Istanza di concessione del termine di grazia e poteri del giudice
18 Gennaio 2019
Massima
Poiché l'istituto di cui all'art. 55, comma 2, della l. 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. termine di grazia) è funzionale a sanare la morosità, fine per il quale il giudice su istanza di parte può - ma non deve - assegnare all'intimato un termine fino a novanta giorni, la parte non può essere ammessa al relativo beneficio quando non vi sia prospettiva che essa possa o intenda pagare l'intera morosità maturata, le mensilità del canone maturande e le spese processuali neppure nel termine massimo concedibile. Il caso
La ordinanza in commento convalidava lo sfratto intimato per una morosità di € 4.050,00, relativa a nove mensilità di canone da € 450,00 ciascuna. La convenuta, comparendo alla prima udienza, non contestava la morosità, ma si limitava a domandare la concessione di un termine ex art. 55, comma 2, della l. n. 392/1978 (c.d. termine di grazia) al fine di sanare la morosità, dichiarando di essere inadempiente perché non conosceva il codice IBAN del locatore. Quest'ultimo insisteva per l'immediata convalida dello sfratto. La questione
Si trattava, quindi, di valutare se e in che misura il giudice abbia discrezionalità nella scelta di concedere o meno il c.d. termine di grazia e, in caso positivo, di quali criteri e strumenti possa avvalersi per fondare la propria decisione. Le soluzioni giuridiche
Il giudice, prima di pronunciarsi sull'istanza, disponeva un rinvio di una settimana per consentire alla convenuta di confermare la propria serietà mediante il pagamento quantomeno di una mensilità del canone, posto che stavolta sarebbe stata incontestabilmente in possesso delle esatte coordinate bancarie del conto del locatore. Tale provvedimento si basava evidentemente su una duplice preventiva valutazione. Da un lato, il giudice riteneva di poter provvedere con discrezionalità sull'istanza dell'intimata di concessione del termine per sanare la morosità. Invero, l'art. 55, comma 2, della l. n. 392 citata stabilisce che il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, “può” - e non deve - assegnargli un termine non superiore a novanta giorni per sanare la morosità in sede giudiziale. La norma consente, dunque, al giudice di valutare discrezionalmente se concedere o meno il beneficio richiesto, come d'altronde solitamente riconosciuto non solo dalla pur non cospicua dottrina che si spinge ad analizzare un aspetto tanto particolare della disciplina delle locazioni, ma anche dalla analogamente scarna - e non recente - giurisprudenza di legittimità in materia (in tal senso si sono espresse: Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1984, n. 1817; Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1989, n. 5113; Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1992, n. 1830; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 1997, n. 6664). D'altro lato, il giudice reputava di non essere tenuto a pronunciarsi immediatamente, in occasione della prima udienza, sulla richiesta di concessione del beneficio, bensì di poter procedere nel modo ritenuto più opportuno al fine di verificare la sussistenza dei requisiti per il suo accoglimento. Del resto, con la richiesta di concessione del termine di grazia da parte del conduttore, si apre, nel procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto, un “subprocedimento di sanatoria” (così Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2000, n. 13538), per il quale non è prevista alcuna formalità o procedura specifica. La parte intimata tuttavia non eseguiva il versamento propostole dal giudice, il quale pertanto, all'esito della seconda udienza, pronunciava ordinanza di convalida dello sfratto, previo rigetto della istanza di concessione del termine di grazia della convenuta. Tale decisione era naturalmente frutto di una terza, ulteriore, valutazione del giudice, circa la sussistenza o meno, in concreto, dei requisiti per la concessione del termine di grazia. Ci si riferisce, in particolare, al fatto che il comma 2 dell'art. 55 della l. n. 392/1978 non solo prevede espressamente che il termine per la sanatoria possa essere concesso “dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore”, ma implicitamente richiede che via sia una apprezzabile possibilità che il conduttore medesimo, entro il termine concessogli, effettivamente sani la morosità mediante il versamento di canoni, oneri accessori, interessi e spese. Ebbene, nel nostro caso, il giudice riteneva insussistente anche detto secondo presupposto: non soltanto, a fronte dell'ingente morosità (inclusiva delle prossime mensilità maturande e delle spese di lite), non risultavano un reddito o una disponibilità economica della convenuta sufficienti a farvi fronte in tempi brevi; ma soprattutto la stessa convenuta, omettendo di eseguire il parziale adempimento proposto dal Tribunale e non comparendo all'udienza fissata per la relativa verifica, aveva mostrato di non avere una reale intenzione di sanare la morosità. Sulla base di quanto appurato, egli infatti constatava che “la concessione del termine di grazia si tradurrebbe nell'esposizione della parte locatrice all'elevatissimo rischio di non recuperare né il credito maturato né quello che maturerebbe per le mensilità di canone nel periodo in cui si protrarrebbe la disponibilità dell'immobile locato in capo alla conduttrice”, e riteneva dunque inevitabile il rigetto dell'istanza della conduttrice.
Osservazioni
L'ordinanza in esame, benché si ponga in linea con il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui «la concessione del termine di grazia integra non un obbligo ma una facoltà discrezionale di cui il giudice può avvalersi a fronte di comprovate difficoltà del conduttore» (così la già citata Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1992, n. 1830), è rara testimonianza della concreta applicazione di tale discrezionalità da parte dei giudici: in realtà, infatti, è prassi costante concedere il beneficio automaticamente, a semplice richiesta del conduttore moroso e senza neppure l'allegazione di sue specifiche condizioni di difficoltà, delle quali invece la norma richiede la documentata sussistenza. Senonché tale atteggiamento è tutt'altro che condivisibile, poiché accentua eccessivamente, estremizzandolo, il favore mostrato dal legislatore per il conduttore - considerato il contraente più debole da tutelare mediante uno strumento che escluda che casi di morosità non gravi possano comportare la risoluzione del contratto senza che sia offerta un'ultima chance di sanatoria - e distorce il meccanismo volto al contemperamento degli interessi delle parti insito nella norma in commento. La evidente natura eccezionale dell'istituto dovrebbe, invece, suggerirne una applicazione attenta e parsimoniosa: infatti, il termine di grazia, che consente al conduttore di impedire unilateralmente e a contraddittorio instaurato la pronuncia di risoluzione del contratto di locazione, costituisce una deroga al generale principio di cui all'art. 1453, comma 3, c.c., secondo il quale dopo la domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione (così Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2000, n. 1336). Del resto, il provvedimento in esame e le modalità con cui il giudice è arrivato alla sua pronuncia sono ancor più interessanti e apprezzabili proprio sotto il profilo della verifica della concreta opportunità della concessione del beneficio. Si è detto che la richiesta di fissazione del termine di grazia da parte del conduttore moroso provoca l'apertura di un subprocedimento di sanatoria nell'alveo del giudizio avviato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto - il più delle volte un procedimento per convalida di sfratto, sebbene ormai sia riconosciuta l'applicabilità del termine di grazia anche quando la domanda di risoluzione contrattuale sia stata introdotta in via ordinaria, ovvero sia stata deferita agli arbitri (da ultimo, Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2014, n. 21836; che, come la giurisprudenza precedente, a partire da Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2087, segue l'indirizzo interpretativo tracciato da Corte Cost. 21 gennaio 1999, n. 3, secondo cui «la previsione della facoltà di sanare la morosità in giudizio e la regolamentazione del termine per il pagamento dei canoni scaduti a tale fine previsto non menzionano in alcun modo, perché se ne possa dedurre che si riferiscano esclusivamente ad esso, il procedimento per convalida di sfratto»). Per tale subprocedimento, tuttavia, non è prevista alcuna formalità o procedura specifica, sicché è prassi più che frequente che il giudice provveda sulla istanza del conduttore - normalmente accogliendola - sempre e comunque in prima udienza: ciò, probabilmente, anche in considerazione della combinata lettura dei primi due commi della norma in esame, ove l'unico riferimento esplicito è appunto alla prima udienza. Tuttavia, tale riferimento non pare indissolubilmente legato alla pronuncia con cui si assegni (o si neghi) il termine di grazia, bensì soltanto alla formulazione della richiesta da parte del convenuto moroso, certamente tardiva e perciò inammissibile se posteriore, e alla misura del termine medesimo; il quale evidentemente, anche per ragioni di tutela degli interessi del locatore, non potrà in nessun caso oltrepassare il novantesimo giorno successivo alla prima udienza. Ebbene, a tali corrette conclusioni è giunto il Tribunale nel nostro caso, ritenendo possibile non solo estendere il subprocedimento per la concessione del termine di grazia fino a una successiva udienza, utile ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio, ma perfino sostanzialmente disponendo - anche in tal caso, apprezzabilmente e condivisibilmente - una graduazione della sanatoria, tramite l'invito, rivolto alla conduttrice, a pagare quantomeno una mensilità di canone entro la seconda udienza. D'altronde, requisito implicito per la concessione del termine di grazia, ulteriore rispetto a quello, esplicito, delle comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, è la probabile sussistenza della sua reale intenzione di sanare la morosità, la quale - come dimostra il caso in commento - spesso è facilmente verificabile in tempi ben più rapidi di quelli necessari in seguito alla concessione del termine di grazia. Da un'oculata gestione del subprocedimento conseguente all'istanza di concessione del termine di grazia, dunque, se certamente trae vantaggio il locatore, non costretto a subire ulteriori inadempimenti da parte di una controparte insincera, tutto sommato può trarre giovamento anche il conduttore leale che, messo in condizione di dimostrare la propria buona fede, potrebbe ottenere un termine per la sanatoria più lungo di quello che gli concederebbe un giudice poco interessato alle concrete circostanze del caso. |