Operatività del giudizio di ottemperanza e la circoscrizione del relativo oggetto

16 Settembre 2019

Nell'ambito del giudizio d'ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, è interpretazione unanime che il potere del giudice sul comando definitivo inevaso, va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita col giudicato (c.d. carattere chiuso del giudizio di ottemperanza)...
Massima

Nell'ambito del giudizio d'ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, è interpretazione unanime che il potere del giudice sul comando definitivo inevaso, va esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita col giudicato (c.d. carattere chiuso del giudizio di ottemperanza), di tal che il giudice dell'ottemperanza può, si, enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendone il reale significato e rendendolo quindi "effettivo", ma nel limite invalicabile del non poter attribuire un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire, nè dal poter negare il diritto riconosciuto dal dictum azionato.

Il caso

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva integralmente il ricorso proposto dal contribuente, riconoscendo il diritto al rimborso dell'Irpef versata in eccesso sull'indennità di buonuscita in ragione dei servizi di ammissione al riscatto.

Dopo il passaggio in giudicato di detta sentenza per non interposto appello e notifica in forma esecutiva in data 4 giugno 2013, il contribuente, in data 22 maggio 2014, notificava atto di diffida di cui al D.Lgs. n. 546/1992 ex art. 70, comma 2, concedendo all'Agenzia delle entrate il termine di 30 giorni per il pagamento dell'importo come indicato in sentenza. Persistendo l'inerzia dell'Amministrazione, il contribuente iscriveva presso la CTP ricorso per ottemperanza, nel quale rilevava che, con comportamento a suo dire elusivo del giudicato, l'Agenzia delle Entrate aveva richiesto all'Inps chiarimenti in merito ai contributi versati al contribuente; l'Inps non rispondeva asserendo l'esattezza della liquidazione della buonuscita e delle ritenute Irpef basandosi sull'interpretazione del d.P.R. n. 917/1986, di segno opposto a quella compiuta dal giudice di merito nella sentenza di primo grado.

L'Agenzia delle Entrate si costituiva nel giudizio di ottemperanza sostenendo di aver integralmente rimborsato il contribuente con il versamento dell'importo minore di Euro _________________.

Con la sentenza n. 26150/20/14 del 15.12.2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma dichiarava cessata la materia del contendere così motivando: “...l'Ufficio con note del 25/11/14 chiedeva la cessazione della materia del contendere facendo presente che gli importi, dovuti a seguito di sentenza del giudice tributario, erano stati liquidati secondo il prospetto redatto dall'Inps con invio di assegno al contribuente. Il Collegio pertanto stante la comunicazione di cui sopra, ed avendo l'Ufficio ottemperato a quanto statuito dalla predetta sentenza, ritiene debba essere dichiarata l'estinzione del giudizio per cessata materia del contendere”.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione.

L'Agenzia delle Entrate non si costituisce nei termini di legge mediante controricorso, ma deposita atto al fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa.

La questione giuridica

La quaestio iuris dell'esaminanda pronuncia involve l'ambito di operatività del giudizio di ottemperanza e la circoscrizione del relativo oggetto. In particolare, occorre capire se il giudice dell'ottemperanza possa attribuire ex novo un diritto non riconosciuto dalla sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza ovvero debba limitarsi al comando definitivo inevaso.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 67-bis del D.Lgs. 546/1992 dispone che le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali sono immediatamente esecutive, al pari di quelle emesse nel giudizio civile e in quello amministrativo.

Proprio in relazione a tale caratteristica il legislatore ha provveduto ad apportare modifiche alla disciplina del giudizio di ottemperanza di cui all'art. 70 del D. Lgs. 546/1992 rubricato “Giudizio di ottemperanza”.

Secondo la prefata disposizione “la parte che vi ha interesse, può richiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della Commissione Tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della Commissione Tributaria Provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della Commissione Tributaria regionale”.

Il giudizio di ottemperanza ha ad oggetto gli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato ed è indubbio che nel relativo giudizio possa essere dedotta come contrastante con il giudicato non solo l'inerzia della P.A. cioè il non facere (inottemperanza in senso stretto), ma anche un facere, cioè un comportamento attivo, attraverso cui si realizzi un'ottemperanza parziale o inesatta ovvero ancora la violazione o l'elusione attiva del giudicato; nondimeno, il nuovo atto emanato dall'Amministrazione, dopo l'annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, può essere considerato adottato in elusione o violazione del giudicato solo nella circostanza in cui da quest'ultimo derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza, con la conseguenza che la verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato implica il riscontro della difformità specifica dell'atto stesso rispetto all'obbligo processuale di attenersi esattamente all'accertamento contenuto nella sentenza da eseguire. Neppure viene in rilievo la complementare categoria dell'elusione del giudicato che ricorre allorquando l'Amministrazione, pur provvedendo formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegue l'obiettivo di aggirarle dal punto di vista sostanziale, giungendo surrettiziamente allo stesso esito già ritenuto illegittimo (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. VI, 05/03/2019, n. 1245 in Redazione Giuffrè amm. 2019).

Il giudizio di ottemperanza, come noto, ha un carattere cd. chiuso nel senso che esso va esercitato entro confini invalicabili e che sono ben delineati dall'ordinamento giuridico. In tal senso si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 8830/2014 a tenore della quale il giudice dell'ottemperanza “può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiedendosene il reale significato e rendendolo quindi effettivo, ma non può attribuirsi un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire, né può essere negato il diritto riconosciuto dal “dictum” azionato”. Ad abundantiam “Il giudizio d'ottemperanza deve essere limitato alla mera esecuzione del giudicato del quale si chiede l'attuazione, non essendo consentito al giudice di esaminare la cognizione di qualsiasi altra domanda correlata allo stesso” (A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 03/12/2018, n.11679 in Redazione Giuffrè 2019).

In altre parole il giudice dell' ottemperanza deve limitarsi a rendere effettiva la sentenza, di per sé idonea a produrre i suoi effetti e dunque efficace, ma priva del requisito dell'effettività perché rimasta ancora inattuata.

Il termine “effettività” si riferisce alla corrispondenza fra norme e fatti: nel discorso giuridico può essere inteso ed usato tanto come espressione descrittiva in relazione alla conformità o meno di determinate condotte alla disposizione legislativa, quanto come indicazione di un valore da perseguire e difendere (M. LIBERTINI, Le nuove declinazioni del principio di effettività Europa e Diritto Privato, fasc.4, 1 dicembre 2018, pag. 1071). Del resto, la stessa evoluzione del giudizio di ottemperanza riflette l'esigenza di attuare il principio di effettività della tutela di cui all'art. 24 Cost. (M. DI LULLO, Riedizione del potere, elusione e violazione del giudicato. Giudizio di ottemperanza in Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 4, 1 dicembre 2017, pag. 1517).

Il rimedio dell'ottemperanza, pur essendo satisfattivo ha un carattere residuale, in considerazione della sua capacità di ingerenza nella sfera del pubblico potere. L'istituto è stato elaborato valorizzando proprio la funzione del giudizio di ottemperanza quale luogo processuale idoneo ad assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale e, in particolare, l'esigenza che l'azione amministrativa si conformi ad una pronuncia vincolante. L'ottemperanza potrebbe riguardare non solo le sentenze, ma anche le ordinanze, sulla base del combinato disposto degli artt. 21-septies, Legge n. 241/90 e 114, comma 4, lett. c), c.p.a., infatti, il giudice amministrativo ha stabilito che, per ragioni di effettività della tutela, la nullità dell'atto violativo o elusivo del giudicato possa predicarsi anche con riferimento ai provvedimenti adottati in violazione o elusione delle statuizioni contenute in un'ordinanza cautelare non più soggetta a gravame, così riconoscendo un'equivalenza (Sara Valaguzza, Ilaria Martella, L'effettività della tutela nell' esperienza giurisprudenziale in Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 2, 1 giugno 2018, pag. 783). La finalità del giudizio di ottemperanza è di adeguare la realtà giuridica e materiale al giudicato, conseguentemente il giudice, dopo aver accertato la violazione da parte dell'Amministrazione dell'obbligo di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale, dispone le misure per realizzare gli stessi effetti che deriverebbero dall'adempimento dell'obbligo stabilito nella sentenza (T.A.R. Lecce, (Puglia) sez. III, 05/12/2018, n.1827 in Redazione Giuffrè 2019).

Il giudizio di ottemperanza è limitato alla stretta esecuzione del giudicato del quale si chiede l'attuazione ed esula dal suo ambito la cognizione di qualsiasi altra domanda, comunque correlata al giudicato stesso. L'ottemperanza è esperibile indipendentemente da ogni disposizione concernente l'esecuzione civile, attesa la totale diversità ontologica delle due azioni (A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 14/03/2019, n. 3399 in Redazione Giuffrè amm. 2019). Con riferimento alle sentenze emesse dal giudice amministrativo, al giudice dell'ottemperanza è attribuito, nell'ambito di una giurisdizione estesa al merito, anche il potere di integrare il giudicato ai fini dell'adeguamento della situazione relativa all'ottemperanza (T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 18/04/2019, n.887 in Redazione Giuffrè 2019). Diversamente è “sempre possibile modificare la statuizione relativa alla penalità di mora contenuta in una precedente sentenza di ottemperanza, ove siano comprovate sopravvenienze attuali o giuridiche che dimostrino la manifesta iniquità in tutto o in parte della sua applicazione. Non è in via generale possibile la revisione ex tunc dei criteri di determinazione dettati in una precedente sentenza di ottemperanza” (Cons. Stato ad. plen. n. 7/2019, 28/09/2018).

La Corte di cassazione ha più volte richiamato il generale principio in virtù del quale nel giudizio di ottemperanza dinanzi alle commissioni tributarie, il potere del giudice adito non può “travalicare” i confini invalicabili dell'oggetto della controversia definita con il giudicato, avendo quale scopo soltanto quello di enucleare e precisare gli obblighi scaturenti da essa, al fine di chiarirne il reale significato (cfr. Cass. civ., sez. T, n. 15827/2016).

Infatti, come precisato dalla stessa S.C., in tema di contenzioso tributario, il giudizio di ottemperanza, ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l'inerzia dell'Amministrazione rispetto al giudicato o la difformità specifica del provvedimento adottato dalla medesima rispetto all'obbligo processuale di attenersi all'accertamento contenuto nella sentenza da eseguire, si differenzia dal concorrente giudizio esecutivo civile, perché il suo scopo non è quello di ottenere l'esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato, ma di rendere effettivo quel comando, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo (Cass. civ., sez. trib., n. 20202/2010) (R. Giordano, nota a: Cassazione civile, 20 luglio 2018, n.19346, sez. VI : Iltributario.it, fasc., 11 settembre 2018). La Corte di Cassazione, dopo la configurazione dell'interesse legittimo come situazione che consente di ottenere un bene della vita, afferma che la natura di giudizio di merito dell'ottemperanza attribuisce al giudice “dei poteri, amplissimi, con facoltà di sostituirsi all'amministrazione per realizzare l'adeguamento della situazione al comando definitivo inevaso, ancorché debbano emanarsi provvedimenti discrezionali”. Ogni processo di esecuzione ha una benché minima valutazione di cognizione, pertanto, bisognerebbe distinguere tra cognizione ordinaria e cognizione per l'esecuzione.

Nell'ambito della cognizione strictu sensu si possono proporre le ordinarie questioni di natura generale quali la legittimazione, la corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la tipologia delle azioni, i tipi di prova ammissibili. Invece, l'oggetto della cognizione per l'esecuzione è, oltre la legittimazione, solo la verifica dell'effettiva attuazione di quanto previsto nella sentenza, con più limitati poteri del giudice in ordine all'accertamento dell'inadempimento o dell'elusione (F. Manganaro, Il giudizio di ottemperanza come rimedio alle lacune dell' accertamento,Diritto Processuale Amministrativo, fasc.2, 1giugno 2018, pag. 534).Nello stesso senso si è pronunciato già il Cons. Stato, ad. plen., 17 gennaio 1997, n. 1, secondo cui “il giudice amministrativo può adottare, in sede di interpretazione integrativa del precetto racchiuso nella sentenza da eseguire, una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che sarebbero comunque devoluti alla propria giurisdizione” (Cass. Civ., sez. un., 30 giugno 1999, n. 376).

L'esigenza di effettività della tutela è ritenuta particolarmente critica in fase di attuazione del decisum, sotto diversi profili. Come detto, si tratta di un rimedio particolarmente invasivo al punto che in alcuni ordinamenti non è riconosciuto. Ad esempio, è del tutto sconosciuto all'ordinamento svizzero, in cui, forse per ragioni sociologiche o culturali, non sembra affatto porsi un reale problema di inesecuzione da parte delle Autorità amministrative del dictum giurisdizionale (N. Spadaro, Cenni sul contenzioso amministrativo nell' ordinamento svizzero in Diritto Processuale Amministrativo, fasc.1, 1 marzo 2018, pag. 466).

Il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze della commissione tributaria ha una duplice natura, di merito, in quanto volto ad individuare gli obblighi contenuti nella sentenza, e di esecuzione, in quanto volto ad adottare i provvedimenti in sostituzione dell'Amministrazione finanziaria inadempiente, ed ha il duplice obiettivo di verificare se vi sia stata o meno l'inottemperanza e, in caso affermativo, rendere effettivo il comando espresso dalla sentenza mediante l'adozione dei necessari provvedimenti: ne deriva che detto giudizio non può avere ad oggetto la sentenza di accoglimento del ricorso né quando la stessa annulla l'atto impugnato, trattandosi di pronuncia “autoesecutiva”, né ove ridetermini il “quantum” dell'imposta, poiché in quest'ultimo caso la decisione non si limita ad annullare l'atto impositivo ma lo sostituisce (Cassazione civile sez. trib., 12/04/2019, n. 10299 in Giustizia Civile Massimario 2019).

Proprio in ragione di tale natura mista, il giudizio non è assimilabile al processo esecutivo civile, essendo diretto non solo all'esecuzione del giudicato, vale a dire all'adeguamento della realtà materiale alla regola di diritto da questo stabilita per il caso concreto, ma anche una prodromica attività di cognizione avente lo scopo di definire e se del caso specificare tale regola, dando luogo al cosiddetto giudicato "a formazione progressiva" (Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 05/02/2019, n.76 in Foro Amministrativo (Il) 2019, 2, 246).

Osservazioni

Il giudice dell'ottemperanza deve limitarsi a dare esecuzione al dictum contenuto all'interno della sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza.

Non ha alcun potere sostitutivo e la valutazione nel merito è limitata alla sola verifica degli obblighi che l'amministrazione è chiamata ad adempiere.

Dall' esaminanda sentenza si legge chiaramente che il giudice dell'ottemperanza non può far nascere un diritto ex novo, ma limitarsi a riconoscere un diritto già attribuito. L'adita Corte di Cassazione, nell'esaminanda sentenza, ha asserito che “la CTP ha fatto mal governo del suo potere di ottemperanza del comando inevaso in quanto, anzichè dare attuazione al giudicato, ha negato il diritto al rimborso consacrato dalla sentenza, limitando il contenuto dell'obbligo dell'Amministrazione ad un importo di cui non è dato risalire al titolo, affidandosi ad un prospetto dell'Inps del tutto irrilevante rispetto al comando da eseguire e supponendo la cessazione della materia del contendere pur a fronte della domanda e delle reiterate richieste di ottemperanza del giudicato avanzate dal contribuente”.

Resta, tuttavia, come più volte affermato dalla Corte di Cassazione, il potere di integrare quanto contenuto all'interno della sentenza. Il dictum azionato potrebbe solamente essere integrato dal giudice, ma quest'ultimo non può riconoscere ex novo o negare un diritto riconosciuto, stravolgendo in tal modo il contenuto della sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza. Ciò anche in ragione del fatto che il giudizio di ottemperanza non è una fase di rivalutazione nel merito delle rispettive pretese, che è propria del giudizio di appello, ma è un giudizio funzionale a rendere effettiva una sentenza.

D'altronde se fosse riconosciuto al giudice dell'ottemperanza il potere di riesaminare la controversia e di modificare la statuizione in essa contenuta significherebbe attribuire all'ottemperanza il valore di mezzo di gravame, introducendo nell'ordinamento giuridico un mezzo di impugnazione non espressamente previsto dalla legge.

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