Canna fumaria illegittima perché in contrasto con il regolamento condominiale: chi è competente a decidere?
03 Gennaio 2018
Massima
Se la domanda di parte mira ad ottenere la valutazione della normale tollerabilità dell'immissione in base ai criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso, la competenza è del giudice di pace; se la domanda mira invece a far valere anche il rispetto di una clausola del regolamento condominiale si è al di fuori dell'ambito applicativo dell'art. 7 c.p.c. e la competenza a decidere spetta al tribunale.
Fonte: ilprocessocivile.it Il caso
Con atto di citazione i ricorrenti adivano il tribunale deducendo che il convenuto aveva realizzato un condotto di scarico della stufa a pellets ponendolo all'interno della canna condominiale destinata allo scarico dei fumi del gas, provocando per tal modo fumi nocivi all'interno dell'abitazione di loro proprietà e rumori intollerabili. Chiedevano, di conseguenza, che il tribunale dichiarasse illegittima l'installazione realizzata dal convenuto e lo condannasse alla rimozione e al risarcimento danni. Il tribunale adito, ritenendo la domanda riconducibile alla dimensione applicativa dell'art. 844 c.c. e, di conseguenza, alla previsione dell'art. 7, comma 3, n. 3, c.p.c., dichiarava la propria incompetenza in favore del giudice di pace. Gli attori proponevano regolamento di competenza così deciso dalla Corte di cassazione. La questione
Con la pronuncia in esame la Corte di cassazione ha stabilito i confini della competenza tra giudice di pace (v. C. Asprella, Competenza del giudice di pace, in ilProcessocivile.it) e tribunale (v. C. Asprella, Competenza del tribunale, in ilProcessocivile.it) nelle controversie condominiali. Le soluzioni giuridiche
Nell'ambito della competenza per materia esclusiva del giudice di pace rientra, a mente dell'art. 7, comma 3, n. 3, c.p.c. quella delle «… cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità». La norma deve intendersi comprensiva di tutte le controversie che attengono ai rapporti tra proprietari di immobili adibiti a civile abitazione nelle quali si lamentino immissioni e propagazioni di esalazioni, rumori, ed ogni altro genere di elementi inquinanti o di disturbo nel senso più ampio del termine, ossia atte a turbare il godimento della proprietà ed, in genere, i rapporti di vicinato. Sicché nella competenza de qua rientrano le domande dirette ad ottenere la cessazione del comportamento ritenuto intollerabile e le domande dirette ad ottenere il risarcimento del danno causato dalla lesione del diritto vantato. Dal giudizio relativo a immissioni di fumo e altre esalazioni nei rapporti di vicinato tra proprietari di immobili adibiti a civile abitazione, esula ogni questione attinente a eventuali abusi edilizi o urbanistici imputabili al convenuto (Giudice di pace Sora, 8 settembre 2000, in Giur. merito 2001, 16). Ai sensi dell'art. 7, comma 3, n. 3 c.p.c. sono devolute alla competenza per materia del giudice di pace, senza limiti di valore, le azioni in tema di immissioni che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità non soltanto nei loro aspetti di carattere reale ex art. 844 c.c. ma anche nelle implicazioni di carattere personale, ex art. 2043 c.c., volte al risarcimento del danno in forma generica e specifica (Giudice di pace Ariano Irpino, 13 maggio 1999, in Giur. Merito, 2001, 992); rientra peraltro nella competenza per materia del giudice di pace la controversia concernente l'immissione di rumori intollerabili ancorché il sistema di aerazione che ne è causa riguardi locali di edificio che, sito in zona abitativa urbana, non sia adibito ad abitazione (Giudice di pace Canicattì, 4 dicembre 1997, in Giur. merito 1998, 414.). Si è peraltro precisato che la competenza per materia del giudice di pace per le controversie in materia di immissioni, quando queste attengano a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti ad abitazione, sussiste non solo in caso di azione diretta a far cessare le immissioni che si ritiene eccedano la normale tollerabilità ma anche quando l'attore domandi la condanna del convenuto al risarcimento dei danni sofferti a causa delle immissioni medesime (Trib. Milano, 29 marzo 1999, in Arch. Civ., 2000, 343). In generale, secondo la giurisprudenza di merito, nella previsione dell'art. 844 c.c. rientrano le azioni tra condomini per immissioni intollerabili di fumo che si propaghino dalla canna fumaria di proprietà esclusiva d'un condomino all'appartamento di altro condomino nello stesso edificio (Giudice di pace Ariano Irpino, 13 maggio 1999), nonché le immissioni di fumi causati da autovetture parcheggiate su area di pertinenza condominiale (Giudice di pace Como, 13 marzo 1999, in Arch. locazioni 2002, 68). La Cassazione in argomento ha precisato che per stabilire se le immissioni che si propagano dall'immobile del vicino su quello altrui superino la normale tollerabilità, occorre avere riguardo alla destinazione della zona ove si trovano gli immobili perché se essa è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell'immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità economiche derivanti dall'esercizio di attività produttive o commerciali nell'immobile del vicino. In particolare, con riferimento ai limiti massimi di esposizione al rumore, i criteri stabiliti dal d.p.c.m. 1 marzo 1991 per la determinazione di essi, benché dettati per la tutela generale del territorio, possono essere utilizzati come parametro di riferimento per stabilire l'intensità e, di riflesso, la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose nei rapporti tra privati purché considerati come limite minimo e non già massimo, dato che tali parametri sono meno rigorosi di quelli applicabili nei singoli casi ai sensi dell'art. 844 c.c. (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2001, n. 5697; nello stesso senso Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2001, n. 10735; Cass. civ., sez. II, 13 settembre 2000, n. 12080). In ogni caso l'accertamento delle cause che determinano immissioni moleste nel fondo altrui non influisce sul giudizio di tollerabilità delle stesse, che si deve effettuare secondo i criteri indicati dall'art. 844 c.c. cui è estraneo il criterio della colpa e quindi, una volta accertata l'esistenza dell'immissione molesta e stabilito il suo grado di tollerabilità, l'individuazione delle cause può servire solo per determinare le misure da adottare per la sua eliminazione (Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2000, n. 14353). L'azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità ai sensi dell'art. 844 c.c. può essere esperita anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni che non sia proprietario dell'immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del locatario di questo, quando soltanto a costui debba essere imposto un facere o un non facere, suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego (Cass. civ., sez. II, 1 dicembre 2000, n. 15932).
Secondo le Sezioni Unite il principio espresso dalla giurisprudenza richiamata nell'ordinanza con cui il tribunale si era dichiarato incompetente andava raccordato con altro principio espresso dalla stessa Corte. In particolare, secondo la pronuncia della Cass. civ., sez. VI, 10 aprile 2015, n. 7330 l'art. 7, comma 3, n. 3, c.p.c. attribuisce alla competenza per materia del giudice di pace tutte le controversie che attengono a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione nelle quali si lamentino immissioni che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità e ciò non solo quando la domanda è diretta ad ottenere l'inibitoria di cui all'art. 844 c.c., ma anche ove l'azione sia proposta, in via accessoria o esclusiva, per conseguire il risarcimento del danno sofferto a causa delle immissioni. Tuttavia tale principio va coordinato con quanto affermato dalla Corte, stessa sezione, con ordinanza 18 gennaio 2011, n. 1064, secondo cui non rientrano nella competenza per materia del giudice di pace, ai sensi dell'art. 7, comma 3, n. 3, c.p.c., le controversie relative a rapporti fra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in tema di immissioni, qualora, a sostegno della domanda, non venga dedotta l'intollerabilità delle immissioni ai sensi dell'art. 844 c.c., bensì la violazione di una specifica prescrizione contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, costitutiva di servitù reciproche, che, imponendo limitazioni al godimento degli appartamenti di proprietà esclusiva, vieti in essi l'esercizio di determinate attività lavorative. Pertanto, secondo la pronuncia in commento, le due ordinanze non sono in contrasto poiché se la domanda è diretta ad ottenere la valutazione della normale tollerabilità dell'immissione sulla base dei criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso, la competenza spetta al giudice di pace; se la domanda mira invece a far valere anche il rispetto di una clausola del regolamento condominiale si è al di fuori dell'ambito applicativo dell'art. 7, comma 3, n. 3 c.p.c..
Osservazioni
Il principio espresso dalla Corte nell'ordinanza in commento pare condivisibile; in effetti la domanda oggetto della pronuncia era diretta a far valere il rispetto di una clausola del regolamento condominiale poiché gli attori avevano espressamente affermato che la realizzazione della canna fumaria era illegittima perché effettuata senza autorizzazione del condominio oltreché in violazione di specifica previsione del regolamento condominiale stesso. Diverso tenore avrebbe avuto la pronuncia laddove invece si fosse trattato o di azione diretta a far cessare le immissioni intollerabili, o a chiedere la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti a causa delle stesse immissioni. |