La nuova compagna del padre non può pubblicare le foto dei minori senza il consenso della madreFonte: Trib. Rieti , 7 marzo 2019
08 Agosto 2019
Massima
La pubblicazione delle immagini ritraenti i minori, in assenza del consenso espresso da entrambi i genitori esercenti la responsabilità genitoriale è illecita, ai sensi degli art. 10 c.c., dell'art. 8 Reg.Ue n. 679/2016, art. 2 quinquies d.lgs. n. 101/2018 nonché della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dall'Italia con l. 176/1991; deve dunque essere ordinata alla compagna del padre, anche in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., l'immediata rimozione delle immagini ritraenti i di lui figli minori dai social network alla stessa riferibili, con contestuale condanna ex art. 614-bis c.p.c. al pagamento a favore dei minori di un importo di € 50,00 per ogni giorno di ritardo nella rimozione o per ogni successiva pubblicazione non espressamente autorizzata. Il caso
Tizia, madre di due figli avuti dal matrimonio con Caio, ha adito, exart. 700 c.p.c. il Tribunale di Rieti affinché fosse ordinata a Sempronia, compagna di Caio, la rimozione dai propri social networks e comunque la diffusione in generale delle immagini che ritraevano i propri figli. A tal fine, Tizia ha allegato e provato che Sempronia era solita pubblicare sul proprio profilo Facebook e su altri social network le foto dei suoi figli, corredate da alcuni commenti; che dopo una prima diffida, Sempronia aveva smesso di pubblicare altre immagini, ma che il comportamento lesivo era ripreso in un secondo momento, tanto che in sede di divorzio congiunto lei e Caio avevano stabilito che la pubblicazione dell'immagine dei figli sarebbe stata consentita solo ai genitori o ai terzi da entrambi espressamente autorizzati; che, ciò nonostante, dopo il divorzio, Sempronia riprendeva a pubblicare l'immagine dei minori sia su Facebook sia su Instagram. Costituitasi in giudizio, Sempronia non ha contestato specificatamente gli addebiti, limitandosi a chiedere lo stralcio della documentazione fotografica allegata a una memoria autorizzata (ma non contestando la riferibilità ad essa degli screenshot allegati) e a contestare l'esistenza del periculum in mora, in considerazione dell'ampio lasso di tempo decorrente tra la prima pubblicazione (presumibilmente fine 2017) e il deposito del ricorso (dicembre 2018). La questione
Il Tribunale affronta due questioni di rilievo: quali sono le condizioni per la lecita pubblicazione sui sociali network delle immagini ritraenti persone minori di età e se un eventuale ordine di rimozione emesso in via d'urgenza possa essere accompagnato da un provvedimento ex art. 614 bis c.p.c. Le soluzioni giuridiche
In primo luogo la decisione ha respinto l'eccezione della resistente, in merito all'assenza del periculum in mora, osservando che Sempronia «in seguito al divorzio… riprendeva a pubblicare foto dei bambini, senza neanche coprirne il viso” e che non aveva “provveduto a contestare le immagini depositate in atti sopra indicate (ovvero la relativa contestualizzazione temporale) e richiamate nella narrazione dei fatti… limitandosi a richiedere lo stralcio della documentazione prodotta in sede di note autorizzate». In altre parole, secondo il Tribunale, la “seconda tornata” di fotografie, avvenute a ridosso della presentazione del ricorso e non contestata nei suoi elementi fattuali, era sufficiente a integrare quel pericolo nel ritardo che, unitamente al vaglio della sussistenza del fumus boni iuris, legittima la concessione della misura cautelare. Passando all'esame nel merito, la decisione impugnata, ribadendo un principio espresso in altre decisioni, precisa che, nel nostro ordinamento l'utilizzo dell'immagine di un soggetto minore di età (così come la diffusione di dati personali) è sempre subordinata al consenso dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale. Il Tribunale, infatti, ha precisato che «la tutela della vita privata e dell'immagine dei minori ha trovato tradizionalmente cittadinanza, nel nostro ordinamento, nell'art. 10 c.c.; nel combinato disposto degli artt. 4,7,8 e 145 del d. lgs. n. 196/2003 (riguardanti la tutela della riservatezza dei dati personali) nonché negli artt. 1 e 16, comma 1 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989» nonché «con l'evoluzione dei sistemi di diffusione delle immagini legate allo sviluppo del web» nel «Considerando n. 38 del regolamento UE n. 679/2016 del 27.04.2016 ….nell' art. 8 del citato regolamento» e infine «nel decreto di adeguamento del Codice Privacy (art. 2-quinquies, d.lgs. 101/2018) che «ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni, espressamente prevedendo che, con riguardo ai servizi della società dell'informazione, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale». Il Giudice laziale ha altresì ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta di condanna ex art. 614-bis c.p.c. formulata dalla ricorrente giacché «funzionale a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente e di qui ad evitare la produzione del danno, ovvero a ridurre l'entità del possibile pregiudizio…»; in altre parole «nella presente vicenda, l'applicazione dell'astreinte è pienamente giustificata dall'esigenza di tutelare l'integrità dei minori e l'interesse ad evitare la diffusione delle proprie immagini a mezzo web nonché, in quanto collegato a questo, dell'interesse dei genitori a cui spetta di pretendere il rispetto degli obblighi sanciti». Sulla scorta di queste premesse, il Tribunale, con provvedimento d'urgenza ha ordinato la rimozione delle immagini già pubblicate, inibito la resistente dall'ulteriore diffusione «in social networks e nei mass media, delle immagini, delle informazioni e di ogni dato relativo ai minori, in assenza del consenso di entrambi i genitori»e fissato in «€ 50,00 la somma dovuta per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordine di rimozione e per ogni successiva violazione dell'inibitoria». Osservazioni
La sentenza del Tribunale di Rieti è la naturale evoluzioni di due precedenti decisioni. Con la prima era stata stato inibito a una madre, all'interno di un giudizio di separazione, l'ulteriore diffusione delle immagini dei figli senza il consenso dell'altro genitore (Trib. Mantova, 19 settembre 2017) e dunque anche ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c.; con la seconda, oltre all'inibitoria de futuro, era stata ordinata anche la rimozione delle immagini in precedenza pubblicate, nonché, ex officio, la condanna ex art 614-bis c.p.c. per ogni inadempimento sia all'obbligo di rimozione sia all'inibitoria (Trib. Roma 23 dicembre 2017, con commento di Cesaro G.O. Genitore pubblica sui social network foto e notizie del figlio minore: interviene d'ufficio il Giudice). La decisione in commento è interessante sia sotto il profilo processuale sia sotto il profilo sostanziale. Sotto il profilo processuale perché è la prima che affronta, in maniera condivisibile, lo strumento utilizzabile a tutela dei diritti dei minori, allorquando il fatto asseritamente lesivo sia commesso non da uno dei due genitori (in questo caso lo strumento è il ricorso ex art. 709-ter c.p.c.) ma da un terzo e lo individua, in assenza di altre possibilità, nel ricorso ex art. 700 c.p.c. all'interno del quale può essere formulata anche una domanda ex art. 614-bis c.p.c. Sotto il profilo sostanziale perché è la prima decisione edita successivamente all'entrata in vigore del c.d. Gdpr (Reg.Ue 679/2016) e della legge di adeguamento (d.lgs. 101/2018) che hanno entrambe cristallizzato il principio per cui il trattamento dei dati personali del soggetto minorenne (rectius, per l'Italia, infraquattordicenne) è sempre subordinato al consenso di «chi esercita la responsabilità genitoriale». Anche se non lo richiama espressamente, poi, il provvedimento presuppone un altro principio rilevante: l'autorizzazione al trattamento dei dati personali e la diffusione dell'immagine del soggetto minore di età non rientrano nelle decisioni di ordinaria amministrazione -per cui è sufficiente il consenso di un solo genitore- ma in quelle maggiormente rilevanti per cui è, invece, necessario il consenso di entrambi, sia in caso di affidamento condiviso sia in caso di affidamento esclusivo ordinario (non invece per le ipotesi di affidamento superesclusivo). Si tratta di un principio peraltro desumibile dalla normativa sovranazionale e, in particolare, dall'art. 1 Reg. n. 679/2016 che definisce il diritto alla protezione dei dati personali come diritto e libertà fondamentale, in armonia con l'art. 8 par. 1 della Carte dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e con l'art. 16, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea.
(FONTE: ilfamiliarista.it) |