Responsabilità della compagnia aerea per ritardo nel trasporto passeggeri
21 Giugno 2019
Massima
Ai voli di operatori extra-comunitari partiti da aeroporti extra-comunitari non si applica il Reg. CE 261/2004, a nulla rilevando che la destinazione sia in uno Stato membro UE, né che il vettore abbia o meno sedi secondarie in uno Stato membro. Si applica invece la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, che non prevede, in caso di ritardo, il pagamento automatico di un indennizzo, ma rinvia alle regole interne degli Stati aderenti per la determinazione dell'obbligazione risarcitoria, che in Italia, dunque, postula a carico del passeggero, secondo i criteri ordinari, l'allegazione e la prova del danno patrimoniale subìto e, quanto al danno non patrimoniale, l'allegazione e la prova di lesioni gravi di diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati. Il caso
Due passeggeri di un volo di compagnia aerea avente sede fuori dell'UE hanno agito dinanzi al Giudice di Pace per ottenere il risarcimento del danno subito per un ritardo di trentasei ore nel volo di rientro da città extraeuropea a Milano, con scalo intermedio, nel quale erano restati fermi per buona parte della notte, senza adeguate informazioni. Hanno invocato, innanzitutto, il Reg. CE 261/2004 dell'11 febbraio 2004, poiché il contratto di trasporto era stato concluso in Italia e la destinazione finale era una città italiana; in via gradata, hanno chiesto applicarsi la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (trattato multilaterale denominato Convenzione per l'unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale ratificato dall'Italia con l. 10 gennaio 2004 n. 12; firmato peraltro anche dalla Comunità Europea il 9 dicembre 1999 e per essa entrata in vigore il 28 giugno 2004). Hanno chiesto un ristoro di € 3.000,00 per risarcimento del danno e la compensazione pecuniaria e di € 300,00 per la mancanza di informazioni. La compagnia convenuta ha sostenuto: 1) l'applicazione della sola Convenzione di Montreal del 1999, non essendo un vettore comunitario; 2) l'insussistenza di inadempimento fonte di responsabilità, perché il ritardo era dipeso da guasto grave dell'aeromobile, imprevedibile e inevitabile; 3) di aver dato assistenza ai passeggeri; 4) che non era stato provato alcun danno concreto. Il Giudice di Pace ha accolto parzialmente la domanda, affermando la responsabilità del vettore in base al Reg. CE 261/2004, applicabile per la conclusione in Italia del contratto di trasporto; e comunque anche in base alla Convenzione di Montreal; e quantificando il danno nella minor somma di € 1.730,00, liquidata unitariamente a titolo risarcitorio e di compensazione pecuniaria, con determinazione equitativa ex art. 1226 c.c.; con esclusione invece di un danno non patrimoniale risarcibile, non essendovi prova di una lesione grave di diritti inviolabili della persona, ma solo di disagio e fastidio tollerabili. Il Tribunale di Milano, sull'appello principale della compagnia, che ha chiesto rigettarsi ogni avversa domanda, e quello incidentale dei passeggeri, che hanno chiesto risarcirsi anche il danno non patrimoniale, ha parzialmente riformato la sentenza, accogliendo l'impugnazione principale sul rilievo (a) dell'applicabilità della sola Convenzione di Montreal del 1999, e (b) della mancata prova di un danno patrimoniale, con rigetto dunque delle relative domande; e respingendo invece il gravame incidentale, sul rilievo che (c) non era emersa – e, a ben vedere, neppure adeguatamente dedotta – la lesione di diritti inviolabili della persona, posto che durante le trentasei ore di ritardo i passeggeri erano stati adeguatamente assistiti e che essi, in ipotesi, avrebbero potuto acquistare subito un volo per l'Italia alternativo. La questione
La sentenza d'appello del Tribunale di Milano ha affrontato le seguenti questioni. In punto di an debeatur: se si applicasse o meno il Reg. CE 261/2001 e quali siano i criteri rilevanti a tal fine; ovvero se si applicasse la sola Convenzione di Montreal del 1999. In punto di quantum debeatur: quali criteri si devono seguire in base alla Convenzione di Montreal del 1999 e, in particolare, se per il danno patrimoniale occorra puntuale allegazione e prova da parte del danneggiato, senza possibilità di supplire automaticamente col potere equitativo dell'art. 1226 c.c.; e se, per il danno non patrimoniale, possa darsi rilievo al disagio costituito dall'attesa patita, alla luce anche delle misure di assistenza dimostrate dalla compagnia aerea. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale ha ritenuto, in punto di responsabilità, che il Reg. CE 261/2004 non si applica, perché il vettore è extracomunitario e il volo proveniva da luogo extraeuropeo; mentre l'eventuale presenza di sedi secondarie del vettore in Italia è irrilevante, così come l'avvenuta conclusione del contratto di trasporto in Italia; e, in punto di determinazione del danno, che la Convenzione di Montreal non prevede alcun indennizzo a forfait per il ritardo, ma rinvia alle regole del singolo ordinamento dei membri aderenti, con la conseguenza che, per il sistema italiano, occorre che il danno patrimoniale sia allegato e provato e che il danno non patrimoniale si sostanzi nella lesione grave di diritti inviolabili della persona: condizioni che, nel caso di specie, non sussistevano. Osservazioni
Il quadro normativo nel quale si colloca la sentenza in commento è così articolato: 1) La Convenzione di Montreal, di portata generale (art. 1 comma 1: «La presente convenzione si applica ad ogni trasporto internazionale di persone, bagagli o merci, effettuato con aeromobile a titolo oneroso. Essa si applica altresì ai trasporti con aeromobile effettuati a titolo gratuito da un'impresa di trasporto aereo»), è stata ratificata dall'Italia con l. 10. gennaio 2004 n. 12, ma, al contempo, è stata dapprima attuata in ambito eurocomunitario per effetto del Reg. CE 889/2002, che ha modificato il Reg. CE 2027/1997 per adeguarlo al trattato internazionale; indi, direttamente firmata dalla Comunità Europea, entrando in vigore per essa il 28.6.2004, data dalla quale è divenuta a tutti gli effetti parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'Unione, con l'importante conseguenza che sulla sua corretta interpretazione all'interno della UE è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale e vincolante la Corte di Giustizia della Comunità Europea (cfr CGUE sent. 6 maggio 2010, causa C-63/2009 Walz c. Clickair); 2) Il Reg. CE 261/2004, norma ovviamente solo comunitaria, ha un oggetto più limitato: esso «… stabilisce […] i diritti minimi dei passeggeri in caso di: a) negato imbarco a passeggeri non consenzienti; b) cancellazione del volo; c) ritardo del volo» (art. 1). Entrambi i testi normativi si occupano anche della responsabilità del vettore aereo per il ritardo. La Convenzione di Montreal: (A) in punto di responsabilità, prevede, quale particolare causa di esenzione dall'obbligo risarcitorio, l'avere posto in essere tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno oppure la circostanza che fosse impossibile adottarle (art. 19); e, (B) in punto di quantificazione, stabilisce all'art. 22 un tetto massimo all'esposizione risarcitoria (art. 22 comma 1), ma fa salva la possibilità che il giudice riconosca all'attore, “… in conformità del proprio ordinamento interno, un'ulteriore somma corrispondente in tutto o in parte alle spese processuali e agli altri oneri da questi sostenuti in relazione alla controversia, maggiorate degli interessi.” (art. 22 comma 6). Il Reg. CE 261/2004: (C) impone al vettore, in caso di ritardo (art. 6), di dare determinate forme di assistenza al passeggero, che variano al variare della durata prevista del ritardo, ma che si risolvono nell'imbarco su volo alternativo (art. 8) ovvero nell'assistenza nelle more della partenza (art. 9); oppure di rimborsare il biglietto (art. 8), senza nessuna previsione automatica di risarcimento in denaro. Il Tribunale , per individuare il diritto sovranazionale applicabile, richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, e, in particolare, la sentenza CGUE 10.7.2008, causa n. C-173/2007 Emirates Airlines c. Schenkel, che, in caso analogo (ossia di viaggio andata/ritorno da uno Stato membro UE a uno Stato extraeuropeo e relativo rientro), ha affermato che il Reg. CE 261/2004 non si applica se il viaggio oggetto di controversia sia partito da un luogo fuori dell'UE, a nulla rilevando che il contratto di trasporto prevedesse un viaggio complessivo di andata e ritorno con partenza e arrivo in uno Stato membro UE. La Corte di Giustizia si è pronunciata in via pregiudiziale sulla interpretazione dell'art. 3 comma 1, lett. a) e lett. b) del Reg. CE 261/2004, a tenore del quale esso si applica «… a) ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del trattato”, nonché “ … b) ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato in un paese terzo a destinazione di un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del trattato, salvo se i suddetti passeggeri hanno ricevuto benefici o una compensazione pecuniaria e assistenza nel paese terzo in questione, qualora il vettore aereo operante il volo in questione sia un vettore comunitario». La pronuncia della CG ha efficacia ultra partes, nel senso che vincola tutti i giudici nazionali ad attenersi all'interpretazione data della norma comunitaria (cfr. Cass. civ., sez. V, 3 marzo 2017 n. 5381; Cass. civ., sez. V, 11 dicembre 2012 n. 22577). Ne segue che un trasporto aereo che - quantunque costituente la tratta di ritorno di un complessivo viaggio iniziato e finito in uno Stato membro UE - parta da uno Stato extracomunitario non è assoggettato al Reg. CE 261/2004, tranne che, nella particolare ipotesi della citata lett. b) dell'art. 3, si tratti di un vettore comunitario. E l'art. 2 del Reg. CE 261/2004, contenente le definizioni normative, qualifica comunitario, al punto c), il vettore «…munito di valida licenza di esercizio rilasciata da uno Stato membro ai sensi delle disposizioni del regolamento (CEE) n. 2407/92 del Consiglio, del 23 luglio 1992, sul rilascio delle licenze ai vettori aerei». Non si può quindi che concordare con il Tribunale sulla impossibilità di applicazione del Reg. CE 261/2004 alla fattispecie. Infatti, in presenza (a) di un volo partito da uno Stato extracomunitario e (b) di un vettore munito di licenza non rilasciata da uno Stato membro, si è irrimediabilmente e in ogni caso al di fuori dell'operatività del Regolamento. I criteri utilizzati dal Giudice di Pace o comunque proposti dalla difesa dei passeggeri risultano del tutto irrilevanti: la conclusione del contratto, l'esistenza di un complessivo biglietto di andata e ritorno con partenza iniziale e arrivo finale in Italia, l'esistenza in Italia di eventuali sedi secondarie della compagnia aerea sono tutti elementi che non valgono a rendere utilizzabile la norma comunitaria. Alla fattispecie pertanto si applica la Convenzione di Montreal, che esclude indennizzi automatici per ritardo e che lascia dunque l'obbligazione risarcitoria alla regolamentazione interna delle singole nazioni aderenti, salvi i limiti, già menzionati, di cui all'art. 19 comma 1, e con la deroga dell'art. 22 comma 6. Va semmai precisato che, come il Tribunale nota incidentalmente, neppure il Reg. CE 261/2004 prevede meccanismi risarcitori automatici per il caso di ritardo. Infatti, l'art. 7, che stabilisce (in proporzione alla distanza) la misura della c.d. compensazione pecuniaria, non consegue a qualsiasi violazione da parte del vettore, ma, come la stessa norma premette nel suo incipit («Quando è fatto riferimento al presente articolo..»), nei soli casi in cui espressamente sia previsto: l'art. 7, insomma, si limita a determinare la misura della compensazione pecuniaria, mentre l'obbligo di pagarla deve derivare da altre specifiche norme (l'art. 4, comma 3 per il negato imbarco; l'art. 5 comma 1, lett. c per la cancellazione del volo). Si è già accennato che l'art. 6, che riguarda l'ipotesi del ritardo, non sanziona tout court il ritardo con la compensazione pecuniaria, bensì impone al vettore di dare determinate forme di assistenza al passeggero (artt. 8 e 9). Siccome l'assistenza che il Tribunale ha accertato essere stata fornita dal vettore nel caso di specie pare senz'altro rispettare la previsione dell'art. 9 del Regolamento, si conclude che, pur applicandosi la normativa comunitaria, sarebbe stato indebito liquidare una somma riparatoria automatica e l'obbligazione risarcitoria avrebbe seguito le regole ordinarie, fatte salve dall'art. 12. Pertanto, la decisione del Giudice di Pace, per come riportata nella sentenza del Tribunale (che ne trascrive ampi stralci: pagg. 5-6), si rivela contraddittoria anche all'interno del presupposto da cui parte (ossia dell'applicazione del Reg. CE 261/2004), dal momento che il primo giudice, dopo avere esplicitamente fatto riferimento, secondo quanto allegato ed emerso, a un caso di ritardo (e non di cancellazione o di negato imbarco), effettua la liquidazione del risarcimento e compensazione pecuniaria ancorandola non all'art. 6 del Regolamento, ma all'art. 5, che dà sì luogo a compensazione pecuniaria, ma che concerne la cancellazione del volo e non il ritardo. A tacere del fatto, anch'esso rimarcato en passant dal Tribunale, che la liquidazione unitaria di risarcimento e compensazione pecuniaria è pure indebita, trattandosi di poste fra sé distinte: la seconda è una somma, predeterminata dal Regolamento, che il vettore deve ipso iure pagare in dipendenza di specifici e determinati inadempimenti (cancellazione volo; negato imbarco); il primo, per contro, altro non è se non l'eventuale maggiore danno, che ai sensi dell'art. 12, titolato Risarcimenti supplementari, il viaggiatore può utilmente allegare e dimostrare. L'oggetto dell'obbligo risarcitorio del vettore ricomprende non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, a nulla rilevando il titolo contrattuale dal quale scaturisce (secondo l'interpretazione, costituzionalmente orientata, che dell'art. 2059 c.c. hanno dato le note sentenze di San Martino, Cass. civ., Sez. Un., n. 26972-5/2008: non è il titolo della responsabilità che determina la risarcibilità del danno non patrimoniale, ma la natura del bene leso e la gravità del nocumento). I limiti quantitativi previsti dalla Convenzione di Montreal (art. 22) devono considerarsi applicabili sia al danno patrimoniale sia al danno non patrimoniale. La CGUE, nella già citata sentenza 6 maggio 2010, causa C-63/2009 Walz c. Clickair, ha stabilito che, in tema di danno per perdita del bagaglio, l'art. 22 comma 2 della Convenzione di Montreal deve essere interpretato nel senso che i limiti dell'esposizione del vettore riguardano sia il danno materiale (da intendersi nel nostro ordinamento come danno patrimoniale), sia il danno morale (da intendersi nel nostro ordinamento come danno non patrimoniale); eguale principio è stato affermato in Italia dalla S.C. con la sentenza Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2015 n. 14667, rammentata dal Tribunale, alla quale si può qui aggiungere, in senso conforme, la recente Cass. civ., sez. VI, ord. 21 febbraio 2019 n. 4996. Gli argomenti spesi dalla CGUE e dalla Corte di Cassazione, come ovvio, si riferiscono a tutti i limiti previsti dall'art. 22, e, quindi, anche al caso di ritardo (art. 22 comma 1). Infine, il Tribunale, nel giungere al punto nodale che fonda la decisione di integrale rigetto delle domande, riafferma due principî basilari in tema di risarcimento del danno, l'uno relativo a quello patrimoniale e l'altro a quello non patrimoniale: essi, a ben vedere, hanno, a un livello più profondo, un fondamento comune, ossia che nessun danno è risarcibile se non se ne alleghino e dimostrino gli elementi costitutivi. Il danno patrimoniale impone al danneggiato di allegare e di dimostrare il nocumento non solo nella sua esistenza, ma anche nella sua misura, potendosi ricorrere al potere equitativo dell'art. 1226 c.c. solo nei casi in cui, provata con certezza l'esistenza del danno, risulti impossibile (o, quanto meno, estremamente difficile) dimostrarne il quantum e sempre che i parametri in base ai quali esercitare il potere equitativo siano offerti dalla parte (Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2008 n. 3794; Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2016 n. 20889; Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2018 n. 4310; Cass. civ., sez. III, ord. 4 aprile 2019 n. 9339). Il ritardo, tanto più se di trentasei ore, può senza dubbio cagionare un danno patrimoniale: per la perdita di un giorno di lavoro, per maggiori costi di raggiungimento della meta finale dovuti alla necessità di comprare nuovi biglietti per tratte via terra dall'aeroporto a casa; per gli eventuali pasti acquistati nell'attesa di rientrare; ma lo si deve allegare e provare con precisione e, salvo che sia impossibile o troppo difficile (il che pare da escludersi per gli esempi ipotizzati), si deve dimostrare anche la misura del nocumento. Il danno non patrimoniale deve consistere, per essere risarcibile, in una violazione grave di un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, secondo la ricostruzione che pure rimonta a Cass. civ., Sez. Un., n. 26972-5/2008 e che deve considerarsi ormai consolidata nel nostro ordinamento: il che porta a condividere la considerazione del Tribunale che, nel caso di specie, fosse a tal fine del tutto insufficiente avere dedotto il patimento «… di stress e frustrazione per l'attesa, non programmata, di 36 ore …» (pag. 17). Per di più, si è visto che la Convenzione di Montreal prevede, quale particolare causa d'esclusione di responsabilità da ritardo, che il vettore – onerato della relativa prova - abbia adottato tutte le misure necessarie e possibili, secondo la normale diligenza, per evitare il danno (art. 19); nel caso esaminato dal Tribunale, è stato accertato in fatto che il vettore provvide a far alloggiare i passeggeri in un hotel a quattro stelle, condotta riparatoria senz'altro idonea a ridurre, se non eliminare, lo stress e la frustrazione dell'attesa; il che legittima la conclusione che - ferma restando la motivazione utilizzata dal Tribunale (e già prima dal Giudice di Pace), ossia che non v'era adeguata allegazione e prova del danno non patrimoniale – il vettore andasse in ogni caso esente da responsabilità avendo sul punto dato la prova liberatoria di cui all'art. 19 della Convenzione di Montreal. Questi due caposaldi assumono particolare rilievo in fattispecie analoghe a quella giudicata dalla sentenza in commento, poiché il nocumento dovuto al ritardo di un volo aereo, così come quelli a esso assimilabili, possono indurre talora il danneggiato che agisca in giudizio a trascurare l'attività di allegazione e prova, che resta invece imprescindibile, dal momento che, così compendiando l'essenza della decisione in commento, (a) nessun danno patrimoniale si presume dal mero accertamento dell'inadempimento, né può essere surrettiziamente recuperato abusando del potere equitativo dell'art. 1226 c.c.; e che, del pari, (b) il danno non patrimoniale è risarcibile solo per lesioni gravi di interessi a rilievo costituzionale («in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza»: Cass. civ., n. 26972/2008) e sempre che il nocumento non sia futile, ciò che non esclude certo a priori che il viaggiatore che patisca un ritardo nel viaggio possa subire siffatto danno, ma lo chiama a una rigorosa attività di allegazione e di prova, pena il rigetto della domanda. |