Prevedibilità della condotta del danneggiato come causa di esclusione della responsabilità del custode
11 Gennaio 2018
Massima
La condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può costituire un "caso fortuito", ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode.
Fonte:RIDARE Il caso
L'inquilino di un condominio era inciampato mentre usciva dall'ascensore condominiale in un dislivello che si era formato tra il pavimento della cabina dell'ascensore e quello del piano di arresto, riportando lesioni personali. Citato in giudizio il condominio, invocando la responsabilità ex art. 2051 c.c., ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni. Sia il Tribunale, sia la Corte di Appello rigettavano la domanda. I Giudici di merito avevano riscontrato i seguenti elementi di fatto: - l'ascensore non presentava anomalie; - il dislivello non costituiva un'insidia; - il danneggiato conosceva tutte le caratteristiche dell'ascensore, quale inquilino del fabbricato; - il danneggiato aveva una patologia alla gamba destra che ne limitava la capacità di deambulare, per cui doveva prestare particolare attenzione e cautela nell'uscire dall'ascensore; - in ogni caso, la domanda non poteva essere accolta neppure alla stregua della regola generale dell'illecito aquiliano, in quanto non vi era alcun nesso di causalità tra l'anomalo arresto dell'ascensore e il danno. La questione
La questione di fondo, dunque, è se la distrazione del danneggiato valga ad escludere la responsabilità del custode ed eventualmente a quali condizioni. Infatti, la responsabilità ex art. 2051 c.c. è esclusa ove il custode provi l'esistenza di un caso fortuito, che può essere integrato anche dal fatto stesso della vittima, specie in presenza di una cosa inerte (c.d. fortuito incidentale). In questo modo, il comportamento del danneggiato diventa causa o concausa del danno. Tuttavia, il caso fortuito, idoneo ad escludere la responsabilità del custode, deve essere imprevedibile. Ed allora, il giudizio di negligenza della vittima è identico, ovvero assorbe il giudizio di imprevedibilità rilevante ex art. 2051 c.c.? Ci sono ipotesi nelle quali il comportamento del danneggiato non esclude la colpa (rectius, responsabilità) del custode? Le soluzioni giuridiche
È opinione consolidata quella secondo cui il condominio, quale custode dei beni e servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie volte ad impedire che le cose comuni rechino pregiudizio ed eventualmente risponde ex art. 2051 c.c. dei danni cagionati dai beni comuni ai condomini o a terzi. La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo ed è sufficiente che sussista il nesso di causa tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi la condotta del custode, ovvero l'osservanza o meno da parte sua di un obbligo di vigilanza. Secondo l'art. 2051 c.c. tale responsabilità è esclusa dal caso fortuito (con onere probatorio a carico di chi abbia la custodia), che non riguarda un comportamento del custode, ma il profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa, ma ad un elemento esterno. In linea generale, al caso fortuito viene ricondotto il caso in cui l'evento dannoso sia ascrivibile esclusivamente alla condotta del danneggiato, il quale, col suo comportamento, ha interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno. Su questo inquadramento generale e pacifico in giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20317) si possono individuare diversi apprezzamenti: a) la mera disattenzione della vittima non integra il caso fortuito ex art. 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa, è tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa divenuta pericolosa per la situazione atmosferica e per la contestuale presenza di numerose persone nei locali (fattispecie relativa a danni da precipitazioni atmosferica e in presenza di insufficienza delle misure adottate dal custode per evitare il verificarsi di danni): Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2016, n. 13222. b) la condotta colposa dell'utente della strada non integra il caso fortuito, occorrendo accertare giudizialmente la resistenza che un'adeguata barriera laterale della carreggiata avrebbe potuto opporre all'urto da parte del veicolo, in quanto la custodia esercitata dal proprietario o dal gestore della strada si estende agli elementi accessori o pertinenza, come le barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale (Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2015, n. 9547). c) se nei casi appena visti è ascrivibile una condotta negligente al custode, è opinione maggioritaria che ai sensi dell'art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi per contro integrato il caso fortuito (ex multis, Cass. civ., sez. VI, 21 febbraio 2017, n. 4390; Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2016, n. 12895 proprio per il caso di ascensore arrestatosi con un dislivello di ben 20 cm; Trib. Roma, sez. XII, 15 dicembre 2004, per un altro caso analogo con dislivello di 10 cm, da segnalare che il G.U. è lo stesso Relatore della sentenza oggi annotata; Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11657; Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2013, n. 23584). d) ed ancora, le misure di precauzione e salvaguardia imposte al custode del bene devono ritenersi correlate all'ordinaria avvedutezza di una persona e perciò non si estendono alla considerazione di condotte irrazionali e comunque al di fuori di ogni logica osservanza del primario dovere di diligenza, con la conseguenza che non possono ritenersi prevedibili ed inevitabili tutte le condotte dell'utente del bene in altrui custodia, ancorché colpose (Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1999, n. 10703). e) In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l'affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell'evento, nel senso che quest'ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l'evento. Alla stregua di tale principio generale consegue che l'obbligo del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l'imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatto uso improprio integra il caso fortuito per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c.: Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24804; Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2006, n. 8106. f) naturalmente, se il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno, esso potrà, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l'incidenza della colpa del danneggiato (Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2008, n. 11227; Cass. civ., sez. II, 17 novembre 2011, n. 24083; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2015, n. 3389). La sentenza annotata afferma un principio di diritto in sé generale e conforme all'orientamento maggioritario: il comportamento della vittima può integrare il caso fortuito, quando abbia due caratteristiche: la condotta deve essere colposa e non deve essere prevedibile da parte del custode. La sentenza si sofferma sul concetto di prevedibilità, evidenziando che i giudizi di “negligenza” della vittima e di “imprevedibilità” della sua condotta sono diversi tra loro: il primo riguarda il danneggiato e consiste nel comparare la sua condotta con quelle che avrebbe tenuta una persona di normale avvedutezza; il secondo riguarda esclusivamente il custode, attraverso un giudizio ex ante se costui potesse ragionevolmente attendersi una condotta negligente da parte dell'utente della cosa. Data questa eterogeneità di concetti, la condotta negligente della vittima non è sa sola sufficiente a escludere la responsabilità del custode, poiché il caso fortuito richiede necessariamente l'imprevedibilità dell'evento. Così, solo comportamenti imprudenti e imprevedibili possono escludere la responsabilità del custode, laddove comportamenti prudenti e imprevedibili oppure prudenti e prevedibili non escludono la colpa, mentre comportamenti imprudenti e prevedibili possono escluderla in parte. La condotta della vittima può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Da qui la Suprema Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse errato nell'indagare solo la condotta del danneggiato e ritenerla negligente, senza verificare l'altro elemento costitutivo della fattispecie, ovvero la prevedibilità di questa condotta da parte del custode. La sentenza precisa che l'oggetto del giudizio si pone in un'ottica del tutto peculiare rispetto ad altre decisioni. Non si tratta di verificare se la condotta della vittima possa integrare il caso fortuito (cui dare senz'altro risposta positiva), bensì quali requisiti deve avere tale condotta per integrare il caso fortuito. Ecco, quindi, che il comportamento del danneggiato, per costituire il caso fortuito ex art. 2051 c.c., deve essere colposo e imprevedibile.
Osservazioni
La sentenza, dopo aver richiamato e ritenuto corretti i principi giurisprudenziali secondo i quali la condotta della vittima può rappresentare sia una concausa, sia una causa esclusiva del danno, pare discostarsene, sulla base di una sottile precisazione: non si tratta di verificare se la condotta colposa della vittima integri o meno il caso fortuito, ma quali requisiti deve possedere tale condotta per essere qualificata come caso fortuito. La distinzione non è del tutto nuova: la Suprema Corte aveva già cassato una sentenza che aveva escluso la responsabilità del custode sul solo presupposto della colpa del danneggiato, senza valutare se tale comportamento aveva i requisiti dell'imprevedibilità e della inevitabilità; il fatto del danneggiato acquista efficacia di fortuito quando sia dotato, nella determinazione del danno, di impulso causale autonomo rispetto alla sfera di azione del custode e sia per il custode stesso imprevedibile ed inevitabile (Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 1973, n. 2584, in Mass. giur. it., 1973, 897). Il passaggio innovativo della decisione in esame è un altro: la distinzione tra giudizio di negligenza e di imprevedibilità e, in particolare, l'intendere quest'ultimo come giudizio ex ante se il custode poteva ragionevolmente attendersi una condotta negligente da parte dell'utente della cosa. Il motivo di impugnazione, poi accolto, consisteva nella violazione dell'art. 1227 c.c., avendo i giudici del merito attribuito alla vittima la responsabilità esclusiva della caduta, laddove la condotta della vittima può escludere la responsabilità del custode in quanto abbia i caratteri di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità; senza il dislivello la caduta mai si sarebbe verificata e, al massimo, la disattenzione del danneggiato sarebbe stata una concausa del danno. Ci pare, tuttavia, che l'assunto provi troppo o, meglio, troppo facilmente dia per pacifici alcuni svolgimenti argomentativi, che, invece, sarebbero stati da esaminare attentamente. In particolare, ci sembra che il concetto di prevedibilità ne esca svuotato di significato. Cosa deve prevedere il custode, fin dove si estende la sua responsabilità? Cosa è prevedibile ai sensi dell'art. 2051 c.c. nella sua funzione di giustizia distributiva? Infatti, secondo un'idea consolidata, l'art. 2051 c.c. soddisfa un'esigenza di giustizia distributiva, in quanto non è ammissibile che le conseguenze cagionate da una cosa inanimata ricadano sul terzo incolpevole che le ha subite, piuttosto che su colui che detiene o utilizza la cosa stessa (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 1971, n. 1641, in Mass. giur. it., 1971, 1135; in generale sul principio di giustizia distributiva in ambito condominiale, che impone di ripartire tra tutti i condomini gli oneri conseguenti alla realizzazione di un interesse collettivo, Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2015, n. 25292). I presupposti di funzionamento della responsabilità de quo, allora, sono due: da una parte, la cosa deve aver svolto un ruolo attivo nel meccanismo che prodotto il pregiudizio (non deve essere stata semplicemente una occasione per il prodursi del danno); dall'altra, deve sussistere un effettivo potere fisico del convenuto sulla cosa (ossia deve avere la disponibilità giuridica e di fatto sulla cosa). Su questa idea si innesta la questione del fondamento della responsabilità. È noto che in passato era ricorrente l'idea che si trattasse di una forma di responsabilità per colpa, sia pure aggravata, per omissione di adeguata custodia. A carico del custode, in quanto esercitante il potere di controllo e governo sulla cosa con un particolare obbligo di vigilanza, grava una presunzione iuris tantum di responsabilità. L'art. 2051 c.c. tutela, da una parte, l'interesse della collettività, dall'altra, il danneggiato stesso, in quanto l'inversione dell'onere della prova lo agevola, essendo difficile dimostrare l'imputabilità del fatto al custode medesimo, il quale, invece, avrebbe una maggior facilità di accertare la causa del danno, avendo appunto la potestà sulla cosa. La teoria si pone in un'ottica sanzionatoria. Resta il fatto che, anche configurato un obbligo di sorveglianza, il custode non si libera semplicemente provando la propria diligenza, bensì un qualcosa di più, ossia il caso fortuito. Per tale ragione oggi si tende a parlare di responsabilità oggettiva, sia pure su basi variegate fondandosi ora sulla teoria del rischio, ora sulla teoria dell'esposizione al pericolo, ora sulla teoria dei danni causati da entità seagente, ora sulla teoria dell'esercizio della custodia. A differenza dell'opinione precedente, siamo in un'ottica riparatoria, ove il centro di interessi si sposta dal custode al rapporto di custodia con un criterio di imputazione di tipo oggettivo. Nella giurisprudenza più recente, in realtà, le affermazioni di principio sulla natura della responsabilità ex art. 2051 c.c. assumono una rilevanza relativa. Si parla di responsabilità oggettiva, ma anche di obbligo di sorveglianza, al precipuo scopo di indagare non la diligenza del custode, ma eventuali fatti estranei che possono essere intervenuti ad interrompere il nesso eziologico. Come si diceva, la sottile distinzione, che ha spinto la Suprema Corte ad accogliere il motivo di ricorso, ci pare renda evanescente il concetto di caso fortuito e, quindi, di prevedibilità del danno, collegando quest'ultima non al danno, ma al comportamento colposo del danneggiato stesso. Di più. Ponendo il giudizio di imprevedibilità sul piano soggettivo (mancata previsione ragionevole del comportamento negligente del danneggiato), si devia, senza darne adeguato conto, da principi giurisprudenziali e dottrinali consolidati, sia in ordine alla struttura dell'illecito, sia in ordine alla natura della responsabilità ex art. 2051 c.c., sia in ordine all'oggetto del giudizio di imprevedibilità. Detto diversamente, sembra che il decisum, se portato alle estreme conseguenze (dover prevedere la colpa altrui per integrare il caso fortuito) non tenga conto della categoria concettuale dell'atto illecito, che richiede, anche, l'ingiustizia del danno, pena assorbire e annichilire l'atto illecito nella responsabilità oggettiva. Occorre che l'interesse leso venga ad interagire col sistema dei valori positivi dell'ordinamento, affinché se ne assuma «la prevalenza rispetto al contrapposto interesse del danneggiante, quale condizione indefettibile della sua risarcibilità» (SCALISI V., Ingiustizia del danno e analitica della responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 2004, 29 ss.). È vero, d'altra parte, che la prospettiva oggettivistica della responsabilità ex art. 2051 c.c. e di allocazione dei danni non presta attenzione alcuna per il danneggiante, «ma questo non vuol dire che il nostro sistema debba rifiutare l'idea della responsabilità come un sistema incentrato sull'illecito civile quale violazione di un dovere generale di rispetto dei diritti altrui» (BIANCA, infra, 19). Alla fine, il caso fortuito è un evento non imputabile a colpa del convenuto; esso esclude la colpa, non il nesso di causa (BIANCA, infra, 21 ss., per cui è emblematico il caso dell'impalcatura eretta dall'appaltatore e utilizzata dal ladro per compiere furti nelle abitazioni: il fatto del terzo può essere ascritto al custode, se rientra tra gli eventi che in base al criterio della diligenza avrebbe dovuto prevedere e prevenire, confermando che il caso fortuito esclude la colpa e non il nesso eziologico tra attività dell'esercente e il danno). È evidente che la sentenza annotata finisce per mettere in discussione il fondamento della responsabilità de quo, non più oggettiva, ma per colpa. D'altra parte, la giurisprudenza ha più volte precisato che il caso fortuito debba essere non solo imprevedibile, ma anche inevitabile (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2004, n. 2062; Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2005, n. 5326; Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2011, n. 11016). Il carattere dell'inevitabilità non è secondario e il fatto che la decisione in commento non lo abbia ricordato impone di valutare la sentenza, nelle sue ricadute pratiche, molto attentamente. Il problema è che la sentenza sembra mutare l'elemento al quale deve rapportarsi l'imprevedibilità: non più la cosa, ma il comportamento (colposo) del danneggiato. Tradizionalmente, il caso fortuito richiede la prova positiva di un evento inevitabile ed imprevedibile, per effetto del quale la cosa ha provato il danno (CARUSI, infra, 480). Escluso il malfunzionamento o la ricorrenza di insidie, se il comportamento colposo del danneggiato ha causato la sua stessa caduta, in concreto è difficile pensare come il custode possa prevedere e, soprattutto, evitare l'evento dannoso. La prevedibilità deve essere intesa in senso oggettivo (rilevante sul piano eziologico) e non soggettivo (come imprevedibilità da parte del custode). Il concetto oggettivo di prevedibilità consente di stabilire se un certo fatto esterno possa determinare autonomamente, sulla base di un calcolo probabilistico, il danno (fortuito autonomo) oppure possa interrompere il rapporto di causalità (fortuito incidentale): FRANZONI, infra, 340 ss.; APICELLA, infra, 862¨il custode deve dimostrare non l'assenza di colpa, ma che è venuto a mancare il nesso di causa tra il suo comportamento e il danno. Letteralmente, poi, il danno deve essere causato «dalla» cosa e non «con» la cosa (art. 2051 c.c.). In punto di fatto, ricordiamo che siamo in presenza di una cosa in sé non pericolosa, né malfunzionante o resa pericolosa da fatti esterni. Il fatto del danneggiato è esterno alla possibilità di controllo del custode ed assume rilevanza causale autonoma, ove la cosa venga ridotta al rango di mera occasione dell'evento dannoso. È stato in passato osservato che «non è configurabile un generale obbligo di custodia della cosa oggetto di proprietà. Tale obbligo sussiste solo in quanto il bene possa costituire in sé la fonte di un pericolo per chi ne venga in contatto o se ne serva, e si atteggia in modo diverso a seconda della natura del bene e della sua pericolosità» (Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1968, n. 1836, in Giur. it., 1969, I, 907), questo perché il custode esercita un potere fisico sulla cosa e ne ha l'effettiva padronanza e disponibilità. Appunto. Il potere fisico, il controllo, la prevedibilità e il dovere di vigilanza ricadono sulla cosa, non sull'altrui disattenzione. Il principio di diritto fissato dall'odierna sentenza, allora, va letto in rapporto alla decisione più risalente già citata, che la completa e la inquadra sistematicamente nell'illecito civile: il fatto del danneggiato acquista efficacia di fortuito quando sia dotato, nella determinazione del danno, di impulso causale autonomo rispetto alla sfera di azione del custode e sia per il custode stesso imprevedibile ed inevitabile (Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 1973, n. 2584; VISINTINI, infra, 659). Il rischio di assolutizzare la decisione in commento è rendere la responsabilità ex art. 2051 c.c. ancor più penetrante, fino ad introdurre una categoria di responsabilità obiettiva, che il legislatore non ha voluto (ALPA-BESSONE-ZENO-ZENCOVICH, infra, 353). Anche nell'ottica della giustizia distributiva, cui si è fatto cenno, e al bilanciamento di interessi, non corrisponde a canoni di ragionevolezza addossare al custode i rischi per i comportamenti colposi dei terzi, bene inteso parlando di cose in sé non pericolose o malfunzionanti. Anche le fonti romane ci ricordano che, se il criterio di imputazione della responsabilità era molto rigoroso (prescindendo dalla colpa), «nell'ambito dei iudicia bonae fidei l'ampia discrezionalità attribuita al giudice dalla formula consentiva di adeguare la decisione alle circostanze del caso concreto» (MARRONE M., Istituzioni di diritto romano, Palumbo, 1994, 443). Opinare diversamente significa introdurre una forma di responsabilità obiettiva, addossando il rischio sul custode per gli errori altrui. Sotto altro angolo di visuale, una diversa allocazione del rischio sarebbe da valutare molto attentamente quanto alle sue conseguenze di sistema, chiaro essendo che il costo della disattenzione del singolo ricadrebbe, alla fine, sulla comunità, attraverso il maggior premio che l'assicurazione vorrà per assicurare anche il fatto colposo del terzo. Tuttavia, una simile costruzione non è consentita nel nostro ordinamento, sia perché priva di giustificazione causale sotto il profilo di allocazione del rischio, sia perché contraria al principio di buona fede, se si consentisse al danneggiato di riversare le conseguenze dannose del proprio esclusivo operato sul custode. Questo, però, non significa che il custode non debba prevedere l'altrui comportamento colposo, ma questo dipende dalla pericolosità della cosa e dalle altre circostanze del caso concreto, come detto. Non si può, infatti, escludere che il custode debba prevenire anche comportamenti colposi: si pensi al caso di una pavimentazione pedonale resa sempre sdrucciolevole in presenza di piogge: sarebbe sufficiente appore cartelli di semplice avviso di pavimentazione scivolosa, oppure si potrebbe richiedere l'adozione di misure di prevenzione (ad esempio, bloccare il transito o trattare la pavimentazione per ridurne la scivolosità)? Ma in questo caso, la cosa diviene pericolosa per un fattore esterno (meteorologico) e scatta un dovere di prevenzione specifico. In questo senso, il possibile paradosso che la sentenza evidenzia (se la vittima è prudente, mai vi sarebbe responsabilità del custode e ove fosse imprudente, pure il custode sarebbe esente da responsabilità) non convince in relazione al caso concreto, perché, come detto, “soggettivizza” la responsabilità e il giudizio di prevedibilità, a discapito dell'indagine (oggettiva) sull'interruzione del nesso eziologico, ovvero sulla ricorrenza del caso fortuito in concreto. Infatti, il comportamento colposo o doloso del danneggiato si atteggia diversamente a seconda che si faccia valere una responsabilità ex art. 2043 c.c. oppure ex art. 2051 c.c. Nel primo caso nel dovere del neminem laedere non rientra, di regola quello di prevenire la colpa altrui, con la conseguenza che il fatto del danneggiato è idoneo ad escludere (o a ridurre) la responsabilità del convenuto. Nella responsabilità ex art. 2051 c.c., invece, il fatto del danneggiato ha rilevanza se si configura come caso fortuito (Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1973, n. 2584, in Giust. civ., 1974, I, 1139), da accertare caso per caso. |