Lavori di ristrutturazione su immobili di terzi: le SS.UU. chiariscono il perimetro della detrazione IVA
01 Agosto 2018
Massima
Deve riconoscersi il diritto alla detrazione IVA per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l'attività d'impresa o professionale, anche se quest'ultima sia solo potenziale o di prospettiva. E ciò pur se, per cause estranee al contribuente, la predetta attività non abbia potuto concretamente esercitarsi. Il caso
Una società di capitali italiana, interamente partecipata da una società di diritto statunitense, eseguiva dei lavori di ristrutturazione su di un complesso immobiliare di proprietà della controllante americana, detenuto dall'italiana in virtù di un contratto di locazione e destinato a residence per vacanze. I predetti lavori di ristrutturazione venivano pagati dalla società italiana, la quale procedeva a versare la relativa IVA al prestatore. Ultimati i lavori di ristrutturazione, la società italiana e quella statunitense venivano fuse per incorporazione e, successivamente, la società neo-costituita vendeva il complesso ad una società terza, avente la medesima compagine sociale della venditrice, senza quindi intraprendere l'attività d'impresa di residence per vacanze per la quale i lavori di ristrutturazione erano stati eseguiti.
L'Agenzia delle Entrate procedeva, tra l'altro, al recupero dell'IVA detratta dalla società venditrice, anche sull'assunto che la medesima non aveva poi avviato l'attività imprenditoriale. La contribuente impugnava la pretesa avanzata dall'Agenzia delle Entrate ed il giudizio di merito si concludeva con il rigetto della domanda della parte privata. L'adita Corte di Cassazione, riscontrando due diversi ed opposti orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine alla detraibilità dell'Iva versata per interventi su beni di proprietà di terzi, procedeva a rimettere la controversia al Primo Presidente per una decisione a Sezioni Unite. La questione
La questione affrontata attiene al diritto alla detrazione dell'IVA relativa ai lavori di ristrutturazione immobiliare, con particolare riguardo all'ipotesi in cui: i) il tributo sia versato dal contribuente per un intervento su di un bene altrui (cioè non di proprietà del contribuente che versa l'IVA); ii) il contribuente creditore dell'IVA assolta sulle fatture relative alla ristrutturazione non intraprenda, una volta eseguiti i lavori, l'attività imprenditoriale per la quale i lavori erano stati effettuati.
È bene premettere che il diritto alla detrazione è disciplinato dall'art. 19, d.P.R. n. 633/1972 e riguarda “l'imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio d'impresa, arte o professione”. Per la legislazione italiana è necessario, da un lato, che gli acquisti di beni e servizi si riferiscano alle operazioni che saranno poi effettuate; dall'altro lato è necessaria la contemporanea inerenza del costo con l'attività d'impresa, arte o professione svolta dal soggetto passivo. La detrazione, insieme col meccanismo della rivalsa, realizza la neutralità dell'imposta e, per tale motivo, la giurisprudenza europea la ritiene non limitabile, quanto meno in linea di principio. Tanto premesso, le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state chiamate a risolvere la questione di diritto suddetta, e cioè se sia ammissibile la detrazione dell'IVA assolta da un soggetto che ha eseguito dei lavori di ristrutturazione su un immobile di proprietà di terzi, nel particolare caso in cui il contribuente/conduttore/soggetto passivo IVA non abbia poi, concretamente, avviato l'attività d'impresa per la quale valutare l'inerenza della spesa. La soluzione giuridica
La rimessione alle Sezioni Unite della Suprema Corte è dipesa dalla presenza di due diversi e contrastanti orientamenti in seno alle Sezioni semplici: da un lato è stata riconosciuta la detraibilità dell'Iva assolta sui lavori di ristrutturazione di beni immobili di proprietà di terzi, dall'altro detto diritto è stato negato. Vediamo nel dettaglio i due orientamenti.
Con la sentenza 30 aprile 2009, n. 10079, la S. C. ha stabilito che le spese di miglioramento dei locali destinati all'agriturismo, che siano detenuti in virtù di un affitto d'azienda agricola, rientrano, come ogni altro bene e servizio acquisito dall'imprenditore e strumentale alla predisposizione dell'offerta produttiva, tra le spese generali che sono poi recuperate dal Fisco nel momento in cui l'imprenditore genera l'afferente ricavo. Con la sentenza 16 febbraio 2010, n. 3544, la S. C. ha ribadito che risulta irrilevante che l'imprenditore detentore del fondo non sia proprietario, perché l'affittuario è legittimato, in base al diritto civile, ad eseguire le opere di miglioramento che gli consentano il miglior esercizio dell'attività imprenditoriale e perché, comunque, le predette spese costituiscono un costo dell'attività d'impresa che va considerato nella suo insieme e che produrrà, sia pure presuntivamente, un maggior reddito d'impresa che sarà, a sua volta, fonte di imposizione IVA.
Come si nota, per riconoscere il diritto alla detrazione dell'IVA assolta sui lavori di ristrutturazione di beni di terzi, la Corte ha dato rilievo alla circostanza oggettiva dell'inerenza della spesa rispetto all'attività imprenditoriale del soggetto che ha detratto l'imposta, stabilendo che la detrazione spetta (anche) perché il costo si presume sostenuto in funzione di generare ricavi da assoggettare, poi, ad IVA. Per completezza si evidenzia che, parallelamente alla giurisprudenza che ha riconosciuto il diritto alla detrazione dell'IVA su beni altrui, vi è quella che si occupata della questione relativa all'imposizione diretta, stabilendo l'analogo principio di deducibilità del costo perché inerente all'attività d'impresa (in tal senso Cass. civ., 30 agosto 2016, n. 17421; 17 giugno 2011, n. 13327).
L'indirizzo contrario ed opposto è stato espresso nella sentenza 10 febbraio 2006, n. 2939. In questo caso l'Ufficio aveva disconosciuto la detrazione Iva del conduttore di un contratto di locazione sull'assunto che il vantaggio derivante dalla ristrutturazione andasse in capo al proprietario/locatore. La S. C. ha confermato tale impostazione proprio sull'assunto che il beneficiario delle opere edilizie fosse unicamente il locatore e, pertanto, in capo al conduttore non si sarebbe ravvisata l'inerenza necessaria all'esercizio del diritto di detrazione. Anzi, la Corte arriva a qualificare la detrazione in commento come “un'operazione causativa di effetti elusivi d'imposte”, visto che “i principi normativi che regolano il contratto di locazione prevedono che le riparazioni straordinarie ... rimangono a carico del locatore”. La tesi “restrittiva” è stata confermata, seppur non in via diretta, da Cass. civ., 12 luglio 2007, n. 15808, dove la S. C. ha affermato il seguente principio di diritto: “è pacifico che i lavori di ristrutturazione posti in essere in un edificio si risolvono in un vantaggio per il proprietario dell'edificio … e quindi nel caso di specie in una forma diversa di corresponsione del canone. Dunque la proprietà non poteva “abbattere” i canoni percepiti sol perché una parte di essi venivano trattenuti dal conduttore a titolo di pagamento dei lavori eseguiti nell'interesse del proprietario ed a beneficio dello stesso”. Si segnala, come sopra, che anche in materia di indeducibilità dei costi ai fini delle II. DD. v'è un filone giurisprudenziale che ha escluso la deduzione (Cass. civ., 25 marzo 2011, n. 6936).
La soluzione giuridica sposata dalle Sezioni Unite in commento amplia, per così dire, la tesi “permissiva”, nel senso che riconosce il diritto alla detrazione anche nel caso di proprietà di terzi del bene, essendo rilevante, per l'esercizio del diritto, la sola inerenza della spesa con l'attività d'impresa esercitata. In realtà, a ben vedere, la Corte è andata oltre al concetto di inerenza come analizzato nelle decisioni richiamate; nel caso di specie, come detto, si tratterebbe di un'inerenza solo ipotetica, che non deve necessariamente manifestarsi: non occorre che l'attività d'impresa a valle delle opere edilizie sia poi effettivamente esercitata, perché si può detrarre l'IVA se e quando i lavori eseguendi sono astrattamente inerenti all'attività del contribuente. Fa però eccezione a questa regola, secondo le Sezioni Unite, il caso in cui l'attività imprenditoriale non sia iniziata per cause imputabili direttamente al contribuente.
In definitiva, la soluzione giuridica adottata nel caso di specie è stata quella di riconoscere la detrazione a fronte di “un nesso di strumentalità che viene meno soltanto quando l'attività economica anche potenziale cui avrebbe dovuto accedere non sia stata intrapresa per circostanze non estranee al contribuente”.
È il caso di ricordare, per dare un quadro completo dello stato dell'arte della giurisprudenza sul tema in commento, che il diritto alla detrazione su beni altrui era già stato affermato dalla giurisprudenza unionale nell'importante caso Iberdrola, sent. Corte di Giustizia UE 14 settembre 2017, causa C-132/16 (sentenza anche richiamata dalla Sezioni Unite nella decisione oggetto di commento). Osservazioni
La sentenza in commento esprime, in linea generale, un principio di diritto condivisibile, perché il parametro per valutare il diritto alla detrazione dell'IVA - cioè il parametro per garantire il principio cardine di neutralità di detta imposta sul soggetto passivo - non può che essere l'inerenza del costo. Si è detto, però, che la normativa nazionale richiede, oltre all'inerenza, anche un nesso concreto di afferenza tra il costo (a monte) e l'effettiva attività svolta (a valle), cioè il costo o l'acquisto deve essere sostenuto per l'attività che andrà a generare poste attive rilevanti per l'IVA.
Sul punto pare opportuno precisare che l'ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni Unite (ord. 22 settembre 2017, n. 22089) aveva evidenziato espressamente che “Rispetto alle fattispecie esaminate e risolte dalla Suprema corte nel senso della … detraibilità dell'imposta, la fattispecie in oggetto … sembra presentare la particolarità derivante dal fatto che, in questo caso, le spese di ristrutturazione dell'immobile altrui sono state sostenute in vista di un futuro esercizio di un'attività imprenditoriale che non è mai stata avviata”. La decisione presa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, come detto, va oltre il concetto di inerenza inteso come correlazione tra costo (con afferente Iva a debito) e il bene immobile ristrutturato (inteso come strumento che, se “utilizzato”, determina un'Iva a credito): l'inerenza può essere anche solo potenziale, cioè è da valutare in astratto, perché non rileva la circostanza per cui l'immobile oggetto di intervento edilizio sia poi immesso nell'attività imprenditoriale.
Risulta evidente che detto assunto necessiti di un correttivo per evitare facili utilizzi strumentali dei rapporti obbligatori (locazione, comodato ecc) al fine di sottrarsi alla tassazione indiretta: per la Suprema Corte l'inerenza, se può essere solo potenziale, può non diventare “concreta e reale” a condizione che ciò non dipenda da cause imputabili al contribuente. Diversamente non spetterà la detrazione.
Ed allora, in definitiva, l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite risulta condivisibile, ben argomentato e rispettoso delle disposizioni e della giurisprudenza europea.
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