Trasferimento della sede di un trust(ee) da un Paese dell'UE ad un altro, si applica il principio di libertà di stabilimento

Fabio Gallio
20 Novembre 2017

Secondo la Corte di Giustizia Europea, le disposizioni del trattato UE relative alla libertà di stabilimento ostano con la normativa di uno Stato membro che prevede l'assoggettamento ad imposta degli utili non realizzati afferenti al patrimonio del trust, qualora la maggioranza dei trustees trasferisca la sua residenza in un altro Stato membro, senza permettere il prelievo differito dell'imposta in tal modo dovuta.
Massima

Secondo la Corte di Giustizia Europea, le disposizioni del trattato UE relative alla libertà di stabilimento ostano con la normativa di uno Stato membro che prevede l'assoggettamento ad imposta degli utili non realizzati afferenti al patrimonio del trust, qualora la maggioranza dei trustees trasferisca la sua residenza in un altro Stato membro, senza permettere il prelievo differito dell'imposta in tal modo dovuta.

Il caso

La Corte di Giustizia Europea si è espressa in merito alla compatibilità, con il Trattato dell'UE, della normativa di uno Stato membro, qual'è (oggi) il Regno Unito, che prevede la tassazione immediata dei beni detenuti in trust, nel caso in cui la sede dei trustees venga trasferita in altro Paese membro.

In particolare, la causa ha interessato alcuni trust costituiti da un cittadino di Cipro a vantaggio dei suoi figli e di altri familiari. In tali trust sono state trasferite anche delle azioni di un holding, che controllava le società operative dallo stesso cittadino fondate.

All'atto della costituzione dei descritti trusts, il cipriota, sua moglie ed i loro figli risiedevano nel Regno Unito. I trustees originari dei trusts erano il cipriota ed una “trust company”, con sede nel Regno Unito, ma, successivamente, a seguito del trasferimento della residenza da parte del soggetto a Cipro, erano stati nominati altri trastees residente in questa seconda isola. Pertanto, a seguito di tale operazione, la maggioranza dei trustees aveva cessato di risiedere nel Regno Unito.


Gli stessi, più di un anno dopo la loro nomina, avevano venduto le azioni di cui sopra, ma l'Amministrazione finanziaria inglese eccepiva che il fatto generatore di tale imposta fosse la nomina dei nuovi trustees, poiché la maggioranza dei trustees non erano allora più residenti nel Regno Unito e, conseguentemente, la sede amministrativa del trust si poteva considerare trasferita a Cipro nel corso di tale periodo di imposta.

I trustees hanno impugnato il relativo provvedimento, sostenendo che l'immediata tassazione a seguito del trasferimento di sede violerebbe le libertà fondamentali di circolazione del diritto dell'Unione. Al contrario, l'amministrazione finanziaria inglese ha eccepito il fatto che al trust, visto la sua natura giuridica, non fosse applicabile il suddetto principio.

A seguito di tale contrasto di eccezioni, i giudici nazionali hanno rinviato la questione alla Corte di Giustizia, la quale si è così espressa:

Le disposizioni del trattato FUE relative alla libertà di stabilimento ostano, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, in cui i trustees sono trattati, secondo il diritto nazionale, come un unico e permanente organismo di persone, distinto dalle persone che possono di volta in volta essere i trustees, alla normativa di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede l'assoggettamento ad imposta degli utili non realizzati afferenti al patrimonio del trust, qualora la maggioranza dei trustees trasferisca la sua residenza in un altro Stato membro, senza permettere il prelievo differito dell'imposta in tal modo dovuta”.

La questione

Una delle questioni che sono state trattate dalla sentenza in esame si riferisce alla possibilità di applicare anche al trust il principio di libertà di stabilimento.

Infatti, si ricorda che l'articolo 49 del Trattato di Funzionamento dell'Unione Europea (di seguito anche TFUE) vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Secondo l'art. 54, primo comma, TFUE, le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

Ai sensi dell'art. 54, secondo comma, TFUE, per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro.

Pertanto, considerato che il trust non risulta elencato nelle specifiche fattispecie previste dal TFUE, si è posto il dubbio se questo istituto possa avvalersi della libertà di stabilimento.

Risulta pacifico, infatti, che i trust non possono essere considerati società di diritto civile o commerciale, includendovi le società cooperative. Occorre, pertanto, determinare se tali trusts possano rientrare nella nozione di «altre persone giuridiche», contemplati dal diritto pubblico o privato, che perseguono scopi di lucro, ai sensi dell'art. 54, secondo comma, TFUE.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Giustizia nelle sentenza in esame ha dato risposta favorevole ed ha stabilito che, un ente come un trust il quale, in forza del diritto nazionale, disponga di diritti e di obblighi che gli consentono di agire in quanto tale e che eserciti un'attività economica effettiva, può avvalersi della libertà di stabilimento

Si ricorda, infatti, che, secondo la Convenzione dell'Aja del 1985, ratificata senza riserve dall'Italia con Legge 16 ottobre 1989, n. 364, il trust è un rapporto giuridico che nasce da un atto dispositivo inter vivos o mortis causa, con cui il soggetto disponente (settlor) trasferisce tutti o parte dei suoi beni (assets) ad un trustee il quale avrà il compito di amministrarli e gestirli secondo quanto previsto nell'atto istitutivo del trust e nell'interesse di un beneficiario o al fine del raggiungimento di un determinato scopo (purpose). Figura egualmente tipica dell'istituto del trust è quella del guardiano (protector o enforcer), nominato dal disponente quale supervisore dell'operato del trustee, il quale avrà, in particolare, il potere di revocare e sostituire il trustee medesimo.

L'effetto principale e connaturato al trust e, più precisamente, al sotteso atto di dotazione dei beni, è il c.d. "effetto segregativo" che determina la separazione dei beni conferiti nei confronti sia del patrimonio del disponente sia del patrimonio del trustee, con la conseguenza che i medesimi beni non potranno essere oggetto di azioni esecutive e/o cautelari tanto da parte dei creditori particolari del disponente (in Italia una volta decorso il termine annuale previsto dal nuovo art. 2929-bis del c.c.), quanto da quelli del trustee.

L'attività dei trustees, considerata la separazione di cui sopra ed essendo intrinsecamente collegata allo stesso trust in rapporto alla proprietà e alla gestione del patrimonio del trust, costituisce un tutto inscindibile con quest'ultimo. In tale contesto, la Corte ritiene che detto trust costituisca un ente che dispone dei diritti e degli obblighi che gli consentono di agire in quanto tale nell'ordinamento giuridico di cui trattasi.

Conseguentemente, nel caso in cui venga accertato che il trust prosegua uno scopo di lucro e, quindi sia privo di scopo caritativo o sociale, essendo costituito, ad esempio, affinché i beneficiari fruiscano degli utili prodotti dai beni appartenenti allo stesso trust, lo stesso può usufruire della libertà di stabilimento quando viene trasferita la sede dell'amministrazione in un altro Paese dell'UE.

Osservazioni

Accertato che il trust in esame può beneficiare di tale principio, la Corte di Giustizia ha affermato che viene violata la libertà di stabilimento qualora, nel caso del trasferimento della sede amministrativa di un trust in uno Stato membro diverso, la normativa nazionale prevede la tassazione degli utili non realizzati risultanti dal patrimonio appartenente al trust in occasione di tale trasferimento, con assolvimento immediato della relativa imposta; e questo, malgrado tale imposizione non si verificherebbe nel caso di un trasferimento analogo all'interno del territorio nazionale.
Al contrario, secondo la Corte, è da considerare legittima l'applicazione di un'imposta sui plusvalori in uscita, al fine di mantenere inalterato il diritto degli Stati ad una equa ripartizione dell'imposta, purchè la materiale tassazione venga differita al momento in cui gli asset vengono materialmente realizzati nello Stato “di destinazione”.

A questo punto è necessario verificare quali siano gli effetti pratici dell'applicazione in Italia di tale sentenza.

Per quanto riguarda la tassazione del trasferimento di sede all'estero, la normativa italiana sembrerebbe essere coerente con quanto previsto dal TFUE, considerato che, ai sensi dell'art. 166 del TUIR, è possibile sospendere la tassazione di alcune plusvalenze relative a determinati beni, fino al loro effettivo realizzo, previa presentazione di apposite garanzie, con possibilità di optare anche per un meccanismo di imputazione forfetaria dell'imposta per queste costanti in 10 anni.

Con specifico riferimento al trust, è necessario ricordare che l'art. 73 del TUIR, lo ha incluso tra i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società. In tal modo, il legislatore ha espressamente riconosciuto al trust un'autonoma soggettività tributaria.


Con la Circolare n. 48/2007, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che, ai fini Ires, la residenza del trust deve essere determinata applicando i criteri generali indicati dall'art. 73, comma 3 del TUIR, pur con taluni adattamenti resi necessari dalla particolare natura dell'istituto: Sono previste anche delle specifiche norme antielusive.


In particolare, per stabilire la residenza e considerate le caratteristiche tipiche del trust, è da escludere la possibilità di ricorrere al criterio della sede legale e, quindi, di norma i criteri di collegamento al territorio dello Stato sono la sede dell'amministrazione e l'oggetto principale.


Il primo criterio risulta utile con riferimento ai trust che, per il perseguimento dello scopo in vista del quale sono stati istituiti, si avvalgono di un'apposita struttura organizzativa (ad esempio, dipendenti, locali). In mancanza, la sede dell'amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee: e questo sarebbe conforme con quanto preso in esame dalla Corte.


Il criterio dell'oggetto principale, invece, è strettamente legato alla tipologia di trust. In particolare, nelle ipotesi in cui l'oggetto del trust sia costituito interamente da beni immobili situati in Italia, la determinazione della residenza è agevole. Qualora, invece, i beni immobili oggetto del trust siano localizzati in Stati diversi, occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Infine, nei casi di patrimoni mobiliari o misti, l'oggetto del trust deve essere identificato con l'effettiva e concreta attività esercitata.

In caso in cui sorgano delle problematiche di doppia imposizione, è possibile fare riferimento alla Convenzioni contro le doppie imposizioni, considerato che il trust, in quanto soggetto passivo Ires, deve essere considerato “persona diversa da una persona fisica”, ai sensi dell'art. 4, comma 3, del modello Ocse, anche se non espressamente menzionato nelle singole convenzioni, salvo alcune eccezioni, come quella stipulata con con gli Stati Uniti d'America.

Pertanto, anche in Italia tale sentenza potrebbe avere dei riflessi pratici, i quali, però, dovranno essere adeguatamente considerati, tenendo presente che l'istituto del trust non è disciplinato civilisticamente, essendo applicabile attraverso la Convenzione dell'Aja di cui sopra, se non nel caso della legge del c.d. ”Dopo di noi”.

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