La delibera che autorizza la sosta degli autoveicoli nella stradina condominiale costituisce un mutamento d'uso dell'area condominiale?

Maurizio Tarantino
01 Luglio 2019

Chiamato ad accertare la legittimità di una delibera assembleare finalizzata a consentire l'uso dello stradello a tutti i condomini, il Tribunale adìto ha evidenziato che, nel caso di sosta di veicoli, è da escludere la violazione dell'art. 1102 c.c. e dell'art.1117-ter c.c. quando...
Massima

Se il parcheggio abituale sullo stradello da parte di un solo condomino priva gli altri della possibilità di utilizzare pienamente tale spazio comune, il condominio può deliberare l'utilizzo a favore di tutti. Difatti, in tal caso, la natura giuridica della delibera non è tale da determinare un mutamento d'uso di un'area condominiale, essendo, piuttosto, volta a regolamentare un uso da parte di tutti i condomini, conformemente a quanto statuito dall'art. 1117-quater c.c.

Il caso

Tizio è proprietario di una unità immobiliare, costituita da un magazzino e da un negozio, condotta in locazione dalla ditta Alfa. Detto ciò, l'attore ritenendo le delibere del 13 novembre 2013 adottate dall'assemblea in violazione dei propri diritti, le ha impugnate lamentando, tra i tanti vizi, anche la violazione: degli artt.1102 e 1118 c.c. per i quali ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; dell'art.1117-ter c.c. per il quale le modificazioni delle destinazioni d'uso delle parti comuni sono consentite solo per esigenze di carattere generale, mentre, nella fattispecie odierna, nessun interesse avevano i condomini a porre limitazioni all'accesso alla sola proprietà dell'attore. Inoltre, secondo Tizio, vi era stato un vero e proprio eccesso di potere in quanto la decisione dell'assemblea era deviata dal suo modo di essere. Costituendosi in giudizio, il Condominio convenuto, invece, contestava il fondamento della domanda in quanto le delibere in questione erano volte solo a consentire l'uso dello stradello lato sud a tutti i condomini; mentre, allo stato attuale, solo la ditta Alfa, parcheggiando i propri mezzi, usufruiva dello spazio comune.

La questione

La questione in esame è la seguente: ai fini della sosta delle autovetture, è legittima la delibera che consente a tutti i condomini di utilizzare uno stradello che, da tempo, è stato utilizzato da un solo condomino?

Le soluzioni giuridiche

Il presente condominio si presentava composto da due stradelli laterali con una diversa pendenza: quello di sinistra (nord) scende verso i garages; quello di destra (sud), invece, è in piano e termina con la parte posteriore di una autorimessa. Dallo stradello di destra si accede alla proprietà dell'attore ed al magazzino condotto in locazione dalla ditta Alfa; quest'ultima, utilizzava l'area per carico e scarico e, a volte, la sosta si protraeva nel tempo durante la giornata.

Premesso quanto esposto - secondo il giudicante - quanto accertato in via di fatto consentiva di inquadrare la natura giuridica della delibera impugnata non tale da determinare una mutazione d'uso di un'area condominiale essendo, piuttosto, volta a regolamentare un uso da parte di tutti i condomini, conformemente a quanto statuito dall' art. 1117-quater c.c. (richiamato dalla difesa convenuta). Difatti, secondo il precetto normativo in esame, in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie; l'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'art. 1136 c.c. (ampiamente raggiunte nella riunione del 13 novembre 2013).

Ciò posto, contrariamente alle censure svolte dall'attore, è stata esclusa la violazione dell'art. 1102 c.c.; invero, nel caso in esame, dalle deposizioni raccolte era emerso - nel caso di sosta di autoveicoli - un utilizzo da parte dell'attore (e suoi aventi causa) tale da impedire un analogo uso agli altri partecipanti.

Riguardo, poi, alla dedotta violazione dell'art.1117-ter c.c. (modificazione delle destinazioni d'uso delle parti comuni per soddisfare esigenze di interesse condominiali), essendo stata la perdurante destinazione a transito veicolare e sosta mutata in accesso per il solo carico e scarico delle merci se, in effetti, non risultava un precipuo interesse di singoli condomini, tuttavia, dalle deposizioni dell'attore si ricavava la configurabilità di un interesse condominiale.

Ed ancora, quanto all'eventuale eccesso di potere del condominio, il Tribunale adìto ha evidenziato che la figura di tale istituto nel diritto privato ha la funzione di superare i limiti di un controllo di mera legittimità di espressioni di volontà riferibili ad enti collettivi (società o condomini) che potrebbero lasciare prive di tutela situazioni di non consentito predominio della maggioranza nei confronti dei singoli; in questi casi, però, il controllo va coniugato con la sussistenza di un interesse dell'ente collettivo che contemporaneamente ne verrebbe leso, escluso nella presente fattispecie (Cass. civ., sez. VI/II,21 febbraio 2014, n. 4216).

In conclusione - secondo il ragionamento del giudicante - nella fattispecie sarebbe stata ipotizzabile la esclusiva lesione del diritto di un singolo (odierno attore) senza interesse alcuno per tutti gli altri, solo nel caso fosse stata deliberato un impedimento al transito di autoveicoli dall'accesso sud, non l'esclusione della sola sosta di essi una volta entrati. Per i motivi esposti, l'impugnazione è stata respinta.

Osservazioni

La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni in merito alla questione delle modificazioni delle destinazioni d'uso.

In argomento, giova ricordare che l'art. 1117-ter, comma 1, c.c., come introdotto, con decorrenza dal 18 giugno 2013, dall'art. 2 della l. 11 dicembre 2012, n. 220, rubricato “Modificazioni delle destinazioni d'uso”, dispone che, per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni.

Interpretando l'articolo in esame, possiamo affermare che con la riforma (l. n. 220/2012), attualmente, è necessario distinguere tra innovazioni e modificazioni delle destinazioni d'uso. Infatti, la deliberazione assembleare che, pur sempre per soddisfare esigenze di interesse condominiale, autorizzi il mutamento della destinazione d'uso di beni comuni, rimane vincolata dal più severo art. 1117-ter c.c.

Secondo alcuni autori, anche l'art. 1117-ter c.c. ricade nell'ambito della complessiva disciplina delle attività di trasformazione delle parti condominiali, così essendo accomunato all'art. 1120 c.c. Difatti, entrambe queste norme si stagliano in termini di eterogeneità rispetto alle mere modificazioni delle cose comuni regolate dall'art. 1102 c.c., assumendo solo in esse rilevanza l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell'assemblea, elemento del tutto sconosciuto nell'art. 1102 c.c., il quale è ispirato dal solo interesse del singolo.

Del resto, in virtù dell'art. 1117-ter c.c., il mero mutamento di destinazione d'uso non si mostra più idoneo ad integrare innovazione, ma costituisce, viceversa, oggetto di apposita regolamentazione.

In aggiunta, il mutamento di destinazione d'uso, a differenza dell'innovazione, incontra il limite del possibile pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato e dell'alterazione del decoro architettonico, ma non quello dell'inservibilità del bene comune, per effetto della variazione, per uno o più condomini.

Ciò non significa che l'assemblea possa incidere negativamente sui diritti dei condomini, precludendo il godimento del bene comune, considerato peraltro che l'art. 1120 c.c. costituisce espressione del più generale principio espresso dall'art. 1102 c.c.; piuttosto, la sola destinazione d'uso, che può anche prescindere dal compimento di opere materiali, è idonea ad incidere sull'utilità soggettiva di un condomino interessato alla conservazione dello stato attuale, non essendo tuttavia suscettibile di pregiudicare l'oggettivo godimento del bene comune, se non accompagnata da un'alterazione sostanziale.

Di conseguenza, se il singolo condomino non può opporsi ad un mutamento di destinazione e ad un diverso utilizzo del bene adottato nell'interesse del condominio con la maggioranza richiesta, è tuttavia legittimato ad impugnare una delibera che non muti solamente la destinazione del bene, ma ne alteri la consistenza, in maniera tale da precludergli o limitargli in maniera sensibile l'utilizzo.

Premesso quanto innanzi esposto, in argomento, deve ritenersi fondamentale un approccio casistico che, con puntuale riferimento alla presente fattispecie concreta e quindi alle caratteristiche dello stradino ed alla destinazione allo stesso, valuti la conformità della soluzione adottata dal condominio rispetto a quei precetti normativi. Detto ciò, secondo un orientamento di legittimità, se il vialetto condominiale di accesso ai garage è tale da permettere oltre al transito anche la sosta dei veicoli, è sufficiente che la sosta delle autovetture renda meno agevole la manovra degli altri condomini per decretarne il divieto: il parcheggio abituale sullo stradello priva, infatti, gli altri condomini della possibilità di utilizzare pienamente tale spazio comune, rendendo meno agevoli le manovre di entrata e di uscita dai garage e compromette il pari diritto di godimento degli altri condomini. Pertanto, secondo i giudici di legittimità, lo stradello che conduce alle autorimesse, se adibito al solo transito dei veicoli, non può essere utilizzato dai condomini come parcheggio (Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2012, n. 14663).

Ed ancora, secondo altri autori, qualora emerga che l'oggetto di una delibera assembleare si riduca ad una mera formula di uso della res nel rispetto comunque della sua destinazione, deve ritenersi la legittimità della delibera assembleare adottata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edifìcio (art. 1136, comma 2, c.c.); qualora invece, al di là delle ipotesi disciplinate dall'art. 1120, comma 2, c.c., la delibera dell'assemblea condominiale integri una modifica della destinazione socio-economica del cortile che comunque salvaguardi la funzione primaria di dare aria e luce alle proprietà individuali, garantendone altresì l'accesso, deve ritenersi sufficiente che detta trasformazione sia stata deliberata dalla maggioranza dei partecipanti al condominio e da due terzi del valore dell'edifìcio.

In tema, inoltre, si osserva anche che qualora la deliberazione assembleare miri alla destinazione a parcheggio di una area condominiale, già prima della novellazione dell'art. 1120 c.c. ex art. 5 della l. 11 dicembre 2012, n. 220, la Suprema Corte aveva affermato la sufficienza di una delibera votata a maggioranza, non essendo necessaria invece l'unanimità dei consensi degli aventi diritto (Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1998, n. 10289); salvo, pretendere un consenso unanime dei condomini in caso di destinazione a parcheggio del cortile condominiale utilizzato quale giardino (Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4922).

In conclusione, l'uso della res comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto. In tal senso, la nozione di pari uso della res comune non deve essere intesa nel senso di uso identico, perché l'identità nello spazio e nel tempo potrebbe comportare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio.

Ne deriva che, per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino alteri il rapporto di equilibrio tra i partecipanti e, perciò, sia da ritenere non consentito a norma dell'art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (Trib. Bergamo, 25 gennaio 2019, n. 231: in tale fattispecie, non era ravvisabile una turbativa o molestia del compossesso degli altri comunisti in caso di apposizione di un cancello a chiusura dell'accesso ad un cortile, qualora non venisse reso meno agevole il normale passaggio).

Guida all'approfondimento

Celeste, Modificazioni delle destinazioni d'uso, in Condominioelocazioni.it;

Bellanova, Il nuovo condominio, a cura di Triola, Torino, 2017, 189;

Cassano, Casi di condomini molesti, Rimini, 2014, 218.

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