Rimessa la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea sull'applicabilità al condominio della disciplina consumeristicaFonte: Trib. Milano , 1 aprile 2019
21 Giugno 2019
Massima
Va rimessa alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione se la nozione di consumatore, quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE, osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto, quale il condominio nell'ordinamento italiano, che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all'attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa quanto al potere di informazione. Il caso
Nel caso concreto, un condominio aveva proposto opposizione avverso un atto di precetto con il quale, sulla base di un verbale di mediazione intervenuto tra le parti in causa, gli veniva intimato il pagamento di una somma dovuta a titolo di interessi di mora calcolati sul capitale scaduto, come previsto dall'accordo di mediazione. In particolare, il contratto originariamente concluso tra le parti e richiamato nel verbale di mediazione prevedeva che, in caso di ritardato pagamento, il condominio committente si obbligava a corrispondere interessi di mora al tasso del 9.25 % dal momento della scadenza del termine di pagamento al saldo. Pertanto, raggiunto in sede di mediazione un accordo in forza del quale il condominio si obbligava a pagare un importo concordato a titolo di capitale e interessi con il versamento di una data somma mensile fino a concorrenza di quanto convenuto per capitale ed interessi, a seguito del mancato pagamento di una rata dovuta a titolo di interessi residui, il creditore dichiarava di avvalersi della decadenza dal beneficio del termine e richiedeva gli interessi di mora così come previsto nel contratto. Essendo pacifico tra le parti che il condominio aveva provveduto al pagamento dell'intera somma dovuta a titolo di capitale, la contestazione verteva solo in ordine alla debenza di ulteriori somme dovute a titolo di interessi di mora per il periodo successivo alla formazione del titolo esecutivo (verbale di mediazione). Il Tribunale, d'ufficio, rilevava la possibilità di considerare il condominio quale consumatore e, in caso di risposta positiva a tale quesito, sollevava, altresì, d'ufficio la questione circa l'abusività della clausola relativa alla misura degli interessi moratori. A fronte di tale rilievo officioso, il condominio affermava il proprio status di consumatore e chiedeva al giudice di effettuare la valutazione di abusività della clausola contrattuale la quale non sarebbe stata oggetto di ricognizione di debito in sede di mediazione; il creditore, invece, evidenziava che non era rilevante verificare la qualità di consumatore del condominio, dovendo piuttosto valorizzarsi la possibilità per le parti (anche ove una di esse sia un condominio) di pattuire interessi moratori in misura superiore al tasso legale e allegando che, in concreto, la clausola con la quale era stata determinata la misura degli interessi moratori era stata oggetto di duplice specifica sottoscrizione ex artt. 1341 e 1342 c.c. Inoltre, si evidenziava che la pattuizione contrattuale dell'interesse moratorio non poteva considerarsi vessatoria in considerazione del fatto che il tasso legale degli interessi con riferimento alle domande giudiziali proposte a partire dal 1 gennaio 2015 era pari all'8 % (art. 1284, comma 4, c.c.). Il Tribunale, pertanto, rimetteva alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: ”se la nozione di consumatore quale accolta dalla Direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell'ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all'attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa quanto al potere di informazione”.
La questione
Nel caso di specie, si tratta di verificare se un soggetto (quale il condominio), allorquando concluda un contratto per scopi estranei all'attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista, possa considerarsi consumatore e, quindi, beneficiare della relativa disciplina contenuta nel codice del consumo, alla luce della normativa europea (direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993) che qualifica come consumatore “qualsiasi persona fisicache agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale” e della relativa legislazione domestica che, nel recepire con la l. n. 52/1996 (che ha introdotto gli artt. 1469-bis ss. c.c., poi, confluiti nel Codice del consumo) la direttiva del 1993, ha accolto alla lettera la definizione comunitaria di consumatore. Le soluzioni giuridiche
Il giudice del rinvio, dopo avere individuato le norme rilevanti ai fini della questione, ritiene che la clausola contenuta nel contratto intercorso tra le parti potrebbe essere considerata vessatoria ai sensi dell'art. 33, comma 2,Cod. cons. con conseguente nullità della clausola in questione ex art. 36 Cod. cons. Tuttavia, per poter risolvere la controversia nel senso indicato occorre rinvenire nel condominio un consumatore. Il Tribunale dubita che il condominio possa essere considerato un consumatore sia che lo si consideri un ente di gestione ovvero un soggetto giuridico autonomo rispetto ai condomini, attesa la difficoltà di considerare il condominio una persona fisica e ciò alla luce della nozione accolta di consumatore, sia a livello di legislazione europea che di legislazione domestica, riferita appunto alla sola persona fisica. Proprio muovendo dalla definizione normativa di consumatore nonché dalla giurisprudenza europea che ha accolto una nozione restrittiva di consumatore e, pur, evidenziando come tale nozione assuma carattere oggettivo e prescinde dalle conoscenze concrete che l'interessato può avere o dalle informazioni dalle quali egli realmente dispone, il giudice di rinvio giunge a ritenere che il condominio non possa essere considerato consumatore, non essendo una persona fisica. Tuttavia, la distinzione tra persona fisica e persona giuridica rischia di non comprendere situazioni soggettive che sfuggono a tale rigida distinzione, ritenuta dal legislatore europeo esaustiva di tutte le entità soggettive conosciute dagli ordinamenti degli stati membri. Esiste, quindi, la possibilità, secondo il giudice di rinvio, che soggetti non rientranti in questa rigida dicotomia possano trovarsi, sia quanto al potere di trattativa sia quanto al livello di informazione, in una situazione di inferiorità rispetto al professionista tale da giustificare una tutela (sostanziale e processuale) idonea a sostituire a un equilibrio apparente tra le parti un equilibrio reale, tale da riportare le parti in un rapporto di sostanziale parità, affinché lo status di consumatore possa essere riconosciuto anche ad un soggetto che non rientra nella distinzione sopra indicata.
Osservazioni
L'ordinanza di rimessione pone alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea un'interessante problematica che è oggetto di acceso dibattito: la possibilità di considerare il condominio quale consumatore con conseguente applicazione della disciplina prevista a tutela del consumatore. La giurisprudenza, sia di merito che di legittimità (v., da ultimo, Cass. civ., sez. VI/II, 22 maggio 2015, n. 10679) è concorde nel considerare il condominio consumatore sulla base di questi argomenti: a) il condominio è un ente di gestione privo di autonoma soggettività giuridica ulteriore o diversa da quella dei singoli condomini che opera tramite l'amministratore che è un mandatario con rappresentanza; b) gli effetti dei contratti dallo stesso posti in essere nell'interesse dei condomini si ripercuotono sui singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. A fronte di questo orientamento, il giudice di rinvio ritiene che sia difficile configurare il condominio come consumatore alla luce sia della direttiva del 1993 che della legislazione nazionale che identifica il consumatore nella persona fisica che agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale, vale a dire la persona fisica che stipula contratti al di fuori della propria attività economica. La giurisprudenza ha ritenuto di poter considerare consumatore il condominio attraverso l'escamotage del condominio qualeente di gestione, privo di autonoma soggettività giuridica distinta da quella dei singoli partecipanti, che opera tramite l'amministratore che è un mandatario con rappresentanza dei singoli condòmini, i quali sono considerati consumatori, essendo persone fisiche che agiscono per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. Tuttavia, l'assunto secondo il quale il condominio debba essere considerato un consumatore ha trovato forti opposizioni. L'argomento che è stato sovente utilizzato per negare il principio in parola è quello secondo cui l'ente di gestione, nella maggior parte dei casi, agisce sulla base di un rapporto di mandato conferito all'amministratore, il quale, munito di specifiche competenze professionali e di un rilevante potere negoziale, deve essere necessariamente considerato un professionista. In altri termini, si sostiene che l'amministratore ha una piena capacità tecnica e giuridica idonea per comprendere la portata delle clausole contrattuali, sicché, da tale premessa, conseguirebbe che al condominio non potrebbe essere applicata la disciplina di tutela del consumatore. Tale impostazione, tuttavia, non risulta recepita dalla giurisprudenza. In particolare, si sostiene che non osta alla qualifica del condominio come consumatore la professionalità del servizio svolto dall'amministratore, in considerazione della circostanza che l'acquisto di beni o servizi, da parte del condominio, non vincola l'amministratore in quanto tale, bensì i singoli condomini; sono questi ultimi, infatti, e non l'amministratore, a sostenere le spese del prodotto acquistato, ed evidentemente qualsiasi acquisto da parte degli stessi di beni o servizi non potrà certo mai essere effettuato nell'esercizio di loro attività imprenditoriali o professionali. Quid iuris nei casi in cui nella compagine condominiale siano presenti anche o solo società o altri enti o anche solo persone fisiche che utilizzano l'immobile, cui accedono le parti condominiali, per scopi professionali? È utile ricordare che il professionista può essere considerato alla stregua del semplice “consumatore” soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio della propria attività (v., tra le tante, Cass. civ., sez. VI/I, 14 luglio 2011, n. 15531). Si è sostenuto che l'applicabilità delle norme a tutela dei consumatori nei rapporti contrattuali in cui il condominio è parte non dovrebbe avvenire in via automatica, ma andrebbe verificata caso per caso. Infatti, è ben possibile che nella compagine condominiale vi sia un condomino (persona fisica ovvero persona giuridica) che agisca per scopi professionali. Si pensi al caso del professionista che svolge la propria attività in un immobile sito in un condominio. Ebbene, in tal caso, si ritiene che i contratti stipulati da quest'ultimo, oltre ad avere come scopo quello di conseguire un miglior godimento dalle cose comuni, potrebbero avere come scopo anche quello della maggiore fruibilità dell'immobile al fine di incentivare l'attività professionale in esso svolta. In questi casi, si discute se si possa applicare il Codice del consumo ai contratti conclusi dal condominio per conto delle persone giuridiche o dei professionisti titolari degli immobili. In proposito, la giurisprudenza di merito si è espressa nel senso che non rileva la composizione del condominio per ritenere se sia o meno applicabile la disciplina sul codice del consumo. Il condominio mantiene la sua natura di centro di interessi privatistici volti alla tutela dei beni comuni di un edificioe la qualifica di consumatore, con conseguente applicazione della disciplina consumeristica, anche in assenza di una prevalenza, fra i condomini, di persone fisiche consumatori. Ciò, in quanto l'amministratore del condominio, nel momento in cui stipula contratti di utenza o manutenzione per conto dei condomini, agirebbe, comunque, per scopi estranei all'attività professionale degli stessi (Trib. Massa 26 giugno 2017, n. 552; conforme, Trib. Ravenna 27 settembre 2017, n. 711). Ecco che, in tale contesto, non può che trovare plauso l'ordinanza del Tribunale di Milano che ha ritenuto di sollevare la questione davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Baciucco, Il condominio e la figura del consumatore, in www.academia.edu; Carpinelli, I diritti del condominio come consumatore finale, in www.ilcondominionuovo.it; Bosso, I contratti del condominio e il condominio come consumatore. Introduzione e principi generali, in Arch. loc. e cond., 2017, 14; Chiaromonte, Tutela consumeristica e parte soggettivamente complessa, in Riv. dir. civ., 2019, 1, 25. |