Partecipazione successiva dei condomini al godimento dell'ascensore e relativi costi
30 Gennaio 2018
Massima
L'ascensore installato nell'edificio dopo la costruzione di quest'ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l'abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell'ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall'art. 1123, comma 3, c.c., comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L'art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all'innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell'opera, con l'obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l'esecuzione, aggiornate al valore attuale. Il caso
Due condomini avevano installato nell'edificio, a proprie spese, un impianto di ascensore. Successivamente altri condomini, che in un primo tempo avevano dichiarato di non essere interessati all'innovazione, si rivolgevano al Tribunale per sentire accertare i costi dell'ascensore e le relative quote di contribuzione nelle spese di gestione e manutenzione dell'impianto. Malgrado non fosse stata esplicitata, da questi ultimi, una domanda di riconoscimento del diritto di acquisizione della comproprietà dell'impianto ai sensi dell'art. 1121, comma 3, c.c., la stessa veniva ritenuta implicita in quella di accertamento dei costi dell'ascensore, che venivano ripartiti tra i nuovi partecipanti alla comunione secondo i criteri indicati dall'art. 1124 c.c. Avverso la sentenza della Corte di Appello, confermativa di quella di primo grado, gli originari proprietari dell'ascensore ricorrevano dinanzi alla Corte di Cassazione per ultrapetizione della sentenza di merito, con riferimento alla domanda di partecipazione alla comproprietà dell'impianto, mai proposta; per avere permesso agli attori, in forza dell'art. 1121 cit., di entrare forzosamente nella comproprietà di un'opera “nata privata” ed infine per aver omesso, nella quantificazione delle spese inerenti all'ascensore, di tenere conto degli oneri di costruzione. Il ricorso veniva rigettato dalla Corte Suprema.
La questione
Tra le questioni oggetto del provvedimento in esame due sono particolarmente rilevanti: la prima, rispetto alla quale è stata ribadita la natura dell'intervento con il quale uno o più condomini abbiano installato, dopo la costruzione dell'edificio, l'impianto di ascensore e la seconda, concernente le modalità di calcolo per l'attribuzione delle spese in capo ai nuovi comproprietari. Interessante da un punto di vista generale, anche se l'argomento trattato non è strettamente connesso con quello qui trattato, è quello sollevato in merito alla carenza di interesse ad agire degli attori e ultrapetizione della sentenza, poiché nell'azione di mero accertamento dei costi non sarebbe stata compresa la domanda di partecipazione alla comproprietà dell'ascensore. La Corte, nel confermare la decisione appellata, ha precisato che la seconda domanda, come precisata e modificata nel corso del giudizio, risultava connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Le soluzioni giuridiche
La realizzazione ex novo dell'impianto di risalita in uno stabile che ne sia privo configura una innovazione, decisa in sede assembleare, finalizzata a soddisfare le esigente dell'intera compagine condominiale e diretta al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. La relativa delibera, pertanto, deve essere approvata con la maggioranza indicata dall'art. 1120, comma 1, c.c., vale a dire con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti pari ad almeno i due terzi del valore dell'edificio (art. 1136, comma 5, c.c.). Qualora, invece, l'impianto sia specificatamente volto ad eliminare le barriere architettoniche (art. 1120, comma 2, n. 1, c.c.) detta maggioranza, per il valore sociale dell'opera, si riduce a quella stabilita dall'art. 1136, comma 2, c.c. e sarà pari alla maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio. In entrambi i casi, trattandosi di delibere assunte in sede condominiale, le spese di installazione dell'impianto - che assurge a bene comune - saranno sostenute da tutti i condomini (una volta definitiva la delibera) sempre secondo i relativi millesimi di proprietà. Differente è la questione oggetto dell'ordinanza in esame, che si riferisce all'ipotesi normativa contenuta nell'art. 1121 c.c. e consistente nell'installazione dell'impianto ad opera solo di quei condomini che ne abbiano sopportato integralmente la spesa. Questi ultimi, infatti, non possono sostenere che l'opera sia «nata privata» per il solo fatto di avere provveduto alla sua installazione (anche se, nel costante orientamento giurisprudenziale si parla di condominio parziale sul bene), con ciò manifestando la propria volontà di escludere il diritto ad una partecipazione successiva all'intervento da parte dei restanti condomini che, in un primo tempo, abbiano dichiarato il proprio disinteresse ai vantaggi ad esso connessi. Tale posizione, infatti, violerebbe il disposto dell'art. 1121 c.c. che riconosce, in capo ai condomini che si siano estraniati dall'innovazione, il diritto di aderirvi successivamente (diritto esteso anche ad eredi od aventi causa), contribuendo alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera. Nella specie, quindi, si tratterebbe di un diritto potestativo perpetuo di partecipazione, trasmettibile anche ai successori particolari fino al momento in cui tutti i condomini non abbiano deciso di partecipare all'innovazione così come disposto nella norma richiamata (in questo senso, V., ultima in ordine di tempo, v. Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746). Per quanto concerne, poi, l'aspetto meramente economico della questione la Corte si è espressa in relazione ad una precisa censura alla sentenza sollevata dagli originari proprietari: l'errata valutazione della consulenza tecnica di ufficio che aveva preso atto solo della «valutazione» dell'impianto, omettendo di considerare gli «oneri di costruzione». Sul punto, va rilevato che il termine valutazione dell'opera non può che essere interpretato come valore attuale della stessa, là dove costo di costruzione si riferisce agli esborsi effettuati in origine per l'installazione dell'impianto. Precisato questo, la Corte nel caso concreto non si è discostata dalla decisione impugnata secondo la quale, non avendo i proprietari dell'ascensore documentato le spese anticipate per realizzare l'impianto, gli stessi non potevano essere rimborsati di tali spese, talché il prezzo da corrispondere doveva essere calcolato in base all'autonomia privata. E questo era stato fatto dalla CTU posta a fondamento della decisione di merito, incensurabile per tale aspetto in sede di legittimità essendo congruamente motivata. Per un'applicazione corretta del disposto dell'ultimo comma dell'art. 1121 c.c. (contribuzione alle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera) l'operazione matematica da eseguire e che non potrà che essere effettuata sulla base di una perizia è quella di calcolare il costo iniziale dell'opera e ripartirlo secondo i millesimi di proprietà. La risultante quota proporzionale sarà, quindi, oggetto di rivalutazione. Ciò al fine di evitare un indebito arricchimento da parte dei nuovi comproprietari dell'impianto. Essenziale, per applicare il calcolo cui fa riferimento l'art. 1121 c.c., è documentare secondo il disposto dell'art. 2697 c.c. la spesa effettuata per i lavori di installazione dell'impianto perché, in difetto, la valutazione non potrà che essere fatta secondo il valore attuale del bene. Osservazioni
Il tema trattato nell'ordinanza della Corte, non certamente nuovo ma sicuramente sempre di forte interesse generale, merita due osservazioni. Da un lato, che il termine manutenzione utilizzato dal legislatore deve essere riferito solo agli interventi di natura ordinaria e straordinaria effettuati sulla struttura dell'impianto nel corso degli anni, escludendo quelli correlati alla gestione del bene. Questi ultimi, infatti, sono strettamente connessi all'uso dell'impianto e, certamente, non potranno mai essere addebitati a coloro che intendono avvalersi del diritto loro riservato dall'art. 1121 c.c. Per altro verso, nel calcolo dei costi dovrebbe essere considerata anche una quota pari al naturale deprezzamento del bene in conseguenza del suo utilizzo nel tempo. |