Illegittimo l'accertamento analitico-induttivo basato sulle percentuali di ricarico in caso di insufficienza o inadeguatezza del campione

Angelo Ginex
25 Novembre 2016

La pronuncia in rassegna appare molto interessante poiché essa individua i limiti o, meglio, le condizioni di applicabilità dell'accertamento analitico-induttivo di cui all'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 basato sulle percentuali di ricarico, offrendo interessanti spunti di difesa in favore del contribuente. Alla luce dei principi in essa affermati dalla Suprema Corte, appare evidente infatti come, in caso di accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta deve avvenire adottando particolari criteri. Di seguito la disamina dell'Autore.
Massima

Dovendo l'accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi fondarsi su un concorso di indizi gravi, precisi e concordanti, quello che abbia luogo in applicazione di percentuali di ricarico postula l'adozione di un criterio che sia:

a) logicamente coerente e congruo con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame;

b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato;

c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica condotta nei confronti di un soggetto esercente l'attività commerciale di vendita al minuto di articoli di abbigliamento, emetteva a carico del medesimo un avviso di accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi basato sulle percentuali di ricarico ex art. 39 del d.P.R. n. 600/1973.

Il contribuente impugnava tempestivamente tale avviso di accertamento, che veniva annullato dalla adita Commissione Tributaria Provinciale. L'Agenzia delle Entrate proponeva, prima, appello e, poi, ricorso per Cassazione, che venivano entrambi rigettati.

Le questioni

Come noto, l'accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi d'impresa consiste nella contestazione dell'evasione mediante il ricorso a presunzioni "qualificate", ovvero gravi, precise e concordanti. L'art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 recita testualmente: "l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti".

Orbene, in tali ipotesi, il contribuente deve riuscire a dimostrare che il ragionamento presuntivo operato dall'Amministrazione finanziaria non è convincente o, meglio, "qualificato", e cioè che le presunzioni esplicitate non sono né gravi, né precise, né concordanti.

Nel caso di specie, dove veniva utilizzata la metodologia basata sulle c.d. "percentuali di ricarico", la competente Commissione Tributaria Regionale respingeva l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate sulla base di un duplice decisivo rilievo:

  1. i verificatori avevano effettuato la ricostruzione dei ricavi senza alcuna distinzione tra le varie categorie di merce;
  2. non era comprensibile la modalità di determinazione delle percentuali di ricarico applicate e la loro natura (ovvero, se si trattasse di percentuali di ricarico minime riscontrate nel medesimo settore merceologico oppure derivanti da medie di settore).

In altri termini, l'adita Commissione Tributaria Regionale confermava la pronuncia di prime cure, ritenendo illegittimo l'avviso di accertamento emesso ex art. 39 del d.P.R. n. 600/1973, sulla base della considerazione per la quale i verificatori non avevano tenuto conto nella ricostruzione dei ricavi delle diverse categorie di merce venduta e, comunque, non avevano chiarito se si trattasse di percentuali di ricarico minime riscontrate nel medesimo settore merceologico oppure derivanti da medie di settore.

Al contrario, l'Agenzia delle Entrate insisteva nel rivendicare la correttezza del proprio operato e proponeva ricorso per Cassazione, lamentando il vizio di insufficiente motivazione della sentenza di secondo grado su un fatto decisivo e controverso, per non avere la Commissione Tributaria Regionale valutato la pluralità di circostanze di fatto dalle quali l'Ufficio aveva ricavato l'inattendibilità delle scritture contabili e gli elementi necessari alla rettifica del reddito, che, poi, avevano portato alla rideterminazione della percentuale di ricarico applicata dal contribuente nell'esercizio della propria attività.

Pertanto, la Corte di Cassazione veniva chiamata a chiarire quali sono le condizioni, ai sensi dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973, in presenza delle quali l'Amministrazione finanziaria può emettere un avviso di accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi basato sulle percentuali di ricarico, dovendo esso fondarsi su un concorso di indizi gravi, precisi e concordanti, a prescindere dalla circostanza che la contabilità dell'imprenditore risulti formalmente regolare.

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha chiarito innanzitutto che l'accertamento dei maggiori ricavi, anche in caso di contabilità formalmente regolare, può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, quando essa raggiunga livelli di abnormità tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità (cfr. Cass. civ., sentenze nn. 11985/2011, 19136/2010, 20201/2010 e 5870/2003).

Ciò posto, i Giudici di Piazza Cavour, con motivazione concisa ed efficace, hanno precisato altresì che, dovendo l'accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi fondarsi su un concorso di indizi gravi, precisi e concordanti ex art. 39 del d.P.R. n. 600/1973, quello che abbia luogo in applicazione di percentuali di ricarico postula l'adozione di un criterio che sia:

a) logicamente coerente e congruo con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame;

b) applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato;

c) fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni (cfr., Cass. civ., sentenza n. 3197/2013);

con la conseguenza che l'insufficienza o l'inadeguatezza del campione di beni considerato dall'Amministrazione finanziaria in sede di rettifica è oggetto di sindacato da parte del giudice di merito.

In altri termini, la Suprema Corte ha affermato tout court che l'accertamento di maggiori ricavi d'impresa, anche in caso di contabilità formalmente regolare, può legittimamente fondarsi sulla abnorme / irragionevole difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, purché l'Amministrazione finanziaria, nel rideterminare tale percentuale, adotti un criterio che rispetti le caratteristiche sopra individuate.

Conseguentemente, il giudice di merito, in coerenza con l'esercizio dei poteri di valutazione che gli sono riservati dalla legge, non potrà fare altro che dichiarare l'illegittimità di quell'accertamento analitico-induttivo per il quale risulti impossibile verificare che la difformità delle percentuali di ricarico applicate dall'imprenditore sulla merce venduta abbia raggiunto livelli di abnormità/irragionevolezza tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità, non fondandosi il ragionamento presuntivo dell'Amministrazione finanziaria su presunzioni gravi, precise e concordanti.

Osservazioni

La pronuncia in rassegna appare molto interessante poiché essa individua i limiti o, meglio, le condizioni di applicabilità dell'accertamento analitico-induttivo di cui all'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 basato sulle percentuali di ricarico, offrendo interessanti spunti di difesa in favore del contribuente.

Alla luce dei principi in essa affermati dalla Suprema Corte, appare evidente infatti come, in caso di accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi, a prescindere dalla circostanza che la contabilità dell'imprenditore risulti formalmente regolare, la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta deve avvenire adottando un criterio che sia:

  • logicamente coerente e congruo con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame;
  • applicato ad un campione di beni scelti in modo appropriato;
  • fondato su una media aritmetica o ponderale, scelta in base alla composizione del campione di beni.

Ne deriva che, laddove i verificatori fiscali operino una valutazione che prescinde da quanto indicato nel suddetto criterio, per non avere, come avvenuto nel caso di specie, ricostruito i ricavi in funzione delle varie categorie di merce venduta o indicato le modalità di determinazione delle percentuali di ricarico applicate e la loro natura, il giudice di merito non potrà fare altro che dichiarare l'illegittimità degli avvisi di accertamento che difettano di simili constatazioni.

In definitiva, l'Amministrazione finanziaria, qualora intenda emettere un accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi e rideterminare in via presuntiva la percentuale di ricarico applicata dal contribuente sul prezzo della merce venduta, dovendo esso fondarsi su un concorso di indizi gravi, precisi e concordanti ex art. 39 del d.P.R. n. 600/1973, deve adottare un criterio di determinazione di detta percentuale che rispetti le caratteristiche individuate dalla Suprema Corte.

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