L'Istituto della compensatio lucri cum damno: il punto di vista del giudice amministrativo

Andrea Penta
21 Marzo 2018

Valenza del principio della compensatio lucri cum damno nella fase di determinazione del danno cagionato dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente: la somma spettante a titolo risarcitorio per lesione della salute conseguente alla esalazione di amianto nei luoghi di lavoro è cumulabile con l'indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio?
Massima

In tema di risarcimento e indennità dovute da enti pubblici per infermità derivanti da cause di servizio, la presenza di un'unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto traenti origine da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo, con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario.

Il caso

Un sostituto procuratore della Repubblica, costretto a trattenersi quotidianamente presso gli uffici della Procura, spesso fino a tarda ora, in un ambiente lavorativo in cui i muri esterni erano costituiti da lastre piane in cemento-amianto che presentavano perforazioni presenti nelle lastre in cemento avevano determinato, lamentava che, a causa dell'emissione di polvere e del rilascio di fibre di amianto, era rimasto affetto da una patologia che lo aveva costretto a sottoporsi ad un intervento chirurgico per l'asportazione di una formazione neoplastica (carcinoma renale).

In un primo momento formulava, pertanto, istanza di riconoscimento di dipendenza di infermità da causa di servizio. Il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava la dipendenza da causa di servizio delle infermità e gli riconosceva «la misura massima prevista dalle vigenti disposizioni di legge ai fini della concessione dell'equo indennizzo», somma poi materialmente corrisposta.

In un secondo momento il magistrato chiedeva al Tribunale amministrativo regionale la condanna del Ministero della giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute subito a seguito dell'esposizione all'amianto. Da tale somma, nella prospettiva del ricorrente, non avrebbe dovuto essere detratto l'importo già percepito a titolo di equo indennizzo, che costituirebbe uno «strumento a contenuto patrimoniale di natura previdenziale».

Il Tribunale amministrativo riteneva che le prestazioni indennitarie riconosciute dalla legge in favore dei pubblici dipendenti affetti da patologie contratte per causa di servizio ovvero per le vittime del dovere concorressero con il diritto al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale dell'amministrazione in ordine al medesimo pregiudizio all'integrità psicofisica patita dal dipendente, nel senso che l'importo di quelle prestazioni non potesse venire detratto da quanto spettante per il diverso titolo risarcitorio. In quest'ottica, escludeva che ricorresse un'ipotesi di compensatio lucri cum damno, rappresentando l'illecito la mera occasione per l'erogazione dell'indennizzo, il quale, a sua volta, era stato riconosciuto indipendentemente dalla responsabilità civile dell'amministrazione datrice di lavoro e in misura autonoma dall'effettiva entità del pregiudizio subito dall'interessato. In definitiva, veniva posto in rilievo l'assenza della finalità compensativo-sostitutiva propria del risarcimento.

Il Ministero della giustizia proponeva appello, sostenendo la necessità dello scomputo anche al fine di salvaguardare l'esigenza di evitare l'ingiustificato arricchimento determinato dal porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della giustizia) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo.

La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, rilevato un contrasto interpretativo nell'ambito della giurisprudenza della Corte di cassazione tra un primo orientamento tradizionale favorevole al cumulo tra indennizzo e risarcimento ed un secondo orientamento minoritario propenso all'applicabilità della compensatio lucri cum damno, riteneva «opportuno deferire il presente ricorso all'esame dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 99, commi 1 e 4, c.p.a. », sollevando il seguente punto di diritto: «se sia possibile o meno sottrarre dal complessivo importo dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli emolumenti di carattere indennitario versati da assicuratori privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie previdenziali».

La questione

La questione posta all'esame dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato attiene, quindi, alla valenza del principio della cd. compensatio lucri cum damno (di seguito anche solo compensatio) nella fase di determinazione del danno cagionato dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente.

In particolare, si tratta di accertare se la somma spettante a titolo risarcitorio per lesione della salute conseguente alla esalazione di amianto nei luoghi di lavoro sia cumulabile con l'indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio ovvero se tale indennizzo debba essere decurtato dal risarcimento del danno.

Le soluzioni giuridiche

Sul tema si fronteggiano due orientamenti:

  • il primo, maggioritario, contrario alla regola della compensatio e favorevole a quella del cumulo, evidenzia la diversità dei titoli delle obbligazioni e dei relativi rapporti giuridici sottostanti, affermando che la condotta illecita rappresenta non la “causa” dell'indennità a vario titolo corrisposta, ma la mera “occasione” di essa. La diversità delle ragioni giustificative delle attribuzioni patrimoniali impedirebbe, del resto, di assegnare valenza punitiva al risarcimento del danno;
  • il secondo orientamento ritiene, invece, che anche in questi casi debba applicarsi la regola della compensatio, rilevando a tal fine solo che la condotta (e non il titolo) sia unica e che essa costituisca la “causa” sia del danno sia dell'attribuzione di somme finalizzate a reintegrare il patrimonio leso. Tale indirizzo valorizza il concetto di causalità giuridica, ritenendo che il rapporto fra illecito ed evento possa anche non essere diretto ed immediato (Cass. civ., sez. III, n. 15534 del 2017). Ammettendo il cumulo e non la compensatio, invero, sostengono i fautori di questa impostazione, si assegnerebbe una funzione sovracompensativa al risarcimento del danno. Inoltre, tenendo conto del meccanismo della surrogazione prevista dall'art. 1916 c.c., il danneggiante potrebbe essere costretto a corrispondere la medesima somma sia al danneggiato sia, a seguito della successione nel rapporto obbligatorio, al soggetto o ente che ha corrisposto l'indennità alla parte lesa. Si verrebbe così ad attribuire una funzione punitiva al risarcimento del danno in mancanza di una espressa previsione di legge che lo consenta. L'unica possibilità per evitare questo risultato sarebbe quello di ritenere che non operi la surrogazione.

In definitiva, qualora le conseguenze del fatto illecito fossero state eliminate dall'intervento d'un assicuratore (privato o sociale che sia), ovvero da un qualsiasi ente pubblico o privato, il pagamento da tale soggetto compiuto, se avesse avuto per effetto o per scopo quello di eliminare le conseguenze dannose, andrebbe sempre detratto dal credito risarcitorio, a nulla rilevando né che l'ente pagatore non abbia diritto alla surrogazione, né che, avendolo, vi abbia rinunciato.

La fattispecie in esame, peraltro, presenta una peculiarità, essendosi al cospetto di un caso in cui è presente un'unica condotta responsabile, un solo soggetto obbligato e titoli differenti delle obbligazioni. Invero, nella specie, la parte appellata: i) aveva già ottenuto dal Ministero della Giustizia una somma a titolo di indennità per infermità dipendente da causa di servizio conseguente all'esposizione a fibre di amianto presenti nel luogo di lavoro; ii) aveva chiesto con il giudizio dinanzi al GA la condanna dello stesso Ministero al risarcimento anche del danno alla salute subito per la medesima ragione senza detrazione della somma già corrisposta a titolo di indennità.

Interessante è l'approccio alla questione del Consiglio di Stato, il quale colloca le diverse fattispecie concrete, per fini ordinatori, in tre diverse categorie, che si differenziano sul piano dei titoli delle obbligazioni e dei soggetti responsabili e obbligati.

La prima categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e obbligato ad effettuare una prestazione derivante da un unico titolo. Tali fattispecie contemplano “rapporti obbligatori bilaterali”. La giurisprudenza e la dottrina non hanno mai dubitato della necessità di valutare l'entità dei vantaggi conseguiti dal danneggiato ai fini della determinazione effettiva del danno. Ne consegue che nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell'illecito occorre considerare anche il lucro eventualmente acquisito al patrimonio della parte lesa che, in quanto tale, riduce l'area dei danni effettivamente cagionati dalla condotta del responsabile.

Sul piano funzionale, l'istituto in esame impedisce che il danneggiante sia costretto a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare il patrimonio leso.

La seconda categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e di due soggetti obbligati sulla base di titoli differenti. Si tratta di fattispecie in cui il sistema prevede, in forme diversificate, accanto all'obbligo di risarcire il danno derivante da titolo illecito (artt. 2043 o 1218 c.c.), anche l'obbligo di corrispondere una indennità o somma a vario titolo. In questo ambito si inseriscono le forme di assicurazione privata contro i danni derivanti da fonte contrattuale e le forme di assicurazione sociale disciplinate da leggi speciali, nonché la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali e la tutela previdenziale in caso di invalidità (indennità di accompagnamento).

Vi sono, poi, singole previsioni di legge che contemplano l'indennità da corrispondere per finalità solidaristiche a favore, ad esempio, di familiari di vittime cadute in servizio ovvero di vittime del terrorismo. Le descritte fattispecie si caratterizzano per la presenza di “rapporti giuridici trilaterali” ovvero, più precisamente, di duplici rapporti bilaterali.

A seguito dell'inquadramento dogmatico, l'Adunanza Plenaria individua i titoli delle obbligazioni.

Il primo titolo dell'obbligazione risarcitoria è regolato dall'art. 2087 c.c. La responsabilità del datore di lavoro ha natura contrattuale, rinvenendo la propria fonte nel contratto di lavoro. L'accertamento di tale responsabilità dà diritto, sussistendone i presupposti, anche al risarcimento del danno non patrimoniale e, in particolare, del cd. danno biologico, della sofferenza morale e del danno esistenziale.

Nella fattispecie in esame, è indubbio che viene in rilievo un diritto della persona costituzionalmente tutelato, in quanto l'art. 2087 pone a carico del datore di lavoro il dovere di proteggere proprio la sfera personale del lavoratore e in particolare il diritto all'integrità psico-fisica. La finalità del risarcimento è esclusivamente compensativa. Il legislatore non ha autorizzato, infatti, la previsione di forme di danni punitivi.

Il titolo della seconda obbligazione è regolato dall'art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), e giustifica il riconoscimento di un equo indennizzo per la perdita dell'integrità fisica eventualmente subita dall'impiegato.

In relazione alla natura di tale indennità, l'Adunanza plenaria non condivide l'orientamento secondo cui la stessa sarebbe diversa da quella delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno. L'approccio non condiviso si fonda, sul piano strutturale, sul rilievo che nella disciplina dell'indennità «il legislatore prescinde da ogni riferimento a criteri di responsabilità conseguenti al verificarsi dell'evento dannoso», e sul piano funzionale, sull'altro rilievo che le norme di legge non proteggono il bene «integrità psico-fisica», il quale sarebbe solo l'occasione dell'erogazione.

Deve riconoscersi, invece, secondo il Collegio, all'indennità in questione una natura sostanzialmente analoga a quella risarcitoria da illecito contrattuale, essendo la nozione di “indennità” compatibile, oltre che con un atto lecito dannoso, anche con una condotta che integri gli estremi di un atto illecito.

In particolare, mentre quest'ultima ipotesi ricorre nel caso in cui la lesione dell'integrità fisica subita dal dipendente sia causata dalla condotta contra ius del datore di lavoro che non ha adottato le cautele necessarie ed idonee a proteggere la sfera giuridica del lavoratore, la prima ipotesi ricorre nel caso in cui sussiste solo una connessione con l'attività lavorativa senza che sia individuabile un comportamento illecito del datore di lavoro. Il «bene protetto» è anche in questo caso l'integrità psico-fisica del dipendente ed essa costituisce non l'occasione, ma la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale.

I soggetti che vengono in rilievo si inseriscono in un “rapporto obbligatorio bilaterale” in cui compare una sola parte responsabile ed obbligata ed una sola parte danneggiata. L'Amministrazione statale è, infatti, l'unico soggetto che deve corrispondere sia l'indennità prevista dalle leggi sopra indicate sia la somma risarcitoria in qualità di datore di lavoro pubblico.

Le somme corrisposte, secondo l'Adunanza Plenaria, non possono essere cumulate. La presenza di una condotta unica responsabile che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del medesimo bene giuridico, in capo allo stesso soggetto determina la nascita di rapporti obbligatori sostanzialmente unitari che giustifica l'attribuzione di una, altrettanto unitaria, prestazione patrimoniale finalizzata a reintegrare la sfera personale della parte lesa. In questi casi, l'applicazione delle regole della causalità giuridica impone che venga compensato e liquidato soltanto il danno effettivamente subito dal danneggiato, senza che le suddette attribuzioni possano cumularsi tra di esse. Non si tratta, pertanto, di applicare la regola della compensatio nella sua versione “tradizionale”, che presuppone che la medesima condotta determini un “danno” e un “vantaggio”. In questo caso, infatti, occorre evitare il “cumulo di voci risarcitorie” e non “il cumulo di danno e di lucro”. Il riconoscimento del cumulo implicherebbe, invece, l'attribuzione alla responsabilità contrattuale di una funzione punitiva. L'esistenza, infatti, di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe per esso l'obbligo di corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato con ingiustificata locupletazione da parte di quest'ultimo. Tale risultato non può ammettersi, in quanto manca una espressa previsione legislativa che contempli un illecito punitivo.

In definitiva, nella fattispecie in esame l'accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità.

Anche in un'altra fattispecie per certi versi simile, quella del danno da emoderivati infetti a causa di vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni (l. 25 febbraio 1992 n. 210), la Cassazione, evidenzia l'Adunanza Plenaria, ha affermato che l'indennizzo corrisposto al danneggiato deve essere integralmente scomputato dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento «posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato, di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione)» (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 584; nello stesso senso, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26152).

In conclusione, se si ammettesse la possibilità di cumulare somme dovute anche a titolo diverso, la conseguenza sarebbe quella di assegnare una valenza punitiva al danno risarcibile, in contrasto con la più volte enunciata regola della finalità compensativa e in assenza di una espressa previsione legislativa.

Osservazioni

Anche in dottrina è stato proposto di dare rilievo alla diversità di soggetti che erogano le somme (indennità/pensioni speciali - risarcimento), al fine di evitare il depauperamento ingiustificato di un unico soggetto per la doppia corresponsione in forza di un unico evento dannoso.

La diversità dei soggetti tenuti, per titolo diverso, a pagare indennizzo e risarcimento del danno giustificherebbe la cumulabilità delle somme erogate in capo al danneggiato, con esclusione della regola della compensatio; in questo caso, infatti, non si verificherebbe alcun depauperamento ingiustificato e ogni soggetto sarebbe tenuto a corrispondere la somma dovuta in forza di una normativa in vigore che lo obbliga a tale corresponsione (lo Stato indennizzerebbe con finalità solidaristiche, il responsabile risarcirebbe con funzione riparatoria).

Quando, invece, indennità e risarcimento fossero dovuti dallo stesso soggetto, il meccanismo compensativo, più che l'arricchimento del danneggiato, consentirebbe di evitare il depauperamento “ingiustificato” dello stesso soggetto che per il medesimo fatto in caso contrario pagherebbe due volte, valorizzandone così la sua primaria funzione di strumento utile per la valutazione equa del danno da risarcire, senza pericolo di cadere nella fattispecie tipica dell'art. 2041 c.c.

L'impostazione, fatta propria nella sentenza commentata, non convince.

L'equo indennizzo riconosciuto al dipendente pubblico, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, consiste in “uno speciale riconoscimento economico che viene attribuito quando il lavoratore è esposto per ragioni professionali a subire menomazioni ed infermità fisiche” che ha natura sia previdenziale che retributiva.

Il legislatore, preso in considerazione l'interesse pubblico collegato allo svolgimento di determinate attività lavorative particolarmente pericolose per la salute, o anche solo le condizioni disagevoli per l'espletamento delle mansioni dei dipendenti pubblici, ha predisposto un regime di ristoro del lavoratore pubblico dipendente che, in occasione dello svolgimento di dette attività, subisca una rilevante lesione della sua integrità fisica; essenziale, nel procedimento di riconoscimento dell'equo indennizzo, è l'accertamento della dipendenza dell'infermità da una causa strettamente dipendente dal servizio prestato, mentre del tutto estranea resta la valutazione del comportamento colposo o doloso dell'amministrazione datrice di lavoro (che, anzi, si presuppone, sia stata del tutto indenne da responsabilità nell'organizzare le attività lavorative che hanno determinato l'infermità).

La diversità dei presupposti di fatto, della natura e funzione dell'istituto dell'equo indennizzo rispetto alle ordinarie ipotesi di responsabilità civile, prima dell'intervento qui commentato, era stata posta alla base dell'indirizzo giurisprudenziale assunto dall'Adunanza plenaria con le decisioni n. 14 del 16 aprile 1985 e n. 9 del 16 luglio 1993, e successivamente confermato (v. Cons. Stato Ad. Plen. 8 ottobre 2009, n. 5; Cons. Stato 31 marzo 2009, n. 2009; Cons. Stato 19 gennaio 2011, n. 365; Cons. Stato 4 febbraio 2013, n. 641), secondo cui concessione dell'equo indennizzo e risarcimento del danno (patrimoniale o biologico) sono tra loro compatibili e cumulabili e, inoltre, che l'importo liquidato a titolo di equo indennizzo non può essere detratto da quanto spetta a titolo di risarcimento del danno.

Dunque, sino ad oggi, si era giustificata la cumulabilità valorizzando la diversità della natura e della funzione dei due istituti.

Sulla scia della giurisprudenza ordinaria finora pronunciatasi funditus sulla questione (Cass. civ., sez. lav., sent. 8 giugno 1999 n. 5637; Cass. civ., sez. lav., sent. 6 febbraio 2013 n. 2767; Cass. civ., sez. lav., sent. 26 giugno 2009 n. 15074), si lascia preferire quest'ultima soluzione, fondata soprattutto sulla differenza dei due regimi.

Invero, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione non coincide con il presupposto richiesto per l'attribuzione della rendita per malattia professionale, differenziandosi i due istituti, in particolare, per l'ambito e l'intensità del rapporto causale tra attività lavorativa ed evento protetto, nonché per il fatto che il riconoscimento in oggetto non consente di per sé alcun apprezzamento in ordine all'eventuale incidenza, sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, di altri fattori di natura extraprofessionale. In quest'ottica, il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione, con attribuzione del relativo equo indennizzo, non è ostativo, come consentito dall'art. 11 del d.P.R. n. 191/1979, alla contestuale attribuzione di una rendita vitalizia, ove residui una invalidità permanente, totale o parziale.

Criticabile appare altresì il passaggio motivazionale con il quale si assimila la fattispecie esaminata a quella del danno da emoderivati infetti a causa di vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni. Ciò in quanto l'indennizzo riconosciuto ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati dalla l. n. 210 del 1992 ha senz'altro natura non già risarcitoria, bensì assistenziale in senso lato, riconducibile agli artt. 2 e 32 Cost., ed alle prestazioni poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarietà sociale. Andrebbe, pertanto, rivisto il pur autorevole orientamento (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 584) secondo cui la diversa natura giuridica dell'attribuzione indennitaria ex lege n. 210 del 1992, e delle somme liquidabili a titolo di risarcimento danni per il contagio da emotrasfusione infetta da Hiv ed Hcv a seguito di un giudizio di responsabilità promosso dal soggetto contagiato nei confronti del Ministero della sanità, per aver omesso di adottare adeguate misure di emovigilanza, non osta a che l'indennizzo corrisposto al danneggiato sia integralmente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento posto che, in caso contrario, la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento.

Da ultimo, non convince proprio la valorizzazione, nel caso dell'equo indennizzo, della identità soggettiva tra amministrazione erogante il beneficio e quella tenuta all'eventuale risarcimento.

È, in particolare, da sottoporre a revisione critica l'assunto secondo cui, mentre quando (si pensi al caso dell'emotrasfusione infetta) a corrispondere l'indennità ed il risarcimento sia lo stesso soggetto (lo Stato) il cumulo andrebbe escluso, nell'ipotesi (si pensi agli incidenti stradali) in cui obbligati siano due soggetti diversi (il responsabile del sinistro e lo Stato) le due somme sarebbero cumulabili per il danneggiato escludendo l'applicazione della regola della compensatio.

Al superamento dell'omogeneità delle poste e dei titoli di corresponsione quale condizione necessaria per l'applicazione della regola (non incide la diversa natura giuridica), si contrapporrebbe una nuova condizione circa la diversità di soggetti che erogano le somme (indennità/pensioni speciali – risarcimento) che sola eviterebbe il depauperamento ingiustificato di un unico soggetto per la doppia corresponsione in forza di un unico evento dannoso.

In altri termini, si potrebbe ritenere che la diversità dei soggetti tenuti, per titolo diverso, a pagare indennizzo e risarcimento del danno giustifichi la cumulabilità delle somme erogate in capo al danneggiato, con esclusione della regola della compensatio, poiché in questo caso non si verificherebbe alcun depauperamento ingiustificato: ogni soggetto sarebbe tenuto a corrispondere la somma dovuta in forza di una normativa in vigore che lo obbliga a tale corresponsione (lo Stato indennizza con finalità solidaristiche, il responsabile risarcisce con funzione riparatoria).

Quando, invece, indennità e risarcimento fossero dovuti dallo stesso soggetto, più che l'arricchimento del danneggiato, si dovrebbe sottolineare, nella logica giurisprudenziale, il depauperamento “ingiustificato” dello stesso soggetto che per il medesimo fatto pagherebbe due volte e giustificare in base a ciò l'applicazione della compensatio, valorizzandola così nella sua primaria funzione di strumento utile per la valutazione equa del danno da risarcire.

Restano da segnalare l'affermazione per la quale la compensatio lucri cum damno non ha una sua autonomia dommatica ed il rilievo secondo cui «Non è questa la sede per proporre una possibile soluzione, in quanto si tratta di questioni che, con le ordinanze sopra indicate, sono state rimesse all'esame delle Sezioni unite della Cassazione».

Alla Suprema Corte, allora, spetterà dipanare la matassa.

Guida all'approfondimento

DI COSTANZO, La riparazione dei danni da trasfusioni e da somministrazione di emoderivati infetti, in Rass. dir. civ., 1997, 90;

M. FERRARI, I nuovi confini della “compensatio lucri cum damno, in Il diritto degli affari.it 26 luglio 2014;

GORGONI, Responsabilità per emotrasfusione: risarcimento o indennizzo?, in Danno e resp., 1997, 798;

G. GRASSELLI, La portata del principio della compensatio lucri cum damno al vaglio delle sezioni unite, in Danno e resp., 2015, 12, 1164;

LOCATELLI, Danno no fault da vaccinazioni obbligatorie e facoltative e diritto all'indennizzo, in Resp. civ. prev., 2012, fasc. 6, 1893 ss.

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