avviso di accertamento emesso dall'Amministrazione Finanziaria e notificato ad una società a r.l. per il recupero di imposte dirette ed IVA relative all'anno 1998. In data 23 luglio 2007, l'Agenzia delle Entrate presentava appello, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio avverso tale sentenza.

Circa un anno e mezzo dopo, il 9 gennaio 2009 a ridosso dell'udienza di trattazione già fissata per il successivo 21 gennaio 2009, la società a r.l. faceva pervenire alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio ed all'Agenzia delle Entrate appellante una lettera con la quale comunicava di “non aver mai ricevuto la notificazione dell'appello”.

L'agenzia delle Entrate il 19 gennaio 2009 avanzava istanza di rinvio dell'udienza al fine di potersi procurare presso l'Amministrazione postale la copia dell'avviso di ricevimento comprovante il perfezionamento dell'impugnazione che, a dire dell'Agenzia “non era ancora stato restituito dall'Ufficio postale”.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza del 18 febbraio 2009, dichiarava inammissibile l'appello rilevando che “è dovere dell'Ufficio impugnante accertare, una volta presentato l'appello, che tutte le formalità richieste siano state esperite secondo legge, cosa che nella specie non è avvenuta”.

Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate, rappresentata dall'Avvocatura dello Stato, proponeva ricorso per Cassazione denunciando la “violazione e/o falsa applicazione dell'art. 184-bis c.p.c. e dell'art. 6 della Legge n. 890 del 1982, in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.”.

L'Avvocatura lamentava che il giudice di appello aveva errato “nel negare il richiesto differimento per la produzione di un avviso di ricevimento non restituito dall'Ufficio Postale del quale è già stato richiesto il duplicato” ed inoltre che “in caso di mancata produzione dell'avviso di ricevimento ed in assenza di attività difensiva della controparte, l'impugnazione è si inammissibile, ma non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione, tuttavia il difensore della parte impugnante può domandare di essere rimesso in termini ai sensi dell'art. 184 c.p.c.”. L'Agenzia rilevava inoltre che il “duplo” dell'avviso di ricevimento era poi stato effettivamente trasmesso dalle Poste all'Agenzia delle Entrate il 31 gennaio 2009, ovvero dieci giorni dopo l'udienza.

La società a r.l. resisteva in giudizio depositando proprio controricorso argomentando che l'Agenzia delle Entrate sarebbe potuta sfuggire alla sanzione processuale della inammissibilità dell'appello soltanto “offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivata nel richiedere all'Amministrazione postale un duplicato dell'avviso”: cosa che nel caso di specie non era avvenuta in quanto l'Amministrazione Finanziaria si era attivata a richiedere all'ufficio postale la copia della ricevuta soltanto nell'immediata prossimità dell'udienza di trattazione, unicamente dopo la segnalazione scritta della società contribuente la quale rilevava di non aver ricevuto alcuna notifica e comunque diciotto mesi dopo la proposizione dell'appello.

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate e condannato la stessa alla spese di giudizio, statuendo che “nell'ipotesi di omessa produzione dell'avviso di ricevimento idoneo a comprovare il perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale, non può essere accolta l'istanza di mero rinvio, formulata dalla parte impugnante al fine di provvedere a tale deposito, poiché il differimento dell'udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo stabilito dall'art. 111 della Costituzione”.

A parere del Giudici di legittimità “l'omessa produzione determina in modo istantaneo ed irretrattabile l'effetto della inammissibilità dell'impugnazione nonché il consolidamento del diritto della controparte a tale declaratoria [...] il tutto è emendabile unicamente offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all'Amministrazione postale un duplicato dell'avviso".

La questione

La Corte, richiamando un precedente arresto di legittimità (Cass. SS.UU. del 12 maggio 2010, n. 11429) ha ritenuto che costituisce ius receptum il principio di diritto secondo cui, al fine del rispetto del termine per la proposizione del gravame è sufficiente che l'impugnante depositi la prova della consegna dell'atto all'agente notificatore, mentre la prova dell'avvenuto perfezionamento della notifica può essere data anche in un momento successivo, fino all'udienza di discussione.

Ad avviso del Collegio da ciò discende, “nel diritto vivente”, che “in caso di mancata produzione dell'avviso di ricevimento di attività da parte dell'intimato, l'impugnazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.”.

Nella statuizione in commento, citando un recente orientamento espresso in una pronuncia di legittimità (Cass. civ., 24 giugno 2011, n. 13923) si afferma che l'impugnante può si domandare di essere rimesso in termini ai sensi dell'art. 184 c.p.c. per il deposito dell'avviso di ricevimento non restituito, ma condizione che offra “la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all'amministrazione postale un duplicato dell'avviso stesso”.

Nella diversa ipotesi di omessa produzione dell'avviso di ricevimento “non può essere accolta l'istanza di mero rinvio, formulata dalla parte impugnante al fine di provvedere a tale deposito” in quanto il differimento dell'udienza si porrebbe in “manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo stabilito dall'art. 111 della Costituzione”.

Secondo i Magistrati di legittimità (che nel passaggio motivazionale richiamano una pronuncia della terza sezione della Suprema Corte, 28 aprile 2011, n. 9453) tale omessa produzione determina “in modo istantaneo ed irretrattabile l'effetto dell'inammissibilità dell'impugnazione nonchè il consolidamento del diritto della controparte a tale declaratoria”.

Afferma la Corte (richiamando una ancor più recente pronuncia cfr. 30 giugno 2014, n. 14780) che tale sanzione è emendabile esclusivamente offrendo “la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all'amministrazione postale un duplicato”: tale prova – viene osservato nella sentenza in commento - nel caso di specie difetta.

Osservano ancora i Giudici che l'Agenzia delle Entrate nella richiesta di differimento presentata alla Commissione Tributaria Regionale si era limitata a sostenere “di avere regolarmente spedito l'impugnazione senza che le sia stato restituito l'avviso di ricevimento” e che per tale motivo aveva chiesto “un rinvio per potere produrre la cartolina di ritorno o di essere rimesso in termini per potere rinotificare l'atto di appello”.

I Giudici della Corte proseguono affermando inoltre che da tale richiesta “non risulta se, come e quando l'Agenzia delle Entrate si sarebbe attivata nel richiedere all'Amministrazione postale il duplicato dell'avviso stesso. Anzi pare addirittura non contestato che ciò sia avvenuto dopo la segnalazione epistolare del contribuente”.

A conclusione delle proprie argomentazioni la Corte rileva che “l'agire del fisco è stato evidentemente intempestivo avendo atteso ben diciotto mesi dalla spedizione del 22 giugno 2007, prima di verificare la sorte del plico postale e di sincerarsi dell'effettivo perfezionamento della notificazione” e che non assume alcun rilievo la circostanza che “il 31 dicembre, cioè 10 giorni dopo l'udienza d'appello, l'Ufficio postale possa aver inviato il duplicato attestante la consegna del plico postale al portiere dello stabile [...] Né rileva infine che la conoscenza dell'esistenza del gravame possa, in qualche modo, risultare dalla segnalazione epistolare del contribuente atteso che tale profilo non rientra nel motivo di ricorso e nel relativo quesito di diritto”.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 53 co. 2) del D.Lgs. n. 546/1992, nel disciplinare la “forma dell'appello” alla Commissione Tributaria Regionale prevede che il gravame “deve essere depositato a norma dell'art. 22 commi 1, 2 e 3”.

Il richiamato art. 22 comma 1) a propria volta dispone che “il ricorrente entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena di inammissibilità, deposita nella segreteria della commissione tributaria adita, l'originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”.

La formulazione del citato art. 22 va letta, nel sistema, in connessione con la normativa espressamente prevista dal D.Lgs. 546/1992, in materia di notificazione a mezzo del servizio postale degli atti processuali.

In particolare, il comma 5) dell'art. 16 del decreto in parola dispone che “qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data di spedizione”: il ricorso o appello si intende quindi proposto al momento della spedizione.

La norma, ai fini della regolare costituzione, richiede il solo deposito della ricevuta di spedizione del ricorso, mentre è solo la ricezione dell'avviso di ricevimento che da la prova dell'effettivo perfezionamento della procedura di notifica.

È frequente, infatti, che l'avviso di ricevimento “torni” nella materiale disponibilità dell'appellante o del ricorrente soltanto in un momento successivo rispetto a quello in cui lo stesso debba costituirsi in giudizio.

Alla previsione dell'art. 22 comma 1), quindi, può attribuirsi un valore meramente “procedurale” limitato alla sola fase della costituzione del ricorrente o dell'appellante.

Perché il giudizio possa validamente proseguire, nell'ipotesi in cui il contraddittorio tra le parti non si sia validamente instaurato (così come è avvenuto nel caso riguardante la sentenza in commento), rimane invece applicabile la disciplina generale in materia di “onere della prova”, ed in particolare, avuto riguardo al rinvio operato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 546/1992, anche all'art. 101 c.p.c. a mente del quale “il giudice salvo che la legge disponga altrimenti non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”.

Nell'ipotesi in cui non fosse stato possibile depositare l'avviso di ricevimento al momento della costituzione in giudizio, l'appellante potrà comunque avvalersi della facoltà di cui all'art. 32 comma 1) del D.Lgs. 546/1992, il quale prevede che “le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della trattazione”.

Osservazioni

La Corte aveva affrontato una fattispecie analoga (sez. trib., 13 novembre 2006, n. 24182 - sia pure con profili e aspetti non perfettamente sovrapponibili) a quella in commento, affermando che “in tema di contenzioso tributario, l'art. 22 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, richiamato dall'art. 53, co. 2, per il procedimento di appello, richiede, ai fini della costituzione in giudizio del ricorrente, il deposito non solo di copia del ricorso spedito per posta, ma anche della ricevuta di spedizione dell'atto per raccomandata a mezzo del servizio postale, la cui mancata allegazione comporta l'inammissibilità dell'impugnazione, non sanabile neppure per effetto della costituzione in giudizio del resistente".

Nel caso di specie – come rilevato – la Società ar.l. contribuente non si è neanche costituita in giudizio.

Come già detto l'art. 53 del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 (che fa espresso rinvio al precedente art. 22 del medesimo D. Lgs.) disciplina la costituzione in giudizio dell' appellante.

Tale fase costituisce il “completamento” del rapporto processuale, in quanto investe il Giudice della controversia e delle relative questioni alla stessa sottese.

La semplice notifica del ricorso o appello (con le modalità di cui agli artt. 20 e 21 del D.lgs. 546/92), infatti, da sola non è sufficiente a porre in relazione il ricorso, le parti ed il Giudice.

Ad integrazione della disamina fin qui condotta, va rilevato che l'esame della regolarità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio a mezzo posta rappresenta un requisito preliminare per l'eventuale pronuncia di inammissibilità dell'atto introduttivo e deve comunque essere effettuata da parte della Commissione di merito anche alla luce del citato art. 101 c.p.c.

L' art. 7 comma 3) del D.Lgs. n. 546/1992 (abrogato dall'art. 3-bis D.L. 30 settembre 2005 n. 203, convertito nella Legge 2 dicembre 2005 n. 248) nel testo vigente disponeva ratione temporis, che “è sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”.

Tali poteri istruttori (come affermato dalla Cassazione civile, sez. trib., 16 maggio 2005, n. 10267) nella vigenza della norma erano comunque “integrativi e non esonerativi” dell'onere della prova. Oggi (abrogata la citata norma) il Giudice tributario può eventualmente avvalersi dei poteri di cui all' art. 210 c.p.c.

In tal senso infatti si è recentemente espressa la Suprema Corte statuendo che ”in tema di contenzioso tributario, a seguito dell'abrogazione dell'art. 7, co. 3, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, al giudice di appello non è più consentito ordinare il deposito di documenti, dovendo, invece, essergli riconosciuto il potere di ordinarne "ex officio" l'esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c.”.

(Cass. civ., sez. trib., 11 giugno 2014, n. 13152).

De iure condendo, fermo restando per il Giudice Tributario la possibilità di far comunque ricorso all' art. 210 c.p.c., un aiuto per “dipanare” questioni analoghe potrebbe essere dato dall'eventuale reintroduzione nel rito tributario di una norma (di formulazione diversa dall'abrogato art. 7 co. 3) che pur garantendo condizioni di terzietà per il giudicante, attribuisca poteri istruttori pregnanti alle Commissioni Tributarie territoriali nell'ottica della speditezza dei giudizi e della salvaguardia degli interessi pubblici.

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