Intrinseca natura ed effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione: valore in-terpretativo della novella e refluenze applicative

08 Aprile 2019

L'applicazione dell'imposta di registro prescinde dal nomen iuris dato dalle parti all'atto, e chiede invece di verificare quale sia la reale causa concreta del negozio soggetto a tassazione, dovendosi applicare le imposte in base all'effetto pratico che è stato conseguito dall'atto stesso e non già in base alla qualificazione autonomamente data dalle parti, ciò anche a prescindere dall'intento elusivo.
Massima

L'applicazione dell'imposta di registro prescinde dal nomen iuris dato dalle parti all'atto, e chiede invece di verificare quale sia la reale causa concreta del negozio soggetto a tassazione, dovendosi applicare le imposte in base all'effetto pratico che è stato conseguito dall'atto stesso e non già in base alla qualificazione autonomamente data dalle parti, ciò anche a prescindere dall'intento elusivo.

La novella apportata all'articolo 20 d.P.R. n. 131/1986, da parte dell'art. 1, comma 87, lettera a), L. n. 205/2017, in vigore del 1° gennaio 2018, non ha natura interpretativa, ma innovativa: deriva quindi che solo dal gennaio 2018 è impedita all'Ufficio la riqualificazione dell'atto sulla base di elementi extratestuali e del collegamento negoziale, salvo l'abuso del diritto.

Il caso

Tizio, comproprietario di un fabbricato, presentava al Comune richiesta di costruzione di un nuovo fabbricato previa demolizione di quello esistente, conformemente alla potenzialità edificatoria attribuita al terreno dal Regolamento Edilizio Urbano.

A distanza di circa un anno, entrambi i comproprietari vendevano l'immobile ad una società di capitali, avente come oggetto sociale l'attività di costruzione e rivendita di beni immobili, e l'imposta di registro veniva applicata con l'aliquota del 7%, essendo il rogito riferito a vendita di fabbricato.

Lo stesso giorno del rogito di acquisto, la società acquirente accendeva un contratto di mutuo per finanziare opere edilizie, e sette giorni dopo la vendita, richiedeva al Comune il cambio di intestazione della pratica edilizia già intestata a Tizio, con voltura a suo favore.

Il Comune rilasciava alla società acquirente il permesso relativo alla pratica edilizia per la costruzione di un nuovo edificio residenziale, previa integrale demolizione di quello esistente.

L'Amministrazione finanziaria contestava a venditori ed acquirente la natura dell'atto di acquisto, riqualificandolo da compravendita di fabbricato a compravendita di terreno, e così rettificando la tassazione operata sull'imponibile con l'applicazione dell'aliquota dell'8% anziché del 7%, alla stregua di quanto previsto dall'art. 1 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986.

Venditori ed acquirente impugnavano l'accertamento, ribadendo che oggetto della compravendita doveva ritenersi il fabbricato e non già il terreno, tenuto conto che al momento della vendita il fabbricato era effettivamente presente.

Resisteva l'Ufficio, ribadendo che il reale intento delle parti non poteva che essere quello di compravendere un terreno edificabile, avendo la cessione come oggetto solo formale il fabbricato, ma oggetto sostanziale il terreno edificabile e la sua cubatura.

La C.T.P. accoglieva il ricorso, sul presupposto che non potesse essere immutato l'oggetto della cessione, oggettivamente relativo ad un fabbricato all'epoca esistente.

Avverso la sentenza proponeva appello l'Amministrazione finanziaria.

Le questioni

Le questioni in esame sono due:

1) ai sensi dell'articolo 20 del d.P.R. n. 131/1986, l'imposta va applicata sulla base dell'intento effettivamente perseguito dalle parti. Nella fattispecie oggetto di causa, considerato che il fabbricato esistente veniva demolito immediatamente dopo la compravendita, l'intento perseguito dalle parti può essere riqualificato, affermando che le stesse intendevano trasferire (non già un fabbricato, bensì) un terreno edificabile, sul quale edificare alloggi?

2) la suddetta operazione ermeneutica può ritenersi preclusa dalla novella apportata all'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, che impedisce oggi la riqualificazione dell'atto da parte dell'Amministrazione finanziaria sulla base del collegamento negoziale o di “elementi extratestuali”, salvo il caso di abuso del diritto?

Le soluzioni giuridiche

La soluzione ai quesiti impone un brevissimo excursus sull'art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che disciplina l'attività interpretativa dell'Amministrazione finanziaria sugli atti sottoposti alla registrazione.

Prima della novella del 2018, la disposizione prevedeva che “l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

In relazione alla suddetta formulazione, un primo (e maggioritario) orientamento della giurisprudenza di legittimità riteneva che il citato art. 20 consentisse all'Amministrazione finanziaria di “apprezzare il collegamento tra i contratti, come pure tra le operazioni societarie, senza essere affatto inibita dalla necessità di svolgere un'esegesi di tipo esclusivamente testuale, quanto alla veste giuridica (formale) assunta da ciascuno degli atti sottoposti a registrazione” (Cass. Civ., sez. trib., 11 maggio 2017, n. 11666). La disposizione, quindi, veniva intesa come espressiva di una “regola [...] dichiaratamente interpretativa”, riferita “agli atti nella loro oggettività ermeneutica, prescindendo da qualunque riferimento all'eventuale disegno o intento elusivo delle parti” (Cass. Civ., sez. trib., 15 marzo 2017, n. 6758).

L'orientamento appena citato traeva linfa dalla corrispondente elaborazione civilistica sulla c.d. “causa in concreto” del contratto (affermatasi a partire da Cass. Civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490), specificando che “l'imposta di registro [si configura] come "imposta di negozio" correlata alla causa concreta dell'operazione”, costituendo ciò “un corollario immediato del principio costituzionale di capacità contributiva” (Cass. Civ., sez. trib., 15 marzo 2017, n. 6758).

Un secondo (e minoritario) orientamento della giurisprudenza di legittimità, viceversa, prendeva atto delle perplessità dottrinali insorte sul punto, traendone l'ulteriore conseguenza per cui l'attività riqualificatoria eventualmente compiuta dall'Amministrazione finanziaria “non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l'atto risulta inquadrabile, pena l'artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici” (Cass. Civ., sez. trib., 27 gennaio 2017, n. 2054).

In questo panorama si inseriva la novella del 2018 (art. 1, comma 87, lett. a, Legge 27 dicembre 2017, n. 205), a seguito della quale il citato art. 20 T.U. Registro così recita: “l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La giurisprudenza di legittimità, al riguardo, ha mostrato di continuare ad aderire all'orientamento maggioritario, per cui “la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo, e sulla loro forma apparente, vincola l'interprete a privilegiare […] la sostanza sulla forma e, quindi, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti, ed ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti [...]. Detta interpretazione tiene conto dell'evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa, avente come oggetto l'atto inteso nella sua forma documentale, [...] a quello dell'imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica (art. 53 Cost.) [; ...] gli artt. 1 e 20 del d.P.R. n. 131/1986 vanno letti nel senso che l'oggetto dell'imposta di registro, [...] è costituito dagli effetti giuridici [degli] atti, ma l'imposta si collega all'atto come negozio e non all'atto come documento” (Cass. Civ., sez. trib., 24 gennaio 2019, n. 1962).

Tale perdurante adesione al pregresso orientamento sembra correlarsi alla negazione del valore interpretativo della novella del 2018, “in quanto essa introduce limiti prima non previsti all'attività di riqualificazione giuridica della fattispecie” (Cass. Civ., sez. trib., 24 gennaio 2019, n. 1962).

La sentenza di merito che si annota si è, dunque, puntualmente attenuta alla suddetta giurisprudenza di legittimità, sia in merito alla portata del citato art. 20 T.U. Registro, sia in merito alla natura innovativa (e non interpretativa) della novella legislativa del 2018.

La C.T.R. Emilia-Romagna ha infatti compiutamente risolto i due quesiti posti alla sua attenzione:

  • ravvisando nel comportamento delle parti, rilevante ex art. 1362 c.c., un intento reale e concreto, nel senso di procedere alla compravendita di un terreno edificabile, non già di un fabbricato;
  • ribadendo la natura innovativa e non interpretativa della novella del 2018.

In questo quadro, va dato atto dell'ulteriore intervento legislativo del 2019, successivo alla data in cui la causa è stata trattenuta in decisione dalla C.T.R. (art. 1, comma 1084, Legge 30 dicembre 2018, n. 145), a mente del quale “l'art. 1, comma 87, lettera a), della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell'articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131”.

L'intervento legislativo del 2019, che esplicita il valore interpretativo della novella del 2018, oltre a rendersi necessario, ex art. 1, comma 2, Legge n. 212/2000, si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza costituzionale, a tenore della quale “il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore” (ex multis, Corte Cost., 10 giugno 2016, n. 132).

In tal senso, che un contrasto interpretativo esistesse emerge dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, il che spiega e contestualizza l'opera del legislatore del 2019, in conseguenza della quale sembra destinato a riprendere vigore l'orientamento precedentemente rivelatosi minoritario, recentemente riemerso nelle decisioni della Suprema Corte (si confronti Cass. Civ., sez. trib.,15 gennaio 2019, n. 722).

Osservazioni

L'evoluzione normativa, incidente sulla trama argomentativa della sentenza che si annota, corretta ratione temporis, impone di rimeditare pro futuro la quaestio iuris.

L'opzione di valore che il legislatore sembra avere prescelto, infatti, riconduce l'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 all'interpretazione dell'atto da registrare, nei limiti dello schema negoziale tipico in cui lo stesso è inquadrabile.

Ogni ulteriore divergenza tra l'atto e i c.d. “elementi extratestuali”, viceversa, andrebbe valorizzata in chiave di abuso del diritto, stante che l'art. 53 bis del T.U. Registro, nel disciplinare attribuzioni e poteri dell'Amministrazione finanziaria, fa salvo “quanto previsto dall'art. 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212”.

Il che importerebbe, in chiave applicativa, il ben più rigoroso onere probatorio gravante sull'Amministrazione finanziaria, nonché l'instaurazione del contraddittorio preventivo, ai sensi del citato art. 10-bis della L. n. 212/2000.

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