Esenti da IVA le operazioni di cambio nella valuta virtuale “bitcoin”

Stefano Mazzocchi
22 Dicembre 2015

Costituiscono prestazioni di servizi a titolo oneroso esenti da IVA in quanto riconducibili al dettato dell'art. 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA, le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale “bitcoin” e viceversa.
Massima

Le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale “bitcoin” e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di un “margine” costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, costituiscono prestazioni di servizi a titolo oneroso esenti da IVA in quanto riconducibili al dettato dell'art. 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA. Si tratta infatti di “operazioni, compresa la negoziazione, relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio”.

Il caso

La Corte suprema amministrativa chiedeva l'intervento dei giudici comunitari relativamente all'assoggettamento ad IVA delle operazioni di cambio della valuta virtuale “bitcoin” in una valuta tradizionale o viceversa. Nella fattispecie, tale operazione veniva effettuata con la mediazione di una società.

La questione

La questione affidata alla Corte di Giustizia attiene all'interpretazione degli articoli 2, paragrafo 1, e 135, paragrafo 1, della Direttiva 28 novembre 2006, n. 206/112/CE (“Direttiva IVA”) - che ha sostituito, con effetto dal 1° gennaio 2007, la VI Direttiva (n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977). Al riguardo si tenga presente – quale premessa a quanto segue - che il richiamato art. 2, paragrafo 1, assoggetta ad IVA tra l'altro le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale. In particolare, i giudici comunitari sono chiamati a decidere se le operazioni in valuta “bitcoin” effettuate a fronte del pagamento di un “margine” costituiscono:

1. prestazioni di servizi;

2. in caso affermativo, operazioni a titolo oneroso;

3. esenti da IVA.

Le soluzioni giuridiche

Inquadramento IVA delle prestazioni di natura finanziaria

Per giungere alla stesura della sentenza che in tale sede si commenta, la Corte di Giustizia UE è partita dall'analisi del contesto normativo nel quale, ai fini IVA, devono essere inquadrate le prestazioni di natura finanziaria. In particolare, per quanto qui interessa l'art. 135, paragrafo 1, della Direttiva IVA dispone l'esenzione dal tributo di tre tipologie di operazioni. Si tratta in particolare delle seguenti:

  1. operazioni, compresa la negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti, ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero dei crediti (lettera d). Si tratta di esenzioni disposte in funzione della natura dell'operazione: in particolare, precisa la sentenza in commento, “per essere considerati operazioni esenti, i servizi in questione devono formare un insieme distinto, valutato globalmente, che abbia l'effetto di adempiere le funzioni specifiche ed essenziali di un servizio descritto da tale disposizione” (a tal fine si rinvia alla sentenza Axa UK, C-175/2009, punti 26 e 27);
  2. operazioni, compresa la negoziazione, relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio, ad eccezione delle monete e dei biglietti da collezione (monete d'oro, d'argento o di altro metallo e biglietti “che non sono normalmente utilizzati per il loro valore liberatorio o presentano un interesse per i numismatici”) (lettera e);
  3. operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli, ad esclusione dei titoli rappresentativi di merci e dei diritti o titoli di cui all'art. 15, paragrafo 2, della medesima Direttiva (lettera f). Si tratta di titoli che conferiscono un diritto di proprietà su persone giuridiche, nonché di altri titoli aventi natura comparabile a quella dei titoli indicati espressamente (in tal senso, sentenza Granton Advertising, C-461/12, punto 27).

Secondo un costante orientamento della giurisprudenza comunitaria, dette esenzioni devono essere oggetto di una interpretazione restrittiva, in quanto esse “costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l'IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo” (sentenze Ludwig, C-453/05, punto 21, e DTZ Zadelhoff, C-259/11, punto 20).

Cosa è il “bitcoin”

La valuta “bitcoin” - utilizzata soprattutto tra i privati per pagare tramite internet l'acquisto di beni sia reali che virtuali – è compresa tra le valute virtuali “a flusso bidirezionale”, in quanto gli utenti possono acquistare e vendere sulla base di tassi di cambio. Le valute virtuali differiscono dalla moneta elettronica (per la quale si rinvia alla Direttiva comunitaria 16 settembre 2009, n. 2009/110/CE) in quanto i fondi non sono espressi nell'unità di calcolo tradizionale (ad esempio in euro), ma nell'unità di calcolo virtuale.

Servizi correlati al “bitcoin”

Nella fattispecie illustrata dai giudici svedesi, una società intende effettuare – attraverso il proprio sito internet e quindi in via elettronica – le seguenti operazioni:

  1. acquisto di unità della valuta virtuale “bitcoin” da privati e società oppure da una piattaforma di cambio internazionale;
  2. cessione a titolo oneroso di tali unità sulla piattaforma di cambio oppure deposito “in uno spazio di archiviazione”.

Il prezzo di cessione sarà determinato in funzione del prezzo attualedi una particolare piattaforma di cambio”, alla quale verrà aggiunta una percentuale di ricarico.

Qualificazione dell'operazione

Innanzitutto la Corte ha stabilito che nel caso in esame si è in presenza di una prestazione di servizi in quanto la valuta “bitcoin”, cambiata contro valute tradizionali, non può essere qualificata come “bene materiale” ai sensi dell'art. 14 della Direttiva IVA, considerato che – come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 17 delle sue conclusioni – questa valuta virtuale non ha altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento. Pertanto dette operazioni non possono ricadere nella nozione di “cessione di beni”. Si tratta inoltre di prestazioni effettuate a titolo oneroso in quanto il soggetto che le effettua sarà retribuito da controprestazioni corrispondenti al margine.

Disciplina ai fini IVA

Con la sentenza in commento gli eurogiudici hanno affermato che le prestazioni di servizi che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale “bitcoin” e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l'operatore interessato acquista le valute e, dall'altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti da IVA, rientrando nell'ipotesi di cui all'art. 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA.

Per la Corte, in particolare, fermo restando il principio secondo cui le esenzioni da IVA disposte dall'art. 135 della Direttiva devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, occorre altresì “rispettare le prescrizioni derivanti dal principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA”. Ne consegue che “questa regola d'interpretazione restrittiva non comporta che i termini utilizzati per definire le esenzioni di cui al detto articolo 135, paragrafo 1, debbano essere interpretati in un modo che priverebbe tali esenzioni dei loro effetti” (in tal senso, la pronuncia in esame conferma le sentenze Don Bosco Onroerend Goed, C- 461/08, punto 25; DTZ Zadelhoff, C-259/11, punto 21, e J.J. Komen en Zonen Beheer Heerhugowaard, C-326/11, punto 20).

Ne deriva che le operazioni descritte:

  • non possono rientrare nell'esenzione di cui alla lettera f) dell'art. 135, paragrafo 1, della Direttiva IVA, in quanto la valuta bitcoin non costituisce né un titolo che conferisce un diritto di proprietà su persone giuridiche, né un titolo di natura comparabile;
  • non possono neppure essere ricomprese nell'ipotesi di cui alla lettera d) della medesima norma, in quanto la valuta “bitcoin”, essendo un mezzo di pagamento contrattuale, non può essere considerata, da una parte, né come un conto corrente né come un deposito di fondi, un pagamento o un versamento. D'altra parte, a differenza dai crediti, dagli assegni e dagli altri effetti commerciali, di cui all'art. 135, paragrafo 1, lettera d), essa costituisce un mezzo di pagamento diretto tra gli operatori che l'accettano;
  • devono invece essere comprese nell'ipotesi di cui alla lettera e): la norma, come sopra detto, fa espresso riferimento alle operazioni - compresa la negoziazione - relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio, ad eccezione delle monete e dei biglietti da collezione (monete d'oro, d'argento o di altro metallo e biglietti “che non sono normalmente utilizzati per il loro valore liberatorio o presentano un interesse per i numismatici”). Al riguardo la Corte specifica che “un'interpretazione di tale disposizione secondo la quale essa disciplina le operazioni relative alle sole valute tradizionali si risolverebbe nel privarla di parte dei suoi effetti”. Inoltre, è pacifico che la valuta virtuale “bitcoin” non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori.
Osservazioni

Con la sentenza in rassegna i giudici comunitari forniscono una chiave di lettura apparentemente condivisibile, in quanto l'analisi del più volte menzionato art. 135 della Direttiva IVA sembra confermare la sussumibilità ad esso dell'ipotesi delineata dai magistrati svedesi. Per quanto attiene nello specifico il nostro ordinamento tributario, gli operatori finanziari possono disporre ora un autorevole intervento che senza dubbio mette un punto fermo su di un aspetto tuttora zeppo di incognite, sotto il profilo tributario ma non solo ...

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