Il diniego espresso di autotutela può essere impugnato solo per i profili attinenti alla legittimità del rifiuto

Giovanni Francescone
18 Novembre 2016

Sussiste la giurisdizione tributaria per le controversie relative alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto dell'Amministrazione finanziaria di esercitare l'autotutela; il provvedimento di diniego può essere impugnato dal contribuente soltanto per motivi riguardanti la legittimità dello stesso rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.
Massima

Sussiste la giurisdizione tributaria per le controversie relative alle impugnazioni proposte avverso il rifiuto dell'Amministrazione finanziaria di esercitare l'autotutela; il provvedimento di diniego può essere impugnato dal contribuente soltanto per motivi riguardanti la legittimità dello stesso rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.

Il caso

Una società impugnava innanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano il diniego espresso di autotutela opposto dall'Amministrazione finanziaria su somme iscritte a ruolo; il Giudice di primo grado rigettava il ricorso stante la tardività dell'istanza di autotutela, atteso che la cartella di pagamento non era stata impugnata.

Avverso tale decisione il contribuente proponeva appello lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2-quater, D.L. 30 settembre 1994, n. 564, e 2 del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37; in particolare, egli sosteneva l'illegittimità della richiesta di pagamento delle imposte risultanti da dichiarazioni IRAP errate, nonostante la mancata impugnazione delle relative cartelle esattoriali.

La questione

I Giudici di merito, una volta individuata la giurisdizione applicabile alle controversie concernenti il diniego di autotutela, hanno esaminato l'altra problematica giuridica afferente le eccezioni che il contribuente può sollevare nel momento in cui impugna il diniego di autotutela e i relativi limiti cui deve soggiacere il Collegio giudicante. In sostanza, ci si chiede se il contribuente possa impugnare il provvedimento espresso di rifiuto adottato dall'Ufficio per eccepire vizi che attengono al sottostante atto impositivo recante la pretesa tributaria.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in esame il Giudice tributario di secondo grado ha preliminarmente confermato la giurisdizione tributaria sulle controversie relative agli atti di esercizio di autotutela, in ossequio a quanto già affermato in passato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., ss.uu., 10 agosto 2005, n. 16776. Per un commento alla citata sentenza, cfr. A. ROSSI, L'impugnabilità del rifiuto di autotutela. Cass. civ., ss.uu., 10 agosto 2005, n. 16776, 2005, Milano).

La stessa Commissione ha inoltre ribadito che, a seguito dell'impugnazione del diniego di autotutela, il suo sindacato deve limitarsi all'esame dei soli profili attinenti alla legittimità del rifiuto dell'Ufficio, non potendosi estendere alla fondatezza della pretesa. Su tale importante questione i Giudici milanesi di secondo grado seguono il solco già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità: la Suprema Corte ha affermato, infatti, che il contribuente non gode di un'autonoma tutela giurisdizionale avverso l'atto con il quale l'Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, sia per la discrezionalità propria dell'attività di autotutela, sia perché si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo che ormai è definitivo (Cass. civ., ss.uu., 6 febbraio 2009, n. 2870. Sullo stesso argomento, cfr. anche Cass. civ., 30 luglio 2014, n. 17294, Cass. civ., 3 luglio 2012, n. 11127, Cass. civ., 20 agosto 2010, n. 18807, Cass. civ., 12 maggio 2010, n. 11457 – quest'ultima richiama Cass. civ., ss.uu., 16 febbraio 2009, n. 3698 e Cass. civ., ss.uu., 9 luglio 2009, n. 16097. In dottrina, cfr. G. INGRAO, L. FERLAZZO NATOLI, A. AMATUCCI, R. LUPI, Niente di nuovo sul fronte dell'impugnabilità del rifiuto di autotutela, 2010, Milano).

Il Giudice deve, quindi, limitarsi all'esame della legittimità della condotta omissiva, essendogli preclusa la valutazione della fondatezza della pretesa impositiva; se così fosse, l'impugnazione rappresenterebbe un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che egli non ha esperito (cfr. Cass. civ., 29 settembre 2010, n. 26313; in senso conforme cfr. anche Cass. civ., 8 maggio 2014, n. 10030, Cass. civ., 24 maggio 2013, n. 12930, Cass. civ., 18 giugno 2012, n. 10020, Cass. civ., 16 maggio 2012, n. 7687, Cass. civ., 20 gennaio 2011, n. 1219 e Cass. civ., 30 giugno 2010, n. 15451. In dottrina, cfr. BORGOGLIO, Cass. civ., n. 26313 del 29 dicembre 2010 - Impugnazione limitata in caso di mancato esercizio dell'autotutela da parte della Pubblica Amministrazione, 2011, Milano; P. TURIS, (Cass. civ., n. 15451/2010: Processo tributario) - Limiti della giurisdizione tributaria in tema di esame dell'esercizio del potere di autotutela, 2010, Milano; F. GRAZIANO, L'impugnazione del diniego di autotutela non assicura benefici per il contribuente, 2011, Milano)

Si condivide tale assunto, che ha trovato ulteriori conferme anche in recenti pronunce della Suprema Corte (c

fr.

Cass. civ., 20 novembre 2015, n. 23765, Cass. civ., 30 ottobre 2015, n. 22253, Cass. civ., 20 febbraio 2015, n. 3442, Cass. civ. 3 dicembre 2014, n. 25563, Cass. civ., 2 dicembre 2014, n. 25524 e Cass. civ., 5 novembre 2014, n. 23628. Per un commento della citata sentenza Cass. civ., n. 25563/2014 e per una ricognizione generale sull'argomento, sia consentito rinviare a G. FRANCESCONE, I limiti all'impugnazione del diniego di autotutela, Vimercate (MB), 1/2016).

Osservazioni

In aggiunta a tutto quanto già detto, si osserva che l'unico limite all'esercizio dell'autotutela tributaria è la formazione del giudicato (l'art. 2, comma 2, D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, dispone che “Non si procede all'annullamento d'ufficio, o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria”), a nulla rilevando la definitività dell'atto (come già precisato, nel caso di specie le cartelle di pagamento non erano state tempestivamente impugnate). Pertanto, se da un lato la definitività dell'atto non esclude l'esercizio dell'autotutela, dall'altro il contribuente potrà impugnare il rifiuto esclusivamente per vizi dello stesso.

A parere di chi scrive, inoltre, non possono mutare i presupposti alla base del potere di riesame a seconda che i termini di impugnazione siano decorsi o meno (secondo altra dottrina, gli interessi che emergono dall'art. 53 Cost. conservano la loro rilevanza giuridica e, quindi, la loro tutelabilità soltanto entro la pendenza dei termini di impugnazione dell'avviso di accertamento. Una volta che questi siano trascorsi, l'eliminazione dell'illegittimo prelievo conseguente all'avviso invalido ma non impugnato potrà aver luogo attraverso la tutela dell'interesse al corretto procedimento ex art. 97 Cost. e con i limiti che la definitività impone non all'amministrazione ove questa intendesse agire in autotutela ma al giudice al quale il contribuente si rivolgesse (così V. FICARI, Autotutela e riesame nell'accertamento del tributo, 1999, Milano).

Per completezza della disamina, si evidenzia che recentemente il Giudice di merito (CTP Chieti 1° luglio 2016 n. 454) ha sollevato questione di legittimità costituzionale della normativa sull'autotutela tributaria (e, in via derivata, dell'art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) per presunto contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 97 e 113 Cost., nella parte in cui essa non prevede né l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull'istanza di autotutela proposta dal contribuente, né l'impugnabilità del silenzio-rifiuto su tale istanza (Relativamente a tale ultima questione, c'è chi ammette l'impugnabilità differita del silenzio congiuntamente al successivo atto lesivo (così F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2016).

Le questioni all'esame della Consulta implicano importanti riflessioni volte ad indagare la vera natura dell'autotutela tributaria, nonché le sue differenze e analogie con l'autotutela amministrativa, diversamente disciplinata a livello normativo. Al riguardo, deve però sottolinearsi che l'autotutela non ha lo scopo di garantire al contribuente uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quelli già previsti dal sistema. Come spiega l'etimologia della stessa parola, infatti, essa è espressione del c.d. ius poenitendi in capo all'Amministrazione finanziaria e si realizza in vista dell'esigenza di assicurare il più efficace perseguimento dell'interesse generale (in ambito tributario il principio cardine da rispettare è quello di capacità contributiva ex art. 53 Cost.).

In evidenza
cfr. la Relazione alla bozza di decreto ministeriale in materia di autotutela approvata dal Consiglio superiore delle finanze il 10 maggio 1996, in Tributi, 1996, nella quale si afferma tra l'altro: “L'eventuale sollecitazione proveniente dal privato – attraverso la presentazione di atti d'impulso comunque denominati o motivati – non può comportare in alcun modo l'obbligo per l'Amministrazione di avviare un procedimento di autotutela e, tanto meno, di assumere un qualsivoglia provvedimento al riguardo. Né, d'altronde, Il mancato riscontro dell'istanza del contribuente può comportare la formazione di un silenzio avente valore giuridico, riaprendo così la strada per il riavvio – su un altro e anomalo versante – delle procedure di tutela eventualmente già esauritesi per la formazione del giudicato o per il decorso dei termini decadenziali”.

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