Autonomia del danno da lesione del rapporto parentale dei prossimi congiunti rispetto al danno psichico

Renato Fedeli
23 Novembre 2018

Il danno da lesione del rapporto parentale dei prossimi congiunti è da considerarsi voce autonoma rispetto al danno psichico?
Massima

La patologia psichica accertata in capo al prossimo congiunto di soggetto macroleso in conseguenza di fatto illecito non esclude la presenza dell'ulteriore pregiudizio, autonomamente valutabile, derivante dalla consapevole e libera fruizione dei rapporti con il macroleso risultati del tutto pregiudicati dalla gravissima menomazione subita dalla vittima primaria.

Il danno psichico accertato in capo alla vittima secondaria, prossimo congiunto di un macroleso, non assorbe, quindi, il danno da lesione del rapporto parentale cui lo stesso ha diritto.

Il caso

A seguito di urto tra biciletta condotta da un minore, all'epoca dei fatti di anni 14, e autoveicolo, il primo riporta lesioni gravissime, totalmente invalidanti e quindi quantificate nella misura del 100% dell'integrità psico-fisica del soggetto.

Il Tribunale di Como, valutata la dinamica del sinistro, determina nel 20% la quota di responsabilità del conducente dell'autoveicolo e nel residuo, prevalente, il concorso del minore a bordo della bicicletta.

La sentenza del Tribunale di Como riconosce, a titolo di danno non patrimoniale, i danni a favore dei genitori della vittima primaria e di una sorella, escludendo in toto gli altri due fratelli e le nonne.

A seguito di gravame proposto dai legali del minore e dei prossimi congiunti (genitori, fratelli e nonni), la Corte di Appello di Milano, innanzitutto, determina in misura paritaria il grado di colpa dei due conducenti, in applicazione dell'art. 2054, comma 2 c.c.

La sentenza del Tribunale lariano viene impugnata anche in punto ammontare del danno esistenziale in favore dei congiunti, madre, padre, fratelli e nonne, in pretesa violazione degli artt. 2043, 2056 e 2059 c.c.

La questione

Il danno da lesione del rapporto parentale dei prossimi congiunti è da considerarsi voce autonoma rispetto al danno psichico?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza di primo grado riconosce a favore degli stretti congiunti, padre e sorella, un danno, qualificato come esistenziale, alternativo, non concorrente, con il danno di natura psichica accertato in sede di CTU, mentre nulla attribuisce, a tale titolo, a favore degli altri due fratelli e delle due nonne della vittima primaria.

Nello specifico, all'epoca dei fatti la vittima primaria aveva 14 anni, la sorella 20, gli altri due fratelli 18 e 2.

Il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale viene chiesto anche dalle nonne della giovane vittima, sia in primo che in secondo grado, ma la domanda viene sempre rigettata.

A favore di ciascun fratello, la difesa appellante chiede un risarcimento di €100.000,00.= ciascuno, mentre a favore di ciascuna nonna la richiesta è di €50.000,00.=

La sentenza in commento merita attenzione con riferimento alle determinazioni dei risarcimenti chiesti dai prossimi congiunti della vittima macrolesa, di giovane età (14 anni, alla data del sinistro).

La Corte milanese ricorda che non è rilevante il nomen iuris che le parti e il giudice danno al pregiudizio oggetto di ristoro, bensì la valutazione da parte del magistrato di tutti gli aspetti e le voci di danno che vengono considerate nel risarcimento complessivo.

Infatti, con riferimento al danno della vittima primaria, la Corte rigetta il gravame, fondato sulla asserita mancata considerazione della voce esistenziale del danno, rispetto al puro danno biologico, chiarendo che il primo giudice ha riconosciuto al danneggiato un aumento del risarcimento del danno biologico, utilizzando lo strumento della personalizzazione, che nella specie ha incrementato il monte liquidato, in ragione della giovane età del danneggiato, della durata dell'invalidità rispetto alle aspettative di vita e quindi dell'impossibilità per il minore di svolgere attività sportive, ma anche le più banali attività quotidiane, senza l'assistenza dei familiari.

Coerentemente con quanto affermato per la vittima primaria, ed è il profilo che più interessa in questa sede, la Corte stabilisce come il Tribunale di Como abbia errato nel ritenere assorbito nel danno biologico di natura psichica, accertato in sede di c.t.u. nella misura del 15%, il cd. danno da lesione del rapporto parentale, che, si desume dalla sentenza in commento, parte appellante qualifica come danno esistenziale.

Al contrario, secondo la Corte, va affermata la piena autonomia del danno biologico psichico del prossimo congiunto rispetto al pregiudizio derivante dalla privazione del rapporto con il prossimo congiunto macroleso.

In concreto, quindi, la Corte milanese riconosce, senza considerare la decurtazione percentuale derivante dal concorso di responsabilità della vittima primaria, la somma di €97.000,00.= ciascuno a favore del padre e della madre, avendo a quest'ultima riconosciuto il primo giudice, sempre senza applicazione della decurtazione per concorso di colpa del minore, l'importo di €75.000,00.=, pari al 50% del minimo tabellare.

Il giudice lariano, per la posizione della madre, a carico della quale non è stata riconosciuta alcuna invalidità di natura psichica, ha liquidato il danno sulla base del minimo tabellare, ulteriormente diminuito del 50%, con la motivazione che la grave ed invalidante lesione subita dal minore non assumeva i connotati della perdita totale del rapporto genitoriale, anche perché in concreto l'evento non ha escluso la possibilità di un pieno recupero delle relazioni familiari.

La Corte applica, invece, i valori medi tabellari, precisando che la gravità dell'infermità di Davide Schiera e la sua giovane età impegneranno la madre per tutta la vita nel sostegno costante del figlio, in termini di assistenza continua.

Quanto alla sorella del minore, all'epoca dei fatti ventenne, la Corte prende atto che una perizia medico-legale svoltasi in primo grado ha riconosciuto alla stessa una inabilità temporanea psichica del 25% per il primo anno e del 15% per i successivi sei mesi, sulla scorta della quale il giudice lariano nulla ha liquidato oltre al mero danno biologico psichico, sulla base del fatto che la condizione patologica accertata in sede medico-legale sarebbe stata “superata”, proprio in ragione della sua natura temporanea.

In realtà, secondo la Corte il danno psichico non esaurisce i pregiudizi costituiti dallo sconvolgimento della vita della sorella, sia in termini di possibilità di condividere con il fratello i momenti migliori della vita, sia in termini di privazione del tempo che i genitori, assorbiti nell'accudimento del figlio invalido, necessariamente subiscono in relazione agli altri figli.

Tale pregiudizio si colloca, con rilievo autonomo, nell'area dell'art. 2059 c.c. a tutela di un interesse di rilievo costituzionale e pertanto la patologia psichica accertata, indipendentemente dal suo protrarsi nel tempo, non esclude la sofferenza e lo sconvolgimento nella vita dei congiunti, derivante dalla condizione in cui versa e verserà per tutta la vita il minore.

La sentenza del giudice lariano viene riformata anche nella parte in cui non riconosce agli altri due fratelli, non colpiti da invalidità anche solo temporanea di natura psichica, alcuna somma a titolo risarcitorio.

Il primo giudice ha affermato che, a seguito dell'istruttoria, non è configurabile il profondo sconvolgimento dell'esistenza da intendersi quale riduzione della positività del rapporto parentale e di “rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri” dei danneggiati.

Per i fratelli, quindi, la Corte milanese riforma la sentenza di primo grado applicando i valori medi tabellari, ridotti del 50%, in assenza di totale compromissione del rapporto tra i fratelli.

È stata trattata, infine, anche la posizione delle nonne, in relazione alle quali la Corte non ha riconosciuto alcun risarcimento, in assenza di prova in concreto di rapporti costanti, caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà, con il congiunto macroleso, pur avendo la Corte tenuto in debita considerazione l'orientamento di legittimità, secondo cui per il riconoscimento del pregiudizio non patrimoniale dei nonni per perdita o lesione del rapporto parentale non sia necessaria la convivenza tra i soggetti interessati (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016 n. 21230).

Osservazioni

Il danno patito iure proprio dai prossimi congiunti del macroleso non può essere riconosciuto in assenza di specifiche allegazioni e solo a fronte di queste ultime il giudice può ricorrere alla prova presuntiva (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. 17 gennaio 2018 n. 907): l'interesse leso è quello tutelato dall'art. 29 Cost., secondo cui la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Quindi, il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. 27 marzo 2018 n. 7513).

Tali principi paiono rispettati dalla sentenza in commento.

Si deve, tuttavia, evidenziare, d'altro canto, che secondo Cass. civ., sez. III, ord. 17 gennaio 2018 n. 907, la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento dal darne concreta allegazione e prova.

La Corte di legittimità aveva, in quel caso, riformato la Corte territoriale, per avere quest'ultima erroneamente ritenuto che il danno fosse in re ipsa e quindi spettasse tout court ai "parenti stretti" secondo il criterio presuntivo e provvedendo, sulla base dei criteri tabellari in uso, liquidare in maniera indiscriminata la medesima somma in favore di ciascuno dei numerosi fratelli: tale modalità di accertamento del pregiudizio, secondo la Corte di legittimità, viola i principi in materia di presunzioni e di valutazione equitativa del danno.

Nel caso della pronuncia della Corte milanese, qui commentata, non pare la integrale parificazione dei risarcimenti riconosciuti ai tre fratelli, tutti di età assai diverse tra di loro, sia rispettosa dei principi fatti propri dalla Corte di Cassazione richiamata.

Del tutto condivisibile, invece, l'affermazione dell'autonomia del danno biologico psichico conseguente al lutto rispetto al danno da lesione (o perdita) del rapporto parentale, che costituisce il nucleo centrale della sentenza in commento.

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