Riqualificazione energetica: la detrazione spetta anche alle imprese societarie, e non solo in relazione ai beni strumentali
05 Settembre 2019
Massima
Il beneficio fiscale, consistente in una detrazione dall'imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente, di cui all'artt. 1, commi 344 e seguenti, della Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) e al decreto del ministero dell'economia e delle finanze del 19 febbraio 2007, per le spese documentate relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta anche ai soggetti titolari di reddito d'impresa (incluse le società), i quali abbiano sostenuto le spese per l'esecuzione degli interventi di risparmio energetico su edifici concessi in locazione a terzi. Il caso
Una società a responsabilità limitata, avente ad oggetto la sola gestione immobiliare, ha impugnato innanzi alla Commissione tributaria di primo grado la cartella di pagamento con cui è stata recuperata a tassazione maggiore IRES, per l'anno d'imposta 2009, per effetto del disconoscimento del beneficio della detrazione del 55% per spese relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici, previsto dall'art. 1, commi 344 e seguenti, della legge n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007). Avendo la ricorrente ottenuto ragione sia in primo che in secondo grado, l'Agenzia delle Entrate ha ricorso per cassazione contro la sentenza di appello, nella quale era stato messo in risalto: -che l'art. 1, commi 344 e seguenti, istitutivo dell'agevolazione, non prevede che la detrazione spetti solo a chi attua l'intervento di riqualificazione energetica sull'immobile, utilizzandolo direttamente; -che l'art. 2, comma 1, lett. b), del d.m. 19/07/2007 (di attuazione della misura normativa) specifica, testualmente, che la detrazione spetta "ai soggetti titolari di reddito d'impresa che sostengono le spese per la esecuzione degli interventi…."; -ed infine che il secondo comma dello stesso articolo, in deroga a tale principio, dispone che, nel caso in cui gli interventi siano eseguiti mediante contratti di locazione finanziaria, la detrazione compete all'utilizzatore ed è determinata in base al costo sostenuto dalla società concedente. Alla luce di tale disciplina primaria e di attuazione, la Commissione di appello aveva ritenuto che alla contribuente società andasse riconosciuta la detrazione, siccome risultava in giudizio che essa aveva provveduto ad effettuare gli interventi di riqualificazione energetica sull'edificio, sebbene concesso a terzi a titolo di locazione e non a titolo di leasing. Le questioni
La questione prospettata dalla parte ricorrente, in punto di violazione del combinato disposto dell'art. 1, commi 344 e seguenti, della Legge n. 296/2006 e del correlato decreto ministeriale attuativo 19/02/2007, muove dalla pacifica premessa che gli immobili in relazione ai quali è stata chiesta l'agevolazione non fossero "beni strumentali", direttamente fruiti, ma edifici locati a terzi dalla contribuente, quale società di gestione immobiliare, e perciò beni oggetto dell'attività di impresa (“beni merce”). Siccome la finalità che la legge persegue è la promozione del miglioramento delle prestazioni energetiche attraverso l'attribuzione di un beneficio riferibile esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto dell'intervento, la ricorrente ha prospettato che la fruizione della detrazione da parte dei titolari di redditi d'impresa (incluse le società) spetta solo con riferimento ai fabbricati strumentali all'esercizio dell'attività imprenditoriale, anche perché -ove si riconoscesse la detrazione del 55% anche alle società immobiliari di locazione- ne deriverebbe a favore di queste un'ingiustificata duplicazione di deduzioni, giacchè nel caso di società la determinazione del reddito di impresa, effettuata sulla base delle disposizioni del TUIR, è la risultante di una somma algebrica tra componenti positivi e componenti negativi anche in relazione agli immobili che compongono l'azienda come “beni merce”, e perciò la società determina il risultato reddituale finale già tenendo conto anche dei costi riguardanti detti cespiti. Le soluzioni giuridiche
Nell'affrontare la questione giuridica sottopostale, la Suprema Corte muove dalla considerazione che -atteso il quadro normativo di riferimento- la detrazione d'imposta di cui si tratta (finalizzata alla riqualificazione energetica degli edifici già esistenti) si rivolge ad un'ampia platea di beneficiari siano essi "persone fisiche" -"non titolari di reddito d'impresa" o "titolari di reddito di impresa"- ovvero le società, con la precisazione che, se gli immobili sui quali è effettuato l'intervento sono stati concessi a terzi a titolo di leasing, la detrazione è comunque dovuta, ma compete all'utilizzatore anziché alla società concedente. E d'altronde, una riduzione del vasto perimetro soggettivo di applicazione del beneficio colliderebbe con il suo carattere di "detrazione dall'imposta", che è estraneo al diverso tema della quantificazione del "reddito imponibile" su cui si imperniano gli argomenti della parte ricorrente, e sarebbe anche incompatibile con l'interpretazione letterale delle norme che introducono l'agevolazione fiscale senza prevedere alcuna limitazione soggettiva, ed anzi ribadendo (nella riferita eccezione del comma 2 dell'art.2 del D.M. 19.7.2007, ove si stabilisce che, trattandosi di locazione finanziaria, il beneficio non compete alla società concedente, ma all'utilizzatore) che la detrazione spetta nella generalità dei casi, a conferma della validità dell'interpretazione testuale del dato normativo. Quanto all'eventuale delimitazione oggettiva del perimetro applicativo della detrazione, la Suprema Corte ha ritenuto che anche ragionando secondo un'ottica (estranea alla ratio legis del bonus fiscale) di quantificazione del reddito imponibile delle imprese, occorrerebbe muovere dalla considerazione che la distinzione, formulata nelle circolari interpretative, tra "immobili strumentali" (destinati, ex art. 43, comma 2, TUIR, alla produzione propria o di terzi), "immobili-merce" (destinati al mercato di compravendita) e "immobili-patrimonio" (destinati al mercato locativo, ai sensi degli artt. 37, 90, TUIR), non rileva ex se, ma incide solo sul piano contabile e fiscale.
E perciò, il richiamo testuale agli "importi rimasti a carico" (contenuto nel citato comma 344 della Legge Finanziaria 2007), potrebbe essere letto come un indice rivelatore del fatto che la detrazione d'imposta spetta nella misura in cui il costo "a monte" non sia altrimenti deducibile, come è appunto previsto nell'art. 90, comma 2, TUIR, a mente del quale (siccome disposizione speciale e derogatoria rispetto al principio generale dell'inerenza dei componenti negativi del reddito) è sancito un divieto assoluto di deducibilità per tutti i componenti negativi relativi agli "immobili-patrimonio", ciò che accade perché, riguardo specificamente ai fabbricati concessi in locazione (non costituenti "beni strumentali" o "beni-merce"), il reddito è determinato, ponendo a confronto il canone di locazione, ridotto fino a un massimo del 15% dello stesso, e le spese di manutenzione ordinaria, documentate ed effettivamente rimaste a carico (vale a dire non recuperate dagli inquilini). In siffatta concreta ipotesi, in ragione dell'indeducibilità delle spese di miglioramento energetico, benché inerenti e migliorative, il bonus fiscale del 55% spetta alla società contribuente, esattamente come spetterebbe ad una persona fisica, non titolare di redditi d'impresa, che nulla può dedurre dalla base imponibile. Poste queste premesse, la Corte Suprema si sofferma a puntualizzare il differente ambito di materie in relazione al quale avrebbe pronunciato la stessa Suprema Corte in una precedente occasione (il richiamo esplicito è a Cass. Civ., 17/06/2015, n. 12466, ma vi è pronuncia di identico tenore anche in Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 25568 del 18/12/2015), riguardante la fattispecie agevolativa di cui all'art. 1, della legge n. 449/1997, in materia di disposizioni tributarie concernenti interventi di recupero del patrimonio edilizio, occasione nella quale si era concluso che l'agevolazione spetta nella “sola ipotesi di determinazione del reddito immobiliare secondo il criterio del reddito fondiario, atteso che, in questa ipotesi, i costi sostenuti [in particolare, per gli interventi di ristrutturazione] non concorrono come componenti negativi ma costituiscono un onere per alleviare il quale il legislatore ha introdotto tale beneficio”. Essendosi detta ultima pronuncia occupata del tema della "deduzione" di costi -al fine di quantificare la base imponibile delle imprese- e non della materia della "detrazione" dall'imposta -e peraltro in relazione ad una norma espressamente volta ad incentivare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, con riferimento solo "all'imposta sul reddito delle persone fisiche" mentre nella specie qui in esame il beneficio fiscale non riguarda la più limitata categoria dei soggetti IRPEF- la pronuncia stessa non potrebbe considerarsi un precedente con cui confrontarsi, sicchè la Corte ha ritenuto di poter concludere nel senso che la detrazione per le spese di riqualificazione energetica è prevista “a beneficio di tutte le categorie immobiliari e di tutti i soggetti che ne hanno la proprietà, inclusi i titolari di reddito d'impresa (e le società), a condizione che questi ultimi abbiano sostenuto spese per il potenziamento dei loro cespiti (ed a prescindere dalla categoria reddituale di riferimento), in coerenza con la finalità pubblicistica di un generalizzato miglioramento energetico del patrimonio immobiliare nazionale, che rimarrebbe parzialmente (con riferimento ai beni posseduti dalle società di gestione immobiliare) indebolita a causa dell'interpretazione restrittiva proposta dall'Agenzia”. Osservazioni
La sostanziosa portata innovativa che la pronuncia qui in esame comporta, rispetto alla prassi applicativa dell'Agenzia delle Entrate (ribadita nelle successive occasioni della Risoluzione n. 303/E del 2008; della Risoluzione n. 340/E del 2008 e della recentissima risposta ad interpello n. 313 del 24.7.2019), ci induce ad un esame quanto mai attento della tematica che ne è oggetto, anzitutto per sottolineare che la divergenza di interpretazione ed applicazione normativa che appare contrapporre il pensiero del Giudice di Legittimità a quello dell'Agenzia non si incentra sulla questione del perimetro di applicazione soggettiva del beneficio, bensì esclusivamente sulla questione del perimetro oggettivo. Anche per l'Agenzia è infatti pacifico che -diversamente dall'agevolazione relativa alle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio- nella tematica qui in esame non si riscontrano limitazioni di genere soggettivo, non avendo la legge istitutiva introdotto distinzioni di sorta tra persone fisiche e persone giuridiche, neppure con riferimento alla sottoposizione a tassazione per reddito di impresa.
Tuttavia, dal lungo periodare della Corte a riguardo della questione interpretativo-semantica, l'affermazione della regola del primato dell'interpretazione letterale rispetto a quella sistematica sembra essere riferita non solo all'identificazione del perimetro di applicazione soggettiva del beneficio (ciò che sarebbe esuberante, in assenza di un contrasto di valutazioni circa l'ampiezza di detto perimetro) ma anche all'identificazione del perimetro di applicazione oggettiva del beneficio stesso, sia pure espressamente riferito al novero delle diverse categorie catastali, metodologia interpretativa dalla quale la Corte stessa finisce per ricavare la chiara ed univoca portata precettiva della norma, siccome caratterizzata dalla “ratio legis” di “incentivare gli interventi di miglioramento energetico dell'intero patrimonio immobiliare nazionale, in funzione della tutela dell'interesse pubblico ad un generalizzato risparmio energetico”.
È ben vero che in altro luogo della decisione la Corte sembra prescindere da un siffatto esito “generalizzante” dell'interpretazione testuale e sembra voler riconoscere alla parte contribuente il beneficio in parola in ragione di tutt'altre considerazioni particolari (e cioè per avere accertato, ma senza spiegare come, che nel caso concreto nessuna delle spese di miglioramento energetico la contribuente aveva potuto “dedurre dalla base imponibile”) ma una siffatta intima contraddizione nel tessuto argomentativo della Corte si risolve - poi - a favore dell'argomento relativo alla priorità del canone interpretativo letterale nella parte conclusiva della motivazione della decisione, nel luogo in cui la Corte torna a ribadire che l'unica condizione per la fruizione del beneficio da parte di titolari di reddito di impresa è l'effettivo sostenimento della spesa, indipendentemente da qualsivoglia valutazione concreta a riguardo dell'avvenuta deduzione della stessa nella prospettiva della determinazione del reddito imponibile.
Quest'ultimo esito interpretativo - che sarebbe coerente con l'assunto della “generalizzata operatività della detrazione d'imposta” - ci sembra invece eloquentemente contraddetto dalla stessa formulazione letterale del comma 344 richiamato (nel testo vigente nell'anno 2009) ove si legge: ”Per le spese documentate spetta una detrazione dall'imposta lorda degli importi rimasti a carico del contribuente”, formula che appare in tutto analoga a quella contenuta nel co.1 dell'art. 1 della Legge n. 449/1997: ”Ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, si detrae dall'imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, una quota delle spese sostenute sino ad un importo massimo delle stesse di lire 150 milioni ed effettivamente rimaste a carico, per la realizzazione degli interventi…”. Le locuzioni “detrazione dall'imposta lorda” e “rimaste a carico” caratterizzano in termini omogenei il tessuto dispositivo delle due discipline normative, apparentandole per meccanismo agevolativo e per ambito oggettivo di applicazione, in termini tali che può ben dirsi che il mero dato letterale “sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro e univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva”, ma tuttavia in termini abbastanza divergenti da quelli a cui è pervenuta la Suprema Corte nella pronuncia che si annota. In primo luogo, con riferimento al meccanismo agevolativo, apparendo che la ridetta formula sia sufficiente a escludere che il legislatore abbia inteso riferirsi (in entrambi i casi) “al tema della ‘deduzione' di costi” – degli oneri, cioè, agiscono sul reddito complessivamente prodotto dal contribuente per determinare il reddito imponibile sul quale applicare le imposte- “e non della materia….della ‘detrazione' dall'imposta”. Perciò detta formula consente anche di escludere che Cass. 12466/2015 si sia occupata di un caso di “deduzione” e sia da considerarsi precedente “non in termini”.
In secondo luogo, con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione, dovendosi escludere che la locuzione “rimasti a carico del contribuente” costituisca mero sinonimo di “non traslati a carico del conduttore”, significato per raggiungere il quale il legislatore non avrebbe certo mancato di esprimersi in termini più appropriati. A siffatta formula, per contro, non può non attribuirsi il significato suo proprio di spese di cui non si sia già tenuto conto ai fini della determinazione del reddito effettivamente prodotto dal contribuente, sicchè esso non sia il risultato di una somma algebrica tra i ricavi e le ridette spese, le quali ultime siano perciò (in termini di imponibile fiscale) “oneri effettivi” per il titolare del reddito. Una volta fissate queste premesse, per attribuire alla disposizione del citato comma 344 un senso coerente con il sistema complessivo nel quale la disposizione stessa si inserisce, non vi è certo bisogno della adozione di “una norma speciale per le imprese (incluse le società) la cui attività consista nella locazione immobiliare dei beni”, atteso che il medesimo comma 344 deve correlarsi ed integrarsi con la generale disciplina dei proventi immobiliari di cui all'art. 90 del TUIR (applicabile anche ai redditi societari) il quale -anche nel 2009, anno a cui si riferisce la specie di causa- prevedeva come di seguito: ”I redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, nè beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, concorrono a formare il reddito nell'ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell'articolo 70 per quelli situati all'estero”. A questa stregua, nella sola ipotesi dei “beni patrimoniali”, la determinazione del reddito avviene (per gli immobili situati nel territorio dello Stato) secondo i criteri catastali, in base alle disposizioni del capo 2^ del titolo 1^ del TUIR, e perciò con le modalità di determinazione dei redditi fondiari (redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati), in deroga a ciò che è previsto ordinariamente per i redditi di impresa: a fronte della determinazione agevolata del provento immobiliare in parola, resta ferma l'indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito (ivi incluse le quote di ammortamento) che è stabilita dall'articolo 90, comma 2, Tuir, per la categoria degli immobili patrimoniali.
In tal modo il ridetto art.90 del TUIR ha identificato l'unica categoria di spese per migliorie di beni immobili che, ai fini della determinazione del reddito di impresa (delle persone fisiche o giuridiche che siano), rimane effettivamente a carico del contribuente, mentre i proventi rinvenienti dalle altre categorie di beni immobiliari (“beni strumentali” e “beni merce”) si determinano comunque secondo la regola generale del reddito di impresa, e cioè per differenza tra ricavi e costi. Da qui la ragione per la quale gli interpreti del TUIR hanno identificato la tripartizione delle categorie di beni immobili, che quindi assume una pregnante rilevanza non soltanto sotto il profilo contabile ma anche sotto il profilo fiscale. Da qui anche la ragione per la quale (non solo ai fini della detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio, di cui risulta essersi occupata Cass. n. 12466 del 2015 ma anche) ai fini della detrazione delle spese per interventi energetici, il legislatore -con la sintetica formula “rimasti a carico del contribuente”- ha inteso significare che la detrazione compete per le sole ipotesi di determinazione del reddito immobiliare secondo il criterio del reddito fondiario, proprio perché in queste ipotesi i costi sostenuti non concorrono già, come componenti negativi, alla determinazione del reddito, ma costituiscono un onere effettivo per alleviare il quale il legislatore ha introdotto l'agevolazione di cui qui si discute. In diversa ipotesi, l'agevolazione si tradurrebbe in una duplicazione della deduzione e perciò in una indebita locupletazione, non essendo correlata ad un costo “effettivamente rimasto a carico”.
E dunque, se non è possibile condividere la tesi dell'Agenzia delle Entrate, secondo cui l'attribuzione del beneficio qui in parola è riferibile esclusivamente agli utilizzatori degli immobili oggetto dell'intervento, e perciò solo con riferimento alla categoria dei fabbricati strumentali all'esercizio dell'attività imprenditoriale, perché carente di una base normativa di appoggio, neppure è possibile condividere la tesi fatta propria dalla Suprema Corte i cui esatti contorni si apprezzano solo dalla lettura della motivazione, nel mentre il principio di diritto esteso dalla stessa Corte (e trasfuso nella massima ufficiale) non ne denota l'esatto pensiero, ivi trasparendo che la Corte si sia occupata del solo perimetro soggettivo di applicazione del beneficio, mentre invece è andata ben oltre. Indipendentemente dall'esito concreto della lite risolta con la sentenza qui in rassegna, a noi sembra che il principio di diritto enunciato dalla Corte possa essere condiviso alla sola condizione che il periodo finale della massima che ne è tratta sia completato nei termini che seguono: “i quali abbiano sostenuto le spese per l'esecuzione degli interventi di risparmio energetico su edifici concessi in locazione a terzi purchè non ne abbiano potuto già fare deduzione ai fini della determinazione del reddito imponibile”.
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