Precluso il rimborso della maggiore imposta sostitutiva di plusvalenze se interferisce con condono

Giuseppe Caracciolo
22 Luglio 2019

Precluso il rimborso della maggiore imposta sostitutiva di plusvalenze da cessione di partecipazione se esso interferisce con un condono relativo a contestazione di pregressa sopravvenienza attiva...
Massima

La sopravvenienza attiva derivante dalla riduzione del corrispettivo di acquisto della partecipazione, da computarsi nel reddito imponibile ai fini IRPEG senza alcuna rettifica dell'originario costo d'acquisto della partecipazione e quindi del valore fiscalmente riconosciuto, e la plusvalenza generata dalla successiva rivendita della partecipazione, sottoposta all'imposta sostitutiva di cui all'art. 1, D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, non sono idonee a determinare duplice imposizione del medesimo presupposto di imposta, attese le distinte manifestazioni di ricchezza che sono state tenute in considerazione ai fini delle diverse imposte versate. Né d'altronde può dare luogo a rimborso l'eventuale esuberante versamento dell'imposta sostitutiva perché frutto di adesione ad un regime fiscale eccezionale che non può essere messa in discussione ex post con un'istanza siffatta.

Il caso

Un istituto di credito ha proposto impugnazione avanti alla compente Commissione Provinciale (e poi ha proposto appello avverso la pronuncia negativa di quest'ultima) contro il diniego opposto dall'Agenzia all'istanza di rimborso di una parte dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni di controllo o di collegamento di cui all'art. 1 del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 (allora vigente ed oggi abrogata per effetto della disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 344/2003).

Era infatti accaduto che la Guardia di Finanza, all'esito di una verifica nei confronti del predetto istituto di credito, avesse contestato a quest'ultimo che l'importo ricevuto nel 1998 a titolo di parziale restituzione del corrispettivo della cessione di partecipazione avrebbe dovuto essere iscritto nel conto economico dell'esercizio dianzi considerato quale sopravvenienza attiva, senza alcuna rettifica dell'originario costo d'acquisto della partecipazione e quindi del valore fiscalmente riconosciuto, così come -invece- l'istituto aveva fatto. Pertanto, la Guardia di Finanza, nel relativo processo verbale, ha invitato gli Uffici finanziari a recuperare a tassazione ai fini IRPEG, per l'esercizio 1998, l'importo di euro 1.922.866,75, corrispondente alla sopravvenienza attiva da computarsi nel reddito imponibile.

L'istituto di credito, con il condono dì cui all'art. 15 Legge 27 dicembre 2002, n.289, ha definito il processo verbale di constatazione, con riferimento al rilievo relativo alla sopravvenienza in questione, ed ha poi chiesto a rimborso la somma corrispondente alla parte dell'imposta sostitutiva sulla plusvalenza, realizzata nel corso dell'anno 2001 con la cessione della suddetta partecipazione in precedenza acquistata, asseritamente pagata in eccesso rispetto al dovuto (in quanto calcolata erroneamente computando il corrispettivo di acquisto della stessa partecipazione nella misura corrispondente al prezzo originario diminuito della somma restituita alla originaria cessionaria dalla originaria cedente) e ciò sulla premessa che si fosse -in tal modo- realizzata una doppia imposizione, una prima volta con l'imposta sostitutiva versata in riferimento all'anno 2001 e calcolata sul corrispettivo ridotto di acquisizione della partecipazione, con conseguente emersione di una pari plusvalenza; una seconda volta, a titolo di sopravvenienza attiva rilevante ai fini IRPEG, quale rettifica del reddito del periodo d'imposta 1998, nel quale avrebbe dovuto essere correttamente appostata secondo il criterio di competenza, come rilevato nel processo verbale della verifica poi oggetto di condono.

Le questioni

Le questioni prospettate dalla parte ricorrente nel ricorso per cassazione attengono -a ben vedere- a due distinte prospettive ricostruttive della fattispecie processuale: da un canto (e cioè per quanto riguarda il primo, il secondo ed il quinto motivo di impugnazione) per avere il giudice del merito affermato -in violazione di una pluralità di norme (ma, nella sostanza, con erronea applicazione dell'art. 15 Legge n. 289/2002) che il condono della contestazione di violazione della disciplina ai fini dell'imposizione IRPEG sia preclusivo del rimborso dell'imposta versata a tutt'altro titolo e con riferimento a tutt'altro periodo di imposta rispetto a quello oggetto di condono; d'altro canto (per quanto riguarda il terzo, il quarto ed il sesto motivo) per avere il giudice del merito equivocato sul titolo per il rimborso effettivamente dedotto in giudizio che aveva avuto ad oggetto non già l'imposta (IRPEG) considerata nel rilievo contenuto nel PVC poi condonato ma invece il versamento spontaneo dell'imposta sostitutiva del 19% sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni di controllo o di collegamento di cui all'art. 1 D.Lgs. n. 358/1997.

La Suprema Corte ha ritenuto di trattare congiuntamente ed in maniera indistinta tutti i profili di impugnazione della sentenza di appello e perciò di mescolare tra loro le due diverse prospettive identificate dalla parte ricorrente, finendo per adottare una pronuncia che -indipendentemente dal dubbio che residua a riguardo della correttezza della decisione- elude gli errori logici contenuti nella sentenza di merito (in punto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) e li supera, fagocitandoli con la tecnica della correzione della motivazione (art. 384 comma 4 c.p.c.) e con la eccedente proliferazione dei principi di diritto che si assumono applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio.

Le soluzioni giuridiche

Ed invero la Corte si sofferma frustraneamente - nella prima parte della motivazione - sui principi di diritto che, stando alle ragioni di impugnazione proposte dalla parte ricorrente, hanno orientato il giudice del merito alla reiezione della domanda di rimborso, pur dando atto - come si dirà più oltre - che detti principi non si attagliano alla specie di causa, per avere la parte contribuente fatto oggetto della propria istanza non già quanto pagato a titolo di condono ma bensì quanto pagato a titolo di imposta sostitutiva.

In tal guisa la Suprema Corte si attarda a ribadire principi consolidati e noti, secondo i quali il condono definisce "transattivamente" la controversia in ordine all'esistenza del presupposto di imposta e pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria, sicchè la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d'imposta definite in via agevolata ed è ostativa al rimborso di crediti di imposta asseritamene spettanti. Conseguenza, questa, derivante dal fatto che la dichiarazione di volersi avvalere di una determinata definizione agevolata non ha natura di mera dichiarazione di scienza o di giudizio (come tale modificabile) ma integra un atto volontario i cui effetti sono previsti dalla legge, sicché essa, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall'ufficio, né contestata dal contribuente per un ripensamento successivo, ma solo per errore materiale manifesto e riconoscibile (tra le molte pronunce richiamate si vedano le più recenti Cass. Civ., sez. trib., 28 giugno 2018, n. 17141; Cass. Civ., sez. trib., 21 luglio 2015, n. 15295; Cass. Civ., sez. trib., 6 marzo 2015, n. 4566, Cass. Civ. sez. VI-T, 10 febbraio 2012, n. 1967).

La riaffermazione di detti principi risulta però in contraddizione logica con quanto la Corte rileva successivamente a riguardo del difetto di sottoposizione a duplice imposizione del medesimo presupposto di imposta (su cui la parte contribuente fonda la propria istanza di rimborso) né vale a contrastare l'evidenza del fatto che il contribuente ha chiesto il rimborso di somme versate per annualità diverse da quelle fatte oggetto del condono e per adempiere all'obbligo di un diverso tributo rispetto a quello oggetto di contestazione e perciò - in definitiva - ad un differente presupposto d'imposta, sicchè ne avrebbe astrattamente titolo -indipendentemente dal condono- ove riuscisse a dimostrare di avere versato in esubero rispetto al proprio obbligo.

A quest'ultimo riguardo, sarebbe bastato considerare ciò che la stessa Suprema Corte aveva in precedenza evidenziato con riguardo a fattispecie del tutto simile e cioè che: ”La definizione agevolata della lite fiscale di cui all'art. 16, Legge 27 dicembre 2002, n. 289 preclude al contribuente solo di ottenere la restituzione delle somme versate per le imposte in relazione alle quali l'avviso impugnato contenga una pretesa impositiva contestata, ma non impedisce il recupero degli importi già corrisposti per tributi che, pur contemplati nell'avviso, non abbiano formato oggetto di specifica richiesta dell'Amministrazione finanziaria, per la ragione che il condono elide la pretesa impositiva unitamente all'impugnazione del contribuente all'interno del perimetro segnato, da un lato, dalla stessa pretesa impositiva e, dall'altro, dall'oggetto del contenzioso proposto dal contribuente” (Cass. Civ., sez. trib., 26 ottobre 2011, n. 22262).

E perciò, il riconoscimento contenuto nella sentenza qui in commento in ordine al fatto che il condono di cui si tratta concerne la definizione “della potenziale controversia relativa alla sopravvenienza attiva ai fini IRPEG” appare contrastare con l'assunto secondo cui il contribuente non può pretendere di rimettere in discussione la propria scelta “neppure indirettamente e per interferenza con l'imposta sostitutiva già versata”. Quest'ultima, in realtà, risultando estranea al contenzioso potenziale che la parte contribuente ha inteso prevenire proponendo il condono contro il processo verbale di constatazione, non dovrebbe soffrire di preclusioni per il rimborso di somme ove ne fosse dimostrata la indebita, anche se parziale, corresponsione.

La Corte recupera la linearità logica del proprio convincimento allorquando evidenzia che non è fondata la premessa stessa dalla quale la ricorrente muove ai fini della dimostrazione del proprio diritto al rimborso e cioè che -nella peculiare fattispecie dedotta in controversia- si sia verificata un'ipotesi di doppia imposizione, la quale ultima presuppone indefettibilmente l'esistenza di un unico presupposto di imposta, attese le distinte manifestazioni di ricchezza che sono state tenute in considerazione ai fini delle diverse imposte versate e cioè sopravvenienza attiva (poi assoggettata al condono) derivante dalla riduzione del corrispettivo di acquisto della partecipazione e la plusvalenza generata dalla cessione della partecipazione e sottoposta all'imposta sostitutiva.

Conseguenza di ciò sarebbe -però, secondo la Corte- che anche con riferimento all'imposizione (sostitutiva) del presupposto di imposta integrato dalla plusvalenza generatasi dalla successiva cessione della partecipazione non potrebbe farsi luogo a ripetizione dell'asserito indebito, proprio perchè anche la adesione elettiva al regime sostitutivo di imposizione della ridetta plusvalenza (per sua natura di genere eccezionale rispetto al regime ordinario, non meno di quanto lo sia il condono rispetto al regime ordinario di adempimento delle imposte non versate) “integra una scelta che non può essere rimessa in discussione ex post attraverso l'istanza di rimborso”.

Osservazioni

Senonchè il paragone che la Corte propone tra somme pagate a titolo di condono e somme pagate a titolo di imposta sostitutiva sulla plusvalenza realizzata a mezzo di cessione di partecipazioni, nell'ottica dell'identico carattere predicabile per essi, siccome “regimi fiscali eccezionali”, finisce per apparire azzardato ai fini della soluzione della controversia qui in esame. Ed infatti, un conto è la pacifica irretrattabilità della scelta di adesione al condono così come della scelta di adesione al regime dell'imposta sostitutiva di quella ordinaria -nessuna delle quali può essere ridiscussa per un ripensamento successivo alla presentazione della dichiarazione di adesione- ed un conto è, invece, che la scelta di adesione al regime sostitutivo implichi inevitabilmente anche la non rimborsabilità dell'eventuale maggior versamento indebitamente effettuato alla stessa stregua di come non è rimborsabile ciò che è versato a titolo di condono.

Benvero, la cessione di partecipazioni societarie da luogo ad imposizione (ai fini delle imposte dirette, anche sub specie di regime sostitutivo) in quanto determini plusvalenza, intesa come differenza positiva tra il corrispettivo conseguito dalla vendita, al netto di eventuali oneri accessori ed il costo di acquisto fiscalmente riconosciuto della partecipazione, tanto che il comma 3 dell'art. 1 del D.Lgs. n. 358/1997 rinviava per la determinazione della base imponibile dell'imposta sostitutiva a “le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”.

Non diversamente da qualsiasi altra imposizione, dunque, anche l'imposta sostitutiva qui in discorso implica - vuoi ai fini dell'an vuoi ai fini del quantum dell'imposizione - che sia accertata l'esistenza di una capacità contributiva intesa come “variazione, nel periodo considerato, della capacità di disporre di risorse” (comprehensive income).

E, se si registra comunanza dell'indice di attitudine alla contribuzione (id est: il possesso di reddito) non può essere pregiudicato, nell'ottica del principio di eguaglianza tributaria, l'utilizzo di strumenti di riequilibrio come quello del rimborso di somme indebite, a nessuno sfuggendo che la capacità contributiva, oltre ad essere presupposto e limite, è anche parametro del concorso alle spese pubbliche.

Le somme pagate a titolo di condono - invece - trovano causa esclusivamente ne “la pregressa proposizione di atto potenzialmente idoneo ad instaurare od a mantenere aperto il dibattito giudiziale sull'accertamento di valore, a prescindere da ogni indagine sull'ammissibilità od il fondamento della relativa domanda” (così Cass. Civ. sez. I, 9 aprile 1996, n. 3273, agli albori dell'indirizzo giurisprudenziale già in precedenza menzionato) e perciò in un patto di tipo sostanzialmente transattivo, che prescinde da qualsivoglia previa dimostrazione di capacità contributiva e si sottrae a comparazioni di genere egualitario.

In questa prospettiva, perciò, mentre si giustifica che sia aprioristicamente precluso il rimborso di pagamenti che siano stati effettuati, in conformità del titolo, prima della presentazione dell'istanza di definizione agevolata (anche nell'ipotesi in cui il contribuente intenda fornire la dimostrazione della stessa inesistenza del presupposto d'imposta, in termini Cass. Civ., SS.UU., 5 giugno 2008, n. 14828), non parimenti può dirsi a riguardo dei pagamenti effettuati a titolo di imposta sostitutiva, per quanto essa abbia caratteristica di un regime fiscale elettivo di genere eccezionale.

Di ciò è riprova la circostanza che l'art. 2 comma 3 del D.Lgs. n. 358/1997 preveda espressamente che: ”Per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, le sanzioni, i rimborsi ed il contenzioso in materia di imposta sostitutiva si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi”.

Non resta che concludere nel senso che la peculiarità della vicenda sottoposta all'attenzione della Corte, anche per effetto della sua occasionale connessione con la procedura di condono, può avere determinato qualche forzatura di applicazione dei principi e della disciplina normativa che sarebbe stata probabilmente evitata ove il percorso processuale fosse stato più lineare ed ove la soluzione della controversia non fosse stata accelerata dall'ansia di dare priorità al principio della ragionevole durata del processo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.