Società estinta e responsabilità dei soci per debiti sopravvenuti alla cancellazione
25 Luglio 2018
Massima
L'estinzione della società e la cancellazione dal registro delle imprese non comporta anche l'estinzione dei debiti tributari insoddisfatti, realizzandosi, in tal caso, un fenomeno di tipo successorio, per cui gli stessi debiti si trasferiscono in capo ai soci. E anche i crediti sopravvenuti alla data della cancellazione non esulano da tale disciplina, sussistendo comunque la piena responsabilità dei soci, che opera indipendentemente dalla mancata definitività del debito tributario al momento del riparto in base alle risultanze del bilancio finale di liquidazione e non subisce limitazione in ragione dell'entità del conferimento in favore dei soci.
Il caso
L'Agenzia delle Entrate, il 2 gennaio 2012, notificava ai soci di una società posta in liquidazione e cessata per effetto della cancellazione dal Registro delle imprese, avvenuta in data 24/04/2009, avvisi di accertamento per maggiori imposte IRES, IVA ed IRAP, relative all'anno 2006, a carico della predetta società. Uno dei soci appellava la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il suo ricorso. La Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, accogliendo l'appello, annullava gli avvisi di accertamento, ritenendo che l'azione di responsabilità, prevista dal combinato disposto dell'art. 2495 c.c. e dell'art. 36 del d.P.R. n. 602/1973, non fosse esperibile nei confronti dei soci, non sussistendo un titolo di credito certo e definitivo, precostituito dall'Amministrazione in tempo anteriore alla chiusura della liquidazione societaria ed alla cancellazione dal registro delle imprese.
Avverso la suddetta sentenza l'Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione, censurando la violazione degli artt. 2495 c.c. e 36 del d.P.R. n. 602/1973. Secondo l'Amministrazione finanziaria, la CTR aveva infatti errato nel condizionare il soddisfacimento dei creditori all'esecutività dell'accertamento tributario ed all'attribuzione patrimoniale effettuata a favore del socio in base al bilancio finale di liquidazione, laddove, secondo i giudici di appello, tale conferimento, sotto forma di danaro o altri beni sociali, avrebbe rappresentato il fondamento ed il limite di ogni pretesa avanzata dai creditori sociali, per cui, non sussistendo un credito erariale accertato in via definitiva prima della liquidazione e dunque del conferimento ai soci, qualsiasi pretesa fiscale avanzata nei loro confronti risultava priva di efficacia.
Secondo la Suprema Corte, il ricorso era fondato.
I giudici di legittimità evidenziano infatti che, secondo la giurisprudenza della Corte, dall'estinzione della società, derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non discende l'estinzione dei debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, poiché, in tale ipotesi, si riconoscerebbe al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, con conseguente ingiustificato sacrificio dei creditori (cfr., Cass., Sez.Un., 12 marzo 2013, n. 6070, Cass. 23 maggio 2017, n.12953, Cass. 28 dicembre 2017, n. 31040). L'estinzione della società determinava, pertanto, un fenomeno di tipo successorio, tale per cui i debiti insoddisfatti della stessa si trasferiscono in capo ai suoi soci, laddove, con riguardo al meccanismo successorio, la Cassazione ha già più volte precisato che non può essere condiviso l'orientamento secondo cui i soci subentrano dal lato passivo nel rapporto d'imposta solo se e nei limiti in cui abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
I soci, in sostanza, devono sempre essere individuati come coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (cfr., Cass. civ., 7 aprile 2017, n. 9094, Cass. civ., 16 giugno 2017, n. 15035). La questione
La Commissione Tributaria Regionale, escludendo il soddisfacimento dei crediti erariali nell'ipotesi di loro non esecutività al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, secondo la Cassazione, aveva quindi fatto malgoverno dei principi elaborati in sede di legittimità, non esulando dalla disciplina di cui all'art. 2495 c.c. i crediti oggetto di accertamento sopravvenuti alla data della cancellazione, in relazione ai quali sussiste, comunque, la piena responsabilità dei soci. Tale responsabilità, aggiunge la Corte, opera infatti indipendentemente dalla mancata definitività del debito tributario al momento del riparto in base alle risultanze del bilancio finale di liquidazione e non subisce limitazione alcuna in ragione dell'entità del conferimento in favore dei soci. Le soluzioni giuridiche
L'azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, ex art. 2495 c.c., si fonda sull'inosservanza degli obblighi suoi propri, mentre quella ex art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 è riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c. ed integra un'ipotesi di responsabilità propria ex lege, in funzione del prioritario soddisfacimento dei crediti tributari. La Suprema Corte, nella sentenza in commento, richiama la decisione delle Sezioni Unite (SS.UU., 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072), che hanno individuato la ratio dell'art. 2495 c.c. «nell'intento d'impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest'ultimo del suo diritto ... questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati» e ciò tanto più che «il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s'identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica».
Vero è che un successivo orientamento della stessa Corte (Cass. civ., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass. civ., 26 giugno 2015, n. 13259; da ultimo Cass. civ. 31 gennaio 2017, n. 2444), aveva reputato che «gli ex soci possono ritenersi subentrati dal lato passivo nel rapporto d'imposta solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione», ma tali conclusioni, come già osservato anche da Cass. civ. 7 aprile 2017, n. 9094, non sono in linea con i citati principi affermati dalle Sezioni Unite, che, come visto, individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, a prescindere anche dall'aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
Anche considerato che, peraltro, anche laddove dal bilancio finale di liquidazione emerga ufficialmente che non c'è stato riparto a favore dei soci, l'Amministrazione Finanziaria potrebbe contestare che vi sia stata comunque una distribuzione occulta tra gli stessi soci. In conclusione, pur essendoci ancora alcune statuizioni della Corte, che, senza apparente consapevolezza del contrasto, riprendono un orientamento smentito dalle Sezioni Unite, bisogna confermare il principio secondo cui, anche in caso di estinzione delle società, il successore (nel caso di specie, il socio) che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore. Osservazioni
Lo “scatto” in più della sentenza in esame consiste nel dire espressamente che la responsabilità dei soci si estende anche ai debiti tributari non definitivi all'atto della cancellazione della società. Altre pronunce avevano infatti raggiunto conclusioni diverse. La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, per esempio, con la sentenza n. 576/4/17 del 23 maggio 2017, aveva affermato che, se la verifica fiscale ha avuto inizio successivamente alla avvenuta cancellazione dal Registro delle Imprese della società verificata, la stessa verifica si considera effettuata a carico di un soggetto passivo non più esistente, giusta anche la previsione di cui all'art. 2495 del Codice Civile.
I giudici di merito avevano peraltro anche rilevato come la disposizione di cui all'art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175/2014, ai sensi del quale l'estinzione della società di cui all'art. 2495 del Codice civile avrebbe effetto solo una volta trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese, non ha effetto retroattivo e pertanto la società, già cancellata a gennaio 2014, non era più suscettibile di subire accertamenti fiscali, essendo carente di legittimazione passiva, in quanto estinta. Come comunque chiarito dalle Sezioni Unite e ora, ancor più nettamente, dalla sentenza in commento, deve escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l'estinzione dell'ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti (definitivi o meno che siano) che la società aveva nei riguardi dei terzi. L'estinzione della società determina comunque l'intrasmissibilità della sanzione ex art. 8, D.Lgs. n. 472/1997 e ciò, a maggior ragione, a fronte del principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni e ciò, a maggior ragione, a fronte del principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie, introdotto dall'art. 7, comma 1, D.L. n. 269/2003, conv. nella Legge n. 326/2003.
Da un punto di vista processuale, poi, anche la legittimazione viene acquistata dai soci, i quali soltanto e nei cui confronti soltanto possono rispettivamente proporre e debbono essere proposte le eventuali impugnazioni (cfr. Cass. civ. 6 giugno 2012, n. 9110, che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio, nel giudizio in cui era stata originariamente parte la società poi cancellata), rimanendo esclusa una concorrente legittimazione processuale dell'ex liquidatore, rimasto privo, a seguito della estinzione della società, del potere di rappresentanza (e dunque anche del potere di conferimento della procura "ad litem", che, se rilasciata, deve ritenersi affetta da nullità: cfr. Cass. civ., 3 novembre 2011, n. 22863).
Cessata la capacità processuale della società, qualora l'evento estintivo della persona giuridica sia stato portato ritualmente a conoscenza della controparte o del Giudice tributario, il giudizio deve essere in ogni caso interrotto, dando così modo ai soggetti legittimati di riassumere nei termini di legge.
Se poi l'evento estintivo non viene dichiarato dal difensore della società:
a) la notificazione della sentenza fatta all'originario procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione però del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, primo comma, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza "aliunde" di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. da parte del notificante.
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