Annullamento dell'atto prodromico: riflessi sull'esecuzione della sentenza e sul contraddittorio preventivo

23 Agosto 2018

La sentenza tributaria non definitiva che ha annullato l'atto presupposto, essendo immediatamente esecutiva, ne comporta l'immediata inefficacia. Pertanto, qualsiasi attività di riscossione, anche avente natura cautelare, è illegittima e ciò ne implica tout court l'interruzione o l'inibizione. Sicché, assume rilevanza l'esperimento del contraddittorio preventivo il quale, evita al contribuente di subire l'illegittima e l'infondata attività della riscossione.
Massima

La sentenza tributaria non definitiva che ha annullato l'atto presupposto, essendo immediatamente esecutiva, ne comporta l'immediata inefficacia.

Pertanto, qualsiasi attività di riscossione, anche avente natura cautelare, è illegittima e ciò ne implica tout court l'interruzione o l'inibizione. Sicché, assume rilevanza l'esperimento del contraddittorio preventivo il quale, evita al contribuente di subire l'illegittima e l'infondata attività della riscossione.

Il caso

A seguito dell'impugnazione dell'atto impositivo presupposto, questo veniva annullato dalla CTP di Bari con sentenza. In pendenza del termine – lungo – di appello, il contribuente riceveva la cartella di pagamento riferita all'atto presupposto – predetto- annullato dalla sentenza (non ancora definitiva). Il medesimo contribuente, impugnava la cartella di pagamento rilevando, in primis, l'illegittimità dell'atto della riscossione in quanto emessa nonostante una pronuncia di annullamento dell'atto presupposto e, dunque, in violazione delle disposizioni di legge che regolano l'immediata esecutività delle sentenze tributarie ex artt. 67-bis e 69 del D.Lgs. n. 546/1992.

In secundis, non meno importante, il contribuente eccepiva la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo (facendo buon governo della sentenza resa dalla Suprema Corte di Cassazione Sezioni Unite civili, n. 19667/2014), sulla scorta del fatto che se solo esso fosse stato attivato, l'Agente della Riscossione – rimasto contumace nel giudizio sull'atto presupposto – sarebbe venuto a conoscenza della sentenza che aveva annullato l'atto, ed avrebbe, dunque, evitato al contribuente un ulteriore aggravio della sua difesa.

La questione

La questione trae origine dall'emissione di una sentenza di annullamento di un atto di revoca di beneficio fiscale, in seguito alla quale e nelle more del termine lungo di impugnazione, veniva notificata al contribuente da parte dell'Agente della Riscossione - rimasto contumace nel giudizio predetto - la cartella di pagamento con iscrizione a ruolo ordinario avente ad oggetto la pretesa annullata.

Il contribuente, dunque, si trovava da un lato con la sentenza (non definitiva) di annullamento dell'atto impositivo e dall'altro lato con la cartella di pagamento fondata su una pretesa inesistente per effetto dell'annullamento.

Veniva, pertanto, impugnata la cartella di pagamento sul primario assunto che la sentenza tributaria di annullamento dell'atto fosse immediatamente esecutiva, tanto, a seguito delle modifiche intervenute con il decreto di riforma, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, con decorrenza a partire dal 1° giugno 2016, che con l'inserimento dell'articolo 67-bis e la riscrittura dell'art. 69 del D.Lgs. n. 546/1992, hanno modificato l'impianto del capo dedicato all'esecuzione delle sentenze tributarie.

A riguardo, occorre specificare che l'istituto dell'immediata esecutività delle sentenze, per cui la sentenza è provvisoriamente esecutiva, non era, prima della riforma suddetta, di unanime applicazione nell'ambito degli ordinamenti processuali, infatti l'unica eccezione era rappresentata proprio da quello tributario.

Infatti, l'efficacia esecutivariconosciuta ope legis a tutte le sentenze di primo grado, quale espressione di fiducia dell'ordinamento nei confronti di coloro che sono l'espressione del potere giudiziario (giudici), trovava ostacolo solo nell'ambito del processo tributario.

Tant'è che anche nella formulazione ante riforma dell'art. 68, comma 2, D.lgs. n. 546/1992 – che regola il pagamento dei tributi in pendenza di giudizio – nonostante l'espresso riconoscimento del diritto all'immediato rimborso del tributo già corrisposto a fonte di una sentenza di primo grado non definitiva favorevole al contribuente, di fatto nella prassi la norma veniva puntualmente disattesa dalle Amministrazioni fiscali.

Orbene, tale essendo il panorama processuale, l'istituto dell'esecuzione delle sentenze tributarie è stata oggetto di revisione legislativa con il D.Lgs. n. 156/2015, su indicazione della Legge delega n. 23/2014 mediante la quale si demandava al legislatore il compito di inserire nell'ordinamento processuale tributario “la previsione dell'immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie”.

Infatti, la relazione illustrativa al decreto di riforma, riferisce, proprio, che le modifiche in argomento rispondono alla necessità di introdurre un principio generale che riconosca l'esecutività immediata delle sentenze tributarie a favore del contribuente emesse dalle commissioni tributarie provinciali e regionali, equiparandole a quelle adottate nel giudizio civile e amministrativo.

Dunque, le modifiche alla disciplina in commento sono state dettate al fine di uniformare la disciplina dell'esecutività delle sentenze – tributarie – a quella processual-civilistica e amministrativistica, equiparando, quindi anche la posizione delle parti processuali ovvero fisco e contribuente, rimuovendo così le distinzioni tra sentenze a favore o sfavore del contribuente.

Tant'è che è stato introdotto l'articolo 67-bis, a mente della quale “Le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo.”, e modificato l'articolo 69, rubricato “Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente”, nel quale il legislatore della riforma chiarisce la portata dell'esecutività. Infatti, l'articolo al suo primo comma riferisce che: “Le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'articolo 2, comma 2, sono immediatamente esecutive.”

Il predetto articolo, dunque, definisce la portata dell'efficacia esecutiva delle sentenze c.d. di rimborso, ovvero quelle che prevedono la restituzione di somme a favore del contribuente: esso, infatti, ora non deve più attendere il passaggio in giudicato della sentenza per ottenerle.

Di fatto, se vi è espressa chiarezza nel caso dell'esecutività di sentenze che contengono una condanna in favore del contribuente per espressa previsione contenuta dell'art. 69 predetto, non altrettanto può dirsi per le sentenze di – mero – annullamento di atto, come quella emessa a favore del contribuente nella vicenda de quo.

Infatti, dal quadro normativo testè delineato, la perplessità risiede nel fatto che in sede di applicazione delle norme la esecutività sia ammessa solo alle sentenze che prevedono una espressa condanna della Amministrazione al “pagamento di somme” a favore del contribuente, e non anche a quelle di mero annullamento di atto.

Ebbene, la questione alla base della vicenda in commento, sta proprio nello stabilire se la pronunzia favorevole al contribuente, sia pure soggetta ad impugnazione, sia idonea ad opporsi, ovvero riflettersi utilmente, sugli atti della riscossione, oppure se essa rimane congelata fino alla sua definitività o al sopraggiungere di una sentenza sfavorevole al contribuente.

Altra questione, non meno importante, portata all'attenzione dei primi giudici baresi, risiede nell'obbligatorietà (o meno) dell'invito al contraddittorio preventivo tra Agente della riscossione e contribuente destinatario di un atto lesivo della sua sfera giuridica patrimoniale.

Come noto, con la sentenza n. 19667/2014 la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili, ha sancito sempre a carico dell'Agente della riscossione, il generale obbligo di attivare il contraddittorio preventivo rispetto all'adozione di un provvedimento, di qualsiasi genere e specie, che possa incidere negativamente sui diritti e sugli interessi del contribuente. In caso contrario l'atto è nullo.

Nel giudizio avverso la cartella di pagamento, il contribuente sollevava la nullità della cartella di pagamento (anche) sotto il profilo dell'omesso invito al contraddittorio endoprocedimentale, tanto più dal momento che nel giudizio sull'atto prodromico la cartella, l'Agente della riscossione era rimasto contumace.

Dunque, tale motivo, nel caso di specie, diveniva ancor più rilevante dal momento che se solo l'esattore lo avesse attivato il contraddittorio, sarebbe venuto a conoscenza della sentenza sull'atto prodromico ed avrebbe evitato al contribuente un ulteriore aggravio alla sua difesa, sfociata, inevitabilmente in sua mancanza, nella tutela giudiziaria del giudice tributario.

Le soluzioni giuridiche

Sulla base delle argomentazioni testè illustrate, i giudici di prime cure, nell'accogliere le tesi del contribuente, hanno, da un lato dichiarato l'immediata esecutività della sentenza tributaria non ancora passata in giudicato di mero annullamento, e dall'altro lato, hanno confermato l'obbligo, a carco dell'Agente della riscossione, di attivare il sempre il contraddittorio preventivo.

Per quanto attiene il primo profilo, i giudici, sposando totalmente la tesi del contribuente, hanno attribuito alla sentenza di annullamento dell'atto presupposto immediata efficacia esecutiva, anche se non definitiva, in applicazione del novellato articolo 67-bis, del D.Lgs. n. 546/1992.

Spiega ineccepibilmente la CTP barese, infatti, che: la disciplina attualmente in vigore prevede che non è più necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza affichè essa spieghi i suoi effetti. Infatti, essendo il giudizio tributario un giudizio sull'atto impugnato in cui l'obbligazione tributaria viene in rilievo solo in quanto oggetto dell'atto medesimo, la successiva sentenza di accoglimento del ricorso avverso l'atto impositivo ed il conseguente annullamento dello stesso, che implica l'eliminazione dell'atto dal mondo giuridico, comporta i venir meno della pretesa vantata dall'Amministrazione.

Pertanto, quando il Giudice Tributario annulla, totalmente l'atto impositivo (pur se in via non definitiva), quest'ultimo perdere efficacia in toto e non può più legittimare, in radice, l'inizio o la prosecuzione di un'azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare.

In altri termini con l'accoglimento del ricorso suddetto, viene meno il titolo idoneo a fondare la riscossione del tributo e contestualmente l'atto impugnato – cartella di pagamento – ed il relativo ruolo sono illegittimi in quanto affetti da nullità assoluta (Cfr. MEF Decreto n. 22 del 06-02-2017 e C. Cass. sent. n. 758 del 13-01-2017).” .

Orbene, con la pronuncia in oggetto i primi giudici ricalcano il principio fatto proprio dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili, con sentenza del 13 gennaio 2017, n. 758, intervenuta addirittura su una vicenda alla quale non si applicavano ancora le modifiche introdotte dal D.lgs. n. 156/2015, nella quale gli Ermellini hanno statuito che: “Se, dunque, il giudice tributario – conformemente al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale il processo tributario e' annoverabile non tra quelli di “impugnazione-annullamento” bensì tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto e' diretto non alla mera eliminazione dell'atto impugnato, ma, estendendosi al rapporto d'imposta, alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione del contribuente sia dell'accertamento dell'amministrazione (tra altre, Cass. civ. nn. 4280/2001, 3309/2004, 6918/2013, 19750/2014) – annulla, totalmente o parzialmente, l'atto impositivo (pur se in via non definitiva in attesa dell'eventuale giudizio di impugnazione), quest'ultimo, rispettivamente in toto o nei limiti della parte annullata, non può che perdere efficacia quale titolo idoneo a legittimare, in radice, l'inizio o la prosecuzione di un'azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare: riconoscere all'istituto in esame una capacità di resistenza all'annullamento, ancorché non ancora irretrattabile, dell'avviso di accertamento che ne costituisce il presupposto di base, cioè, in definitiva, al venir meno anche della mera probabilità di fondatezza della pretesa tributaria in ragione della quale la misura e' adottata (e quindi dell'esistenza del diritto di credito il cui soddisfacimento si intende garantire), non ha fondamento normativo e non risponde ad un equo bilanciamento degli interessi contrapposti.”.

Alla luce di tale ragionamento, gli Ermellini hanno affermato il principio di diritto secondo cuiqualora intervenga una sentenza, anche se non passata in giudicato, del giudice tributario che annulla, in tutto o in parte, l'atto impositivo, l'ente impositore (così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento) ha l'obbligo di agire in conformità alla statuizione giudiziale, sia nel caso in cui l'iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio e, eventualmente, di rimborso dell'eccedenza versata”.

Ebbene, la riferita sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione, non fa che eliminare, di fatto, la dicotomia esistente tra l'immediata esecuzione di sentenze tributarie rispetto a quelle civili o amministrative, rafforzando e confermando l'obbligo posto a carico delle Amministrazioni di dare pronta esecuzione alle sentenze quand'anche non ancora passate in giudicato.

Di talchè, alla luce delle recenti modifiche ed ossequio al principio testè riportato si deve concludere che ogni sentenza di annullamento dell'atto ha efficacia immediatamente esecutiva: è idonea, dunque, a stroncare in radice, l'inizio o la prosecuzione di un'azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare. Una qualsivoglia attività di riscossione, infatti, sarebbe sempre ed in ogni caso infondata ed illegittima.

Quanto al secondo profilo di obbligatorietà del contraddittorio preventivo, la CTP barese afferma la necessarietà di tale istituto, tanto, ancor più, quando, se attivato, avrebbe potuto evitare ulteriori aggravi al contribuente.

Infatti, nel giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento, il contribuente sollevava la violazione del diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario di essere sentito prima dell'emanazione di un provvedimento di qualsiasi genere e specie, che possa incidere negativamente sui diritti e sugli interessi del medesimo, che realizza l'inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall'art. 24 Cost., ed il buon andamento dell'amministrazione, presidiato dall'art. 97 Cost., nonché sancito dall'articolo 12 dello Statuto del contribuente. Tanto, diviene ancor più fondamentale dal momento in cui, come anticipato, l'Agente della riscossione era rimasto contumace nel giudizio avente ad oggetto l'annullamento dell'atto presupposto.

Ebbene, i primi giudici accolgono appieno tale motivo di impugnazione, corroborando, ancora una volta l'orientamento espresso dalla famigerata sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili, n. 19667/2014, nonché sulla scorta di un elemento ulteriore introdotto dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 406/2015, stante nella dimostrazione da parte del contribuente che, “qualora avesse potuto presentare le proprie deduzioni difensive l'esito del procedimento sarebbe stato diverso”.

Detto in buona sostanza, l'operato dell'Agente della riscossione è stato censurato sotto tale profilo, in quanto il contraddittorio preventivo, comunque obbligatorio, avrebbe consentito, tanto più nel caso di specie, all'esattore di conoscere la sentenza di annullamento dell'atto presupposto dal momento che esso era rimasto contumace nel giudizio sull'atto. Di fatto, dunque, tale omissione si è tradotta non solo in una violazione tout court del diritto al contraddittorio, ma fondata sul'ulteriore elemento dettato dalla necessità di un previo confronto che avrebbe potuto evitare il giudizio.

Infatti, per usare le parole dei giudici, “se il ricorrente fosse stato invitato al contraddittorio preventivo da parte dell'Agente della Riscossione avrebbe potuto palesare l'esistenza della sentenza emessa dalla CTP di Bari (…) di annullamento dell'atto presupposto alla cartella impugnata ed evitare in tal modo di subire a suo carico la illegittima ed infondata pretesa contenuta nell'atto opposto”.

Osservazioni

Con la sentenza di merito in commento, i Giudici tributari baresi affrontano il profilo dell'immediata esecutività della sentenza tributaria diversa da quelle di condanna a favore del contribuente.

La questione affrontata, nel panorama giuridico tributario, diviene ancor più degna di attenzione alla luce dei recenti interventi in sedes materiae, mediante il decreto di riforma n. 156/2016, che se da un lato ha certamente eliminato la discrasia tra disciplina tributaria e civile-amministrativistica, allineando la prima alle seconde, stando alla lettera delle norme introdotte e modificate non fornisce, almeno di primo acchito, un quadro completo ed organico dell'istituto.

Infatti, come anticipato nel commento, se certamente la sentenze contenenti una condanna a favore del contribuente ex articolo 69 D.Lgs. n. 545/1992, ovvero quelle di rimborso, sono immediatamente esecutive, non vi è una espressa previsione relativa alle sentenze di “mero” annullamento di atto, che rappresentano la gran parte delle sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie.

Per tale ragione la sentenza in esame apporta un tassello, non scontato, all'istituto dell'immediata esecutività delle sentenze di annullamento di atto (non definitive).

I giudici baresi, nel confermare l'applicabilità nei confronti delle medesime dell'articolo 67-bis del D.Lgs. n. 545/1992, e dunque rendendo non necessario il passaggio in giudicato della sentenza affinché essa spieghi i suoi effetti, ne approfondiscono la portata.

Invero, l'immediata esecutività della sentenza che annulla l'atto (pur se in via non definitiva), è fondamentale sul piano degli effetti, infatti, salvo l'accoglimento dell'istanza di sospensione, l'impugnazione dell'atto tributario non ne sospende la sua efficacia ai fini della riscossione.

La sentenza in commento, dunque, andando anche oltre una seplice asserzione di esecutività della sentenza di mero annullamento dell'atto impugnato, riferisce che esso perdere efficacia in toto e non può più legittimare, in radice, l'inizio o la prosecuzione di un'azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare.

Detta in altri termini, anche l'esecuzione di un ruolo straordinario da parte dell'Agente della Riscossione (che ha natura cautelare) perde immediatamente efficacia senza che si attenda il passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato l'atto. Tanto, in quanto, specificano i giudici, venendo meno il titolo idoneo a fondare la riscossione del tributo il ruolo formato (ordinario o straordinario) e gli atti successivi – della riscossione – sono illegittimi, ovvero affetti da nullità assoluta.

Tale conclusione trova il conforto nella pronuncia della Corte di Cassazione n. 758 del 13 gennaio 2017, che prendeva posizione addirittura applicando la normativa ante riforma (ante D.Lgs. n. 156/2015), facendo buon governo del generale rinvio alle norme del codice di rito ordinario, e quindi anche al D.Lgs. n. 546/1992, articolo 282, operato dall'articolo 1, comma 2, oltre che alla formulazione dell'art. 68 del D.Lgs. n. 546/92 ante riforma, nonché all'art. 18, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997 in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, che prevede l'immediata esecuzione di sentenze delle commissioni tributarie concernenti provvedimenti di irrogazione delle sanzioni.

In sostanza, riferiscono i supremi giudici nella massima assise delle Sezioni Unite che secondo un'interpretazione delle norme già esistenti, avallata ora dall'espressa previsione del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, articolo 9 che ha introdotto varie modifiche al D.Lgs. n. 546/1992 – in attuazione della Legge di delega n. 24 del 2013, articolo 10 – la sentenza, anche se non passata in giudicato, del giudice tributario che annulla, in tutto o in parte, l'atto impositivo obbliga l'ente impositore e l'ente della riscossione a conformarsi ad essa, adottando i relativi provvedimenti consequenziali necessari ed utili per assolvere al relativo dispositivo.

Tale conclusione, a parere di chi scrive, è un importante risultato per l'ordinamento processuale tributario per anni rimasto inapplicato nel profilo dell'immediata esecuzione di sentenze a favore del contribuente a causa di una Amministrazione ostile, per far fronte alla quale è stato necessario un intervento legislativo, forse poco chiaro, a cui stanno sopperendo le interpretazioni della giurisprudenza di merito e di legittimità.

Non meno importante il profilo del contraddittorio preventivo, la decisione in esame, infatti, si inserisce nel solco già tracciato dalla Suprema Corte di Cassazione Sezioni Unite civili, con la sentenza n. 19667/2014 – che ha per la prima volta ammesso la necessità del previo confronto con il contribuente tutte le volte in cui un qualsiasi provvedimento emesso dall'esattore sia capace di incidere negativamente la sfera giuridica patrimoniale del destinatario – rilevando la nullità della cartella anche sotto tale profilo.

Invero, se certamente i giudici hanno rilevato la nullità della cartella per il mancato invito al contraddittorio, v'è da rilevare che l'obbligo in argomento è venuto in considerazione a seguito della dimostrazione, non superflua, da parte del contribuente di elementi che se forniti nella fase del contraddittorio preventivo, avrebbero condotto ad un favorevole esito del procedimento medesimo.

Dunque, se certamente il contraddittorio preventivo deve essere sempre attivato dall'Agente della riscossione con il contribuente, ai fini processuali appare dirimente la dimostrazione, da parte di quest'ultimo, della necessità del medesimo, tanto affinché vi sia l'accoglimento del rilievo in argomento.

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