Mancata registrazione del contratto di locazione, nullità e interferenze tra sistema civile e tributario
26 Novembre 2018
Massima
Nel caso di mancata registrazione nei termini del contratto di locazione, la registrazione tardiva del medesimo non impedisce l'applicazione, ratione tempore, dell'art. 3, comma 8, del d.lgs.14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo municipale», ed istitutivo della c.d. cedolare secca sugli affitti, inerente la rideterminazione del canone nella misura del triplo della rendita catastale, pur nonostante l'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di detta norma e della successiva norma di proroga, comunque inidonea ad incidere su situazioni di fatto definite, in merito alle quali sia già intervenuto il giudicato. Il caso
La proprietaria di un immobile ad uso abitativo, locato con contratto perfezionato nella forma della scrittura privata non registrata, decorrenza 1 settembre 2008 - 31 agosto 2010, previamente registrato il contratto di locazione, aveva intimato sfratto per morosità al conduttore, sul presupposto del versamento di un minore canone di locazione rispetto a quello mensile pattuito inter partes. Il giudizio si concludeva con sent. n. 7827/2013, con la quale il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda riconvenzionale del conduttore, aveva rigettato la domanda di parte locatrice, rideterminando il canone di locazione nella misura del triplo della rendita catastale, a fare data dalla registrazione, ai sensi del vigente art. 3, comma 8, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale - Istitutivo della c.d. cedolare secca sugli affitti), e, per l'effetto, condannato la locatrice alla restituzione al conduttore di una somma a titolo di canoni, oltre agli interessi sulla medesima. Successivamente al rilascio dell'immobile, avvenuto nel 2016, la locatrice, previamente dedotta l'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 10 marzo 2014, e della relativa norma di proroga, art. 5, comma 1, del d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito in l. 23 maggio 2014, n. 80, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 169 del 24 giugno 2015, richiedeva ed otteneva l'emissione di decreto ingiuntivo nei confronti del conduttore, avente ad oggetto il pagamento di differenze di canoni, oltre agli oneri condominiali, corrisposti solo parzialmente. Il giudizio di merito, radicatosi all'esito dell'opposizione del conduttore, si concludeva con sentenza del 20 giugno 2018, n. 12964 con la quale il Tribunale di Roma, nel premettere un excursus giuridico in merito agli effetti della declaratoria di incostituzionalità della norma, accertata l'applicabilità della disposizione normativa sopra indicata e, quindi, la misura del canone rideterminato in conformità alla medesima, accoglieva la spiegata opposizione, revocando il decreto ingiuntivo. La questione
Nel caso esaminato dal giudice di merito, si trattava, tra le altre, di verificare l'effetto spiegato dalla declaratoria di incostituzionalità della disposizione normativa in materia di cedolare secca sugli affitti, nello specifico, l'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, e della relativa norma di proroga, art. 5, comma 1,del d.l. n. 47/2014(convertito in l. 23 maggio 2014, n. 80), sulle statuizioni date dal giudice con la sentenza n. 7827/2013 che, a definizione del procedimento instauratosi all'esito dell'opposizione allo sfratto per morosità, aveva rideterminato il canone di locazione, a fare data dalla registrazione del contratto, nella misura di cui alla prima delle citate disposizioni normative, ovvero nel triplo della rendita catastale. Invero, in virtù del c.d. principio della ragione più liquida, rimanevano assorbite le altre peculiari questioni giuridiche, pur sollevate nel corso del giudizio di opposizione, inerenti, da un lato la nullità del contratto di locazione per mancata registrazione nei termini, dall'altro la nullità della clausola contrattuale di aumento del canone di cui al novellato art.13, comma 1, della l. n. 431/1998. Le soluzioni giuridiche
Nel caso in esame, si ritiene il giudice del merito abbia correttamente concluso affermando che, sebbene, per effetto del disposto di cui all'art. 136 Cost., la declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma ne determini la cessazione degli effetti giuridici ex tunc, a fare data dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, detta norma vada letta in combinato disposto con il principio di diritto, più volte riconosciuto dalla giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. civ., sez. I, 16 maggio 2014, n. 10783; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2010, n. 9329), secondo cui gli effetti dell'incostituzionalità della norma non si estendono ai rapporti giuridici definiti, ovvero quelli rispetto ai quali sia intervenuto il giudicato o altro evento che determina il c.d. consolidamento del rapporto. Invero, dette pronunce hanno chiarito come non vi sia modo di distinguere tra applicazione diretta della norma, ovvero atti formati successivamente alla norma dichiarata illegittima ed atti a formazione indiretta, riferiti ad atti formati prima della pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità. Sulla base dei principi sopra richiamati il Tribunale di Roma, a definizione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, ha affermato che, nel caso specifico, nonostante l'invocata applicabilità ad opera di parte opposta, degli effetti giuridici determinati dall'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme sopra riportate, il rapporto giuridico inter partes doveva intendersi regolamentato in maniera definitiva dalla precedente sentenza numero 7827/2013, già passata in giudicato al momento della pubblicazione delle citate sentenze, nn. 50/2014 e 169/2015, con le quali la Corte Costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale, rispettivamente, dell'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011 e della relativa norma di proroga art. 5, comma 1,del d.l. n. 47/2014. Per l'effetto, il canone di locazione, in applicazione della vigente disposizione di legge, art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, doveva intendersi rideterminato in misura pari al triplo della rendita catastale, come accertato e dichiarato nella sentenza emessa nel precedente giudizio di sfratto. Riguardo agli oneri condominiali, il Tribunale, accertato che alcuna richiesta di pagamento risultava essere stata rivolta all'opponente ai sensi dell'art. 9 della legge n. 392/1978, con conseguente inversione dell'onere probatorio in capo all'opposta, riconosceva la fondatezza della domanda nei limiti risultanti dai rendiconti dimessi in atti. Osservazioni
La sentenza oggetto dell'odierno commento offre lo spunto per trattare la tematica inerente agli effetti giuridici derivanti dalla mancata registrazione del contratto di locazione. La questione è stata oggetto di innumerevoli interventi normativi, sia sotto il profilo civilistico che tributaristico, con inevitabili inferenze ed interferenze tra i due apparati, al punto da necessitare l'intervento della Corte Costituzionale, investita, a più riprese, della questione di costituzionalità delle norme che, nell'introdurre un obbligo di natura tributaria, sanzionavano la relativa inottemperanza con una sanzione civilistica, con ciò contravvenendo ai principi giuridici vigenti in materia. Invero, come noto, la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 50 del 10 marzo 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs n. 23/2011 («Disposizioni in materia di federalismo municipale» - il cui articolo in esame ha introdotto la c.d. cedolare secca sugli affitti) e, con la successiva sentenza n. 169 del 24 giugno 2015, della relativa norma di proroga, art. 5, comma 1,del d.l. n. 47/2014, convertito in l. 23 maggio 2014, n. 80 («Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle Costruzioni e per Expo 2015»). Degni di nota paiono gli excursus giuridici che hanno portato alle pronunce che precedono. Con la prima di dette sentenze la Corte Costituzionale rilevava che le disposizioni di cui all'art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs. n. 23/2011, fossero viziate da eccesso di delega rispetto ai principidi cui alla relativa legge (l. 5 maggio 2009, n. 42), in quanto prive di copertura, sia sotto il profilo oggettivo, che della riconducibilità agli obiettivi dalla stessa perseguiti, quindi in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 70 e 76 Cost., oltrechè con l'art. 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del Contribuente) e con gli artt. 42 e 3 Cost. Invero, lenorme in questione prevedevano, per il caso di tardiva registrazione del contratto di locazione, l'introduzione ex lege di una modifica sostanziale del negozio giuridico inter partes, in termini di durata, fissata in 4 anni rinnovabili per un periodo di altrettanti 4, e di canone, pari, salvo le parti non avessero concordato un canone minore, al triplo della rendita catastale, oltre all'adeguamento ISTAT, e, per il caso di mancata registrazione, la nullità del contratto, come risultava per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 3, comma 9,del d.lgs.n. 23/2011 e 1, comma 346, della l.30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) il quale ultimo recita «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Le diposizioni in esame, pertanto, determinavano da un lato la “novazione”, per factum principis, deglielementi del rapporto negoziale, quanto a canone e durata, dall'altro una “sanzione civile”, la nullità, comminata a fronte di una violazione tributaria, di fatto illegittime. Nello specifico, la disposizione di cui all'art. 3, comma 8, introduceva una “sanzione civile” corrispondente alla nullità della clausola contrattuale inerente al canone, sostituita d'imperio con quella ivi indicata. Quanto alla durata del contratto, la Corte riteneva violato l'art. 42 Cost., considerato il sacrificio economico in termini di minore canone che il proprietario locatore si trovava costretto a subire per l'intera vigenza contrattuale. La norma in questione, risultava, altresì, contrastare con gli artt. 3, 41, 53 Cost., introducendo una irragionevole disparità di trattamento tra locatore e conduttore, considerato che, pur essendo entrambi obbligati alla registrazione del contratto, al fine del pagamento della relativa imposta, la sanzione legata all'inadempimento ricadeva unicamente sul locatore, oltretutto, con introduzione di un meccanismo premiale a favore del conduttore, che si vedeva sostituito il canone con altro minore determinato ex lege e determinata la durata in quella di legge. Constava, inoltre, la disparità di trattamento tra locazioni abitative, oggetto dell'intervento normativo, e locazioni ad uso diverso dall'abitativo, che sfuggivano alla disciplina in questione, pur essendo parimenti oggetto dell'obbligazione tributaria. Non da ultimo veniva rilevato il contrastocon il principio di autonomia negoziale e con il disposto di cui all'art. 1419c.c., secondo cui, il contratto parzialmente nullo può intendersi salvo solo ove risulti che le parti, ove ne fossero state a conoscenza, lo avrebbero ugualmente concluso. Altro dato degno di nota, la circostanza che il meccanismo di rideterminazione del canone introdotto dall'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, era tale da svilire lo scopo della legge delega, ovvero l'emersione dei contratti di locazione irregolari, con conseguente recupero di gettito ai fini IRPEF, essendo il canone rideterminato ex lege normalmente inferiore a quanto concordato inter partes. Dall'altro lato, ladisposizione normativa di cui all'art. 1, comma 346, della legge finanziaria 2005 costituiva un punto di rottura rispetto alla disposizione di cui all'art. 4 del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico Imposta di registro) che, se da un lato, art. 2, lett. a) e b) e art. 3, lett. a), prevede l'obbligo di registrazione del contratto di locazione nel termine di 30 giorni dalla sottoscrizione, dall'altro, a sanare la posizione, ammette la registrazione tardiva, con applicazione delle relative sanzioni al contravventore, al quale, oltretutto, il sistema tributario consente il ricorso allo strumento del cd ravvedimento operoso (art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n.472). Risultava, inoltre, violato il principio di cui all'art. 10 dello Statuto del contribuente, cui, per espresso richiamo della legge delega, il legislatore delegato avrebbe dovuto attenersi, a norma del quale «le violazioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto». Successivamente interveniva la sentenza della Corte Costituzionale n. 169 del 24 giugno 2015, con la quale veniva dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma di proroga dell'art.3, comma 8, ovvero dell'art. 5, comma 1, deld.l. n. 47/2014, che, nell'introdurre la clausola di salvezza con riferimento ai rapporti contrattuali in corso sino al 31 dicembre 2015, di fatto attribuiva una sorta di ultrattività alle pregresse norme, già dichiarate costituzionalmente illegittime. Nonostante le richiamate declaratorie di incostituzionalità, il precetto normativo di cui all'art. 1, comma 346, della legge finanziaria 2005, pur superato il vaglio di legittimità costituzionale (Corte Cost., ord. n. 420/2007) lasciava irrisolta la problematica inerente la nullità del contratto di locazione nel caso di omessa registrazione. A distanza di qualche tempo rispetto alle indicate pronunce, a dirimere il contrasto interpretativo frattanto insorto in giurisprudenza, interveniva la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 09 ottobre 2017, 23601), la quale, nel premettere il richiamo, ad opera dell'art.13, comma 5, della l. n. 431/1998, come novellato dall'art. 1, comma 59, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, delle precedenti previsioni di cui all'art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 23/2011, e nell'introdurre al comma I secondo periodo l'obbligo unilaterale del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione entro il “termine perentorio di trenta giorni”, di fatto ponendo la registrazione quale elemento essenziale del contratto, riproponeva la problematica inerente la nullità del contratto di locazione per omessa registrazione. La Corte rilevava, altresì, come, in detto contesto, dovesse essere considerato anche il citatodisposto di cui all'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004, che ha introdotto expressis verbis la sanzione di nullità conseguente alla mancata registrazione del contratto di locazione, diposizione, peraltro, applicabile a tutti i contratti di locazione, non solo a quelli ad uso abitativo. A conclusione di un complesso excursus logico giuridico, che investiva più aspetti del dedotto rapporto locatizio, la Corte di Cassazione, andava, tra gli innumerevoli altri, ad esprimere il principio di diritto secondo cui «la mancata registrazione del contratto di locazione di immobili ne comporta nullità; essa, ove da sola sussistente, consente la produzione degli effetti del contratto con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente», andando a dirimere il contrasto in materia vigente, andando in tale modo a salvare il contratto di locazione dalla dedotta nullità connessa alla violazione dell'obbligo tributario. Cirla - Monegat, Compravendita. Condominio. Locazioni”, Milano, 2017, 975; Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Milano, 2017, 1230; |