Tributi doganali: ne risponde solidalmente lo spedizioniere, quale rappresentante indiretto
03 Settembre 2019
Massima
Lo spedizioniere doganale, ai sensi degli artt. 201 e 202 del Regolamento (CEE) n. 2913/1992 (codice doganale comunitario) e dell'art. 12 del D.Lgs n. 374/1990, risponde - solidalmente col soggetto proprietario per conto del quale presenta le merci - di tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all'operazione commerciale, con gli interessi relativi, essendo tale figura di rappresentante indiretto in grado di valutare, anche per la sua preparazione professionale, la veridicità dei documenti trasmessigli e, dunque, essendo consapevole dell'irregolarità dell'introduzione delle merci nel territorio della Comunità. Il caso
Una società, quale spedizioniere doganale in regime di rappresentanza indiretta, impugnava alcuni avvisi di accertamento e rettifica emessi dall'Ufficio delle dogane relativi a dazi, IVA e sanzioni. Alla contribuente si contestava, quale coobbligata solidale, di aver importato merce priva - nel valore doganale di transazione - del corrispettivo dei diritti di proprietà intellettuale. Dopo il rigetto dei ricorsi in primo grado, l'adita Comm. trib. reg., in accoglimento dell'appello della parte privata, escludeva la responsabilità dello spedizioniere doganale in quanto non proprietario della merce, assumendo che gravasse solo sulla società importatrice l'obbligo del versamento dell'IVA ai sensi della Direttiva n. 112/2006/CE. In particolare, secondo i giudici di seconde cure, lo spedizioniere risponde - ove sia rappresentante diretto - unicamente per quanto riguarda la corrispondenza tra la situazione oggettiva della merce e la dichiarazione doganale, la cui genuinità, peraltro, non rientra nell'«obbligo di verità» richiesto dalla disciplina doganale. Quanto al merito delle contestazioni, poi, per la Comm. reg. i diritti di licenza non erano da ricomprendere nel valore di transazione della merce, in quanto attinenti a servizi resi dalla casa-madre, tra cui il diritto all'utilizzo del marchio. Proponeva infine ricorso per cassazione l'Agenzia delle dogane, per avere la gravata sentenza - per quel che qui rileva - illegittimamente escluso la responsabilità dello spedizioniere nonostante fosse «dichiarante» in dogana, risultando ex actis la qualifica formale di rappresentante indiretto della società importatrice, la cui responsabilità si cumula a quella dell'importatore (come già affermato da Cass. civ., sez. trib., 23 aprile 2010, n. 9774). Deduceva in ogni caso l'Ufficio la responsabilità dello spedizioniere a titolo di colpa, quale autore materiale della presentazione della merce in dogana, non avendo dimostrato di avere operato con la richiesta diligenza professionale. La Suprema Corte, Sezione Tributaria, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata rassegnando il principio di diritto di cui alla massima.
La questione
La decisione in commento affronta la tematica dell'imputazione dell'obbligazione doganale (anche) allo spedizioniere doganale che agisca in regime di rappresentanza indiretta, cioè in nome proprio, senza spendere il nome del soggetto che gli ha conferito il mandato ad importare le merci (art. 5 del Reg. CEE n. 2913/1992). L'art. 201, paragrafo 3, del Regolamento (CEE) n. 2913/1992 (precedente codice doganale comunitario, applicabile ratione temporis), individua come debitore dei diritti doganali, in via principale, il «dichiarante» ed, in caso di rappresentanza indiretta, anche la persona - id est: l'importatore - per conto della quale la dichiarazione in dogana è presentata.
Ai sensi, poi, del successivo art. 202 del Regolamento (CEE) n. 2913/1992 - ed ora, in senso identico, dell'art. 46 del codice doganale aggiornato - nel caso di «irregolare introduzione» di merci nel territorio doganale della Comunità, la soggettività passiva è estesa sia alle persone che abbiano effettuato tale introduzione, sia a quelle che vi abbiano partecipato, sapendo o dovendo sapere, «secondo ragione», che detta introduzione era irregolare. Al riguardo per la Corte di Giustizia UE (sentenza 3 marzo 2005,causa C-195/03) si ha introduzione irregolare ogni qual volta il procedimento di sdoganamento non sia conforme alle prescrizioni del codice doganale e della legislazione nazionale.
Se invece lo spedizioniere agisce in rappresentanza diretta, non rientra nel novero dei soggetti passivi obbligati alla corresponsione dei diritti doganali: effettuando la dichiarazione doganale in nome altrui egli non può, infatti, essere considerato «dichiarante» ai sensi dell'art. 4, punto 18, del codice doganale. Le soluzioni giuridiche
Alla luce del tratteggiato quadro normativo, la pronuncia in commento fonda su più argomenti convergenti la ravvisata responsabilità (solidale) dello spedizioniere doganale rispetto a tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all'operazione commerciale, ivi compresi gli interessi relativi. Anzitutto si basa sul regime di rappresentanza indiretta, avendo compiuto lo spedizioniere in prima persona (e non in nome altrui) le operazioni doganali, sebbene per conto di un soggetto terzo. Pertanto, è la mera dichiarazione doganale resa dal rappresentante indiretto, in qualità di dichiarante, che regge la sua responsabilità a' termini dell'art. 201, commi 2 e 3, del Regolamento (CEE) n. 2913/1992 (Cass., sez. trib., 26 febbraio 2019, n. 5560; Cass. civ., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7720).
La Corte richiama poi il disposto dell'art. 12 del D.Lgs. n. 374/1990, il quale a sua volta prevede la responsabilità solidale con il proprietario dello spedizioniere doganale che benefici della procedura semplificata (domiciliata) di sdoganamento.
In terzo luogo, poiché lo spedizioniere doganale possiede una peculiare competenza professionale, per i Supremi giudici egli è in grado:
Di qui il ribadito obbligo di vigilanza gravante sul rappresentante indiretto - con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176, comma 2, c.c., alla natura dell'attività professionale esercitata - sull'esattezza delle informazioni fornite dall'esportatore allo Stato di esportazione, al fine di evitare abusi, posto che l'Unione Europea non è tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini, rientranti nel rischio dell'attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell'ambito dei loro rapporti negoziali (Cass. civ., sez. trib., 8 febbraio 2019, n.3739).
Nel caso invece di spedizioniere doganale che agisce come rappresentante diretto, grava sull'Ufficio l'onere della prova dell'autonoma condotta attiva di partecipazione dello spedizioniere all'introduzione irregolare della merce in dogana, con la consapevolezza o la ragionevole conoscibilità di tale irregolarità (ancora Cass. civ., sez. trib., 8 maggio 2019, n. 12141).
Osservazioni
La sentenza annotata si inscrive nel quadro della consolidata giurisprudenza tributaria in materia di responsabilità solidale dello spedizioniere doganale per il pagamento dei dazi. Peraltro, anche in dottrina è pacifico che, qualora lo spedizioniere agisca in rappresentanza indiretta, assume la qualità di dichiarante e risponde dell'adempimento dell'obbligazione doganale (v. Cerioni, Spedizionieri doganali, obbligazione tributaria e responsabilità per il pagamento dell'IVA in caso di falsità della dichiarazione d'intento presentata in dogana, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 2006, n. 4, pag. 342; Id., Rappresentanza in dogana, procedure domiciliate e CAD, in L'IVA, 2006, n. 4, pag. 21).
L'odierno dictum si inquadra, inoltre, in quel più ampio indirizzo di legittimità che fa sorgere l'obbligazione doganale in conseguenza del mero fatto oggettivo della dichiarazione in dogana, in forza dell'art. 202, comma 3, del codice doganale comunitario di cui al regolamento (CEE) n. 2913/1992, sicché soggetto passivo è, oltre all'importatore e al suo rappresentante indiretto, qualsiasi soggetto che abbia partecipato alle formalità doganali «sapendo, o dovendo ragionevolmente sapere, che l'introduzione della merce era irregolare» (Cass. civ., sez. trib., 14 febbraio 2019, n. 4389; nel senso che l'inconsapevolezza dell'irregolare introduzione della merce non basta per integrare il requisito della buona fede, v. Cass. civ., sez. trib., 17 maggio 2019, n. 13383). Analoga regola di (cor)responsabilità è inoltre traibile dal disposto di cui all'art. 38 del d.P.R. n. 43/1973 che vincola all'obbligazione doganale tutti coloro comunque ingeritisi, sia pure in via meramente fattuale, nell'operazione di importazione (Cass. civ., sez. trib., 8 maggio 2019, n.12141; Cass. civ., sez. trib., 3 febbraio 2012, n. 1574).
In definitiva, la sentenza annotata conferma la discrasia esistente - per il medesimo caso di rappresentanza indiretta - tra la disciplina daziaria e quella in materia di IVA all'importazione in regime di sospensione d'imposta: in quest'ultimo caso, infatti, qualora risulti la falsità della dichiarazione d'intenti (o l'ipotesi di c.d. “splafonamento”), lo spedizioniere doganale non è chiamato a risponderne in via sussidiaria, non essendo tenuto a verificarne la veridicità né la consistenza del plafond dell'importatore per conto del quale opera (Cass. civ., sez. trib., 12 luglio 2005, n. 14678). In altre parole, ai fini IVA lo spedizioniere assolve al proprio obbligo di garanzia verso l'erario semplicemente facendosi consegnare la dichiarazione d'intento dall'importatore, limitandosi ad un controllo cartolare riguardante solo la corrispondenza tra la dichiarazione che egli fa alla dogana e la situazione oggettiva della merce risultante dalla documentazione fornita dall'imprenditore, mentre non si estende alla verifica dell'esistenza di un plafond disponibile, che presupporrebbe un'ispezione della contabilità della ditta importatrice (Cass. civ., sez., trib., 20 febbraio 2006, n. 3623).
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