Operazioni inesistenti: discrimine di deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA

Ignazio Gennaro
09 Settembre 2019

La fatturazione per operazioni “soggettivamente” inesistenti presuppone che le operazioni siano state effettivamente effettuate, ma tra soggetti diversi da quelli risultanti dalla fattura. Ne consegue l'inammissibilità logico - giuridica di poter considerare “soggettivamente” inesistenti operazioni mai avvenute: quindi “oggettivamente” inesistenti. La distinzione tra le due fattispecie di operazioni inesistenti, “soggettivamente” o “oggettivamente”, rileva ai fini delle diverse conseguenze fiscali in materia di IVA e di Imposte dirette.
Massima

La fatturazione per operazioni “soggettivamente” inesistenti presuppone che le operazioni siano state effettivamente effettuate, ma tra soggetti diversi da quelli risultanti dalla fattura. Ne consegue l'inammissibilità logico - giuridica di poter considerare “soggettivamente” inesistenti operazioni mai avvenute: quindi “oggettivamente” inesistenti.

La distinzione tra le due fattispecie di operazioni inesistenti, “soggettivamente” o “oggettivamente”, rileva ai fini delle diverse conseguenze fiscali in materia di IVA e di Imposte dirette.

In tema di IVA, l'imposta per le operazioni inesistenti, sia “oggettivamente” che “soggettivamente”, non è detraibile salvo che in questo ultimo caso (“soggettivamente” inesistente) il destinatario fosse consapevole che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta.

In tema di Imposte sui redditi, invece, i costi delle operazioni “soggettivamente” inesistenti sono deducibili per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia stato consapevole della natura fraudolenta delle operazioni, a meno che i costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità, ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo

Il caso

L'Agenzia delle Entrate di Agrigento, nell'ano 2015, notificava ad un imprenditore individuale esercente l'attività di commerciante, un avviso di accertamento riferito all'anno di imposta 2008 con cui veniva richiesto il pagamento di pretese per imposte sui redditi, non deducibilià di costi documentati da fatture emesse per operazioni “inesistenti” e per non detraibilità della relativa IVA.

Il Contribuente impugnava il provvedimento e la Commissione tributaria provinciale della Città dei templi accoglieva il ricorso ritenendo che l'Amministrazione finanziaria non avesse addotto la prova dell' inesistenza delle operazioni fatturate poste alla base del proprio provvedimento.

L'Amministrazione impugnava la sentenza di prime cure dinnanzi alla Commissione tributaria regionale per la Sicilia, ritenendo invece che fosse stata fornita la prova indiziaria dell'avvenuta utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e che con il provvedimento originariamente impugnato fosse stata contestata l'inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate.

La Commissione tributaria di appello rigettava il gravame e confermava la sentenza impugnata affermando che “… la fatturazione per operazioni inesistenti presuppone sul piano normativo… che le operazioni siano state effettivamente effettuate (fra soggetti diversi tra quelli risultanti dalla fattura) e da ciò deriva l' inammissibilità logica e giuridica, di considerare soggettivamente inesistenti operazioni mai avvenute e cioè oggettivamente inesistenti…”.

La questione

Il Collegio del gravame ha ritenuto che nel caso concreto l'appello dell'Amministrazione finanziaria, la quale censurava la sentenza di primo grado assumendo di avere provato l'inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate e la consapevolezza della partecipazione alla frode da parte del contribuente, non fosse fondato per un duplice ordine di motivi.

Il primo, riferito alle imposte dirette, perché nel caso di operazioni “soggettivamente” inesistenti i costi sono, comunque, deducibili anche qualora il cessionario sia consapevole che chi ha emesso la fattura è soltanto un interposto fittizio, ovvero una “società cartiera”.

Il secondo, riferito all'IVA, in quanto la indetraibilità richiede quale presupposto la prova della partecipazione consapevole ad una frode da parte del soggetto destinatario della fatturazione.

Tale prova – ad avviso della Commissione regionale - nel caso concreto, non era stata addotta in quanto le operazioni risultavano regolarmente contabilizzate, documentate e tracciabili.

La CTR ha inoltre ritenuto che quale prova della consapevolezza della inesistenza “soggettiva” delle operazioni, la durata dell'attività commerciale svolta (circa 20 mesi), non potesse essere ricondotta al fenomeno delle c.d. “partite IVA apri e chiudi” .

Le soluzioni giuridiche

Ad avviso della Commissione Siciliana, quindi, la fatturazione per operazioni “soggettivamente” inesistenti presuppone che le stesse operazioni siano realmente state effettuate, ma tra soggetti diversi rispetto a quelli indicati in fattura.

Pertanto, non possono essere considerate operazioni “soggettivamente” inesistenti quelle operazioni mai avvenute e quindi “oggettivamente” inesistenti. Tale distinzione determina differenti conseguenze fiscali sia in materia di Iva che di Imposte dirette.

Ed infatti, l'Iva riferita ad operazioni inesistenti non è detraibile tanto nel caso in cui gli acquisti siano “oggettivamente” inesistenti, quanto nel caso in cui si tratti di fatture “soggettivamente” inesistenti o false. Con la differenza che nell'ipotesi di operazioni soltanto “soggettivamente” inesistenti la detraibilità potrà essere esclusa soltanto qualora il destinatario fosse stato consapevole che l'operazione rientrava in un disegno evasivo dell'imposta: l'onere della prova di tale consapevolezza graverà sull'Amministrazione.

Con riguardo alle Imposte sui redditi, i costi delle operazioni “soggettivamente” inesistenti (a prescindere dalla circostanza che siano o meno inseriti in una c.d. “frode carosello”) sono deducibili per il solo fatto che sono stati sostenuti anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia stato consapevole del carattere fraudolento delle operazioni.

Tale deducibilità, ad avviso dei Giudici siciliani, trova però un insormontabile ostacolo: “….nell'ipotesi in cui i costi di che trattasi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo…”.

Osservazioni

In tema di deduzioni, il comma 4-bis dell'art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta dall'art. 8 c.1 del d.l. n. 16 del 212) ha previsto che “…nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attivita' qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 del c.p.p. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 del c.p.”.

La disposizione in parola prevede inoltre che qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'art. 529 del c.p.p., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dalla disposizione in parola e dei relativi interessi.

Riferimenti bibliografici – Giurisprudenziali

La Corte di Cassazione, con recentissima sentenza del 5 aprile 2019 n. 9588 in tema di utilizzo di fatture relative ad operazioni “soggettivamente” inesistenti e di relativo onere della prova, ha riaffermato il principio secondo il quale grava sull' Amministrazione l'onere di provare la consapevolezza del contribuente di partecipazione ad un meccanismo fraudolento.

Il Collegio nomofilattico ha infatti chiarito che “rappresenta principio ormai consolidato quello per cui, ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente mentre, ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”.

Con altre due recenti sentenze del 2018 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla detraibilità (per l'IVA) e sulla deducibilità (per le Imposte sui redditi).

Con la prima la Corte ha chiarito che qualora l'Amministrazione finanziaria contesti “…che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”. (Cassazione civile, sez. trib., 20/04/2018, n. 9851).

Con la seconda, in tema di imposte sui redditi, la Corte ha chiarito che “…sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una "frode carosello") per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo”.(Cassazione civile, sez. VI, 06/07/2018, n. 17788).

I temi in argomento sono stati oggetto di esame anche da parte della Corte di Giustizia Europea, sez. V, la quale ha avuto modo di pronunciarsi nel 2015 nell'abito della causa C–277/14 affermando che “Le disposizioni della sesta Direttiva n. 77/388/Cee del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla Direttiva n. 2002/38/Ce del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l'imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un'evasione dell'imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.