Vietata dal regolamento la casa per anziani nel condominio
27 Settembre 2018
Massima
Nel condominio, è vietato destinare un'unità immobiliare a casa di riposo per anziani se il regolamento contrattuale vieta di adibire gli appartamenti a stanze ammobiliate d'affitto, pensioni o locande. Il caso
La Cooperativa X e la condomina Y adibivano le proprie unità immobiliari site nell'edificio in condominio all'attività di alloggio per anziani. Il Condominio Z conveniva innanzi al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, la Cooperativa e la signora Y onde far cessare tale attività, in quanto contrastante con l'art. 32 del regolamento di condominio, secondo cui nell'edificio vigeva l'obbligo di adibire gli appartamenti soltanto ad uso di civile abitazione o di studi o uffici professionali privati, mentre restava vietato di adibire gli stessi a stanze ammobiliate d'affitto, pensioni e locande. Il Tribunale adìto accoglieva la domanda del condominio volta alla cessazione dell'attività di comunità alloggio per anziani perché contrastante con il regolamento. Proposto il gravame dalle soccombenti anche la Corte d'Appello riteneva non consentita l'attività di accoglienza per anziani esercitata da Y e dalla Cooperativa X, trattandosi di struttura ricettiva socioassistenziale, qualificabile come di tipo residenziale (e non di civile abitazione), ovvero di un “pensionato”. La questione
L'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, è sindacabile in sede di legittimità? È possibile destinare a casa per anziani, casa famiglia o anche comunità alloggio le unità immobiliari site in un condominio dove vige il divieto di adibire gli stessi a stanze ammobiliate d'affitto, pensione e locande? Le soluzioni giuridiche
Ad avviso della Suprema Corte di Cassazione, l'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l'omesso esame di un fatto storico ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. Nella specie, l'interpretazione dell'art. 32 del regolamento del condominio, non ha rivelato le denunciate violazioni dei canoni di ermeneutica. In particolare, l'interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente la prescrizione di adibire gli appartamenti ad uso di civile abitazione o di studi o uffici professionali privati, nonché il divieto di destinare gli stessi a stanze ammobiliate d'affitto, pensioni e locande, come intesa a consentire le sole abitazioni private, e non anche l'uso ad abitazioni collettive di carattere stabile, ivi comprese le residenze assistenziali rivolte agli anziani, in forma di case di riposo, case famiglia o anche comunità alloggio, non è né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria alla logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l'interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l'unica possibile, né la migliore in astratto. Il dato che le case per anziani debbano possedere i requisiti edilizi previsti proprio per gli alloggi destinati a civile abitazione non contrasta con la diversa considerazione che le comunità alloggio si connotano come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socioassistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero. Per questi motivi, il ricorso è stato rigettato e le ricorrenti sono state condannate a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione. Osservazioni
La sentenza in commento ha ritenuto che i giudici di merito, assimilando una comunità alloggio per anziani ad una pensione o ad un albergo, non hanno violato i principi della tecnica ermeneutica prevista dall'art. 1363 c.c., secondo cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto. Ad avviso della migliore giurisprudenza, nell'interpretazione di un contratto occorre considerare che l'esatto significato lessicale delle espressioni adoperate può non corrispondere all'intenzione comune delle parti, soprattutto quando i singoli vocaboli utilizzati hanno un significato che rimandi ad una branca dello scibile umano non necessariamente a conoscenza dei dichiaranti in tutte le sue implicazioni. Ne deriva che, salvo una precisa e comune volontà delle parti di rinviare all'esatta valenza semantica propria di determinate nozioni specialistiche, l'interpretazione letterale deve essere contestualizzata in maniera da scontare una ragionevole approssimazione alla materia richiamata. In caso contrario, ne risulterebbe vulnerata la stessa portata soggettiva del canone d'interpretazione letterale, in quanto l'espressione indagata non sarebbe più storicizzabile, ma risulterebbe sostituita da un dato oggettivo ed astratto, dipendente non dalla comune intenzione delle parti, ma da fattori significanti ad esse sostanzialmente estranei (Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2013, n. 24125; Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2011, n. 14460). Si è infatti stabilito che il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell'accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito soltanto al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali anche quando le espressioni appaiano di per sè “chiare” e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2006, n. 261). Le case per anziani si distinguono in residenze sanitarie assistenziali (RSA) e residenze assistenziali (RA). Tra queste ultime, vi sono le case alloggio che, solitamente, tendono a ricreare un ambiente familiare e al tempo stesso sociale, del tutto assimilabile alle civili abitazioni, e vengono scelte come residenza da persone anziane che, pur se autonome, non voglio vivere in solitudine, ma piuttosto preferiscono convivere in una casa alloggio o casa famiglia insieme ad altri, con l'assistenza di personale che provvede alla gestione di tutte le necessità degli ospiti, ovviamente contro il pagamento delle prestazioni offerte. Per i giudici di legittimità, l'interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare gli appartamenti a stanze ammobiliate d'affitto, pensioni e locande, nel senso di non consentire la destinazione delle unità immobiliari a residenze assistenziali per anziani, case famiglia o anche comunità alloggio, non viola i canoni di ermeneutica contrattuale. Le conclusioni della Suprema Corte sono del tutto conformi a quanto già stabilito in tema di appartamenti per civile abitazione adibiti a bed and breakfast nell'ipotesi in cui il regolamento contrattuale preveda il divieto di destinare le unità immobiliari in condominio all'attività di affittacamere, pensioni ed alberghi (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2016, n. 109; Trib. Roma 13 marzo 2018; Trib. Milano 10 novembre 2017; Trib. Milano 10 febbraio 2016; Trib. Torino 13 ottobre 2009; contra, Trib. Verona 22 aprile 2015). In base alla più recente giurisprudenza, tali previsioni regolamentari di natura contrattuale, che incidono sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, ponendo dei limiti alla destinazione d'uso degli immobili facenti parte dell'ente, vanno ricondotte alla categoria delle “servitù atipiche”. Ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, in apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto (in forza dell'art. 17, comma 3, della legge 27 febbraio 1985, n. 52), delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2), e 2665 c.c., non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Non è, quindi, atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell'art. 2645 c.c., il regolamento di condominio in sé, quanto le eventuali convenzioni costitutive di servitù che siano inserite nel testo di esso. In assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2018, n. 6769; Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2016, n. 21024; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2014, n. 17493; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n. 17886; Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1986, n. 7515). Diversamente, le norme del regolamento di condominio che attengono alla conservazione dei beni condominiali costituiscono obligationes propter rem, le quali, facendo parte di un contratto atipico, come il regolamento di condominio sia esso contrattuale sia assembleare, sono meritevoli di tutela solo in presenza di un interesse generale dell'ordinamento, che, ad esempio, si è ritenuto mancante nel caso di una previsione che vieti il distacco delle derivazioni individuali dagli impianti di riscaldamento centralizzato e la loro trasformazione in impianti autonomi (Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2017, n. 11970; Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2011, n. 19893; contra, Cass. civ., sez. VI, 18 maggio 2017, n. 12580). Trotta, Interpretazione del regolamento condominiale: sul vincolo di destinazione, in Giur. it., 2015, fasc. 4, 808; Rezzonico, Il divieto di destinare gli appartamenti a pensioni o camere di affitto è da considerarsi esteso anche al bed & breakfast, in Condominioelocazione.it. |