Sulla prova contraria alla presunzione di distribuzione al socio degli utili extracontrabili
20 Settembre 2019
Massima
La presunzione di attribuzione degli utili extracontabili in favore del socio di una società a ristretta base sociale può essere superata dimostrando uno specifico fatto positivo (nella specie, l'intestazione fiduciaria della quota) contrario all'operare della stessa. Il caso
Il contribuente, attinto da un avviso di accertamento in ragione della propria qualità di socio di una società a ristretta base sociale e quindi in virtù della presunzione, in detta ipotesi, di distribuzione degli utili extracontabili, proponeva ricorso contro tale avviso. La Commissione Tributaria provinciale riteneva il ricorso fondato, mentre in appello veniva accolto il gravame proposto dall'Agenzia dell'Entrate. Il contribuente proponeva a propria volta ricorso per cassazione deducendo la violazione, da parte della Commissione Tributaria regionale, delle norme in tema di presunzioni nell'accertamento. In particolare, evidenziava che, pur essendo socio della società a ristretta base sociale, era sempre stato estraneo alla gestione della stessa, in quanto escluso dal fratello che gli aveva intestato solo fiduciariamente le quote per costituire la necessaria pluralità del sodalizio. In sostanza, sottolineava, sul piano giuridico, che poiché dal fatto noto possono derivare, con la stessa ragionevole probabilità, conseguenze diverse, la prova presuntiva non può essere utilizzata per trarre una sola possibile conseguenza, così, da ritenere provato un solo fatto ignoto e non, invece, quanti altri se ne possono dedurre, assumendo, di conseguenza, che se la ristretta base societaria (fatto noto) fa desumere che tutti i soci sono complici nella gestione delle società (fatto ignoto), allo stesso tempo dovrebbe far desumere anche l'ulteriore fatto ignoto della qualità di fiduciario di un socio. La questione
La questione processuale esaminata dalla S.C. nella pronuncia in esame attiene alla possibilità di ritenere superata la presunzione di attribuzione degli utili extracontabili ad un socio di una società a ristretta base sociale, in virtù della presunzione, da ritenersi di “pari grado” nel ragionamento operato dal contribuente, in ordine alla natura fiduciaria di un socio.
Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto. A fondamento della decisione, la S.C. richiama il proprio consolidato orientamento per il quale in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima l'applicazione, alle società di capitali a ristretta base partecipativa, della presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili, salva prova contraria da parte del contribuente, in quanto (anche a prescindere dalla sussistenza di ipotetici rapporti familiari tra i soci) la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell'esistenza di utili non indicati in bilancio (Cass. Civ., n. 24572/2014). L'operare di siffatta presunzione implica, secondo le regole generali operanti in materia di presunzioni juris tantum, la possibilità per il contribuente di addurre una prova contraria rispetto ad essa, prova contraria che, come ricorda ancora la decisione in rassegna, in virtù di una giurisprudenza consolidata, si sostanzia nella dimostrazione che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, ovvero della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (v., tra le molte, Cass. n. 18042/2018). In ragione di tali assunti, la S.C. ritiene, quindi, che nella fattispecie processuale posta alla propria attenzione, il ricorso del contribuente sia infondato, non avendo lo stesso fornito alcuna prova positiva sulla circostanza dedotta della mancata partecipazione alla gestione sociale, quale mero intestatario “fiduciario” delle quote, assumendo di poter dimostrare la stessa in via presuntiva. Osservazioni
La pronuncia in rassegna deve essere condivisa alla luce dei principi generali del nostro ordinamento in tema di prove che peraltro appare opportuno richiamare brevemente al fine di meglio comprendere la portata della decisione.
In particolare, in tema di riparto dell'onere della prova tra le parti, assume valenza fondamentale l'art. 2697 c.c. ove stabilisce che colui il quale vuole far valere un diritto in giudizio deve dimostrare i fatti costitutivi posti a fondamento dello stesso, mentre spetta a chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto si è modificato o estinto provare i fatti sui quali si fonda la propria eccezione. Tale regola in tema di riparto dell'onere probatorio tra le parti in giudizio, assume un'importanza nevralgica, assurgendo, nell'ipotesi di mancata prova, a criterio di « decisione » dei fatti controversi. In sostanza, infatti, l'art. 2697 c.c. ripartisce tra le parti in causa il c.d. rischio della mancata prova dei fatti allegati.
Il divieto di non liquet posto in capo al giudice determina, invero, in ogni sistema giuridico, l'esigenza di individuare una regola di giudizio che ripartisca il rischio della mancata prova tra le parti, affinché, nell'ipotesi in cui manchi, anche in via presuntiva, la dimostrazione dell'esistenza di un fatto idoneo a produrre determinate conseguenze giuridiche, la carenza di prova venga posta a carico della parte alla quale spettava l'onere di dimostrare la sussistenza di tale fatto (in arg. MICHELI, 1 ss.). Del resto, nei sistemi giuridici moderni tale regola di giudizio fondata sull'applicazione dei principi in tema di onere della prova nel senso che a ciascuna parte spetta l'onere di dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della propria pretesa costituisce portato del principio di legalità (cfr., diffusamente, TARUFFO, 65 ss.; VERDE, 438 ss.). Pertanto, in linea di principio, come ripetutamente affermato dalla S.C., ai sensi dell'art. 2697 c.c, l'onere della prova relativo ai fatti costitutivi del diritto per cui si agisce grava sull'attore, laddove l'onere del convenuto di dimostrare l'inefficacia dei fatti invocati dalla controparte sorge esclusivamente dopo che l'attore ha provato l'esistenza dei fatti costitutivi (Cass. Civ., 8 giugno 2007 n. 13390). Infatti, l'onere probatorio del convenuto in ordine alle eccezioni da lui proposte sorge in concreto solo quando l'attore abbia, a sua volta, fornito la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, sicché la insufficienza o anche la mancanza delle prova delle circostanze dedotte dal convenuto a confutazione dell'avversa pretesa non vale a dispensare l'attore dall'onere di dimostrare la legittimità e la fondatezza nel merito della pretesa che egli faccia valere (Cass., Sez. Un., 28 settembre 2000 n. 1044). Peraltro, ciò posto, non può trascurarsi – ed è particolarmente ricorrente in ambito tributario – che in materia probatoria possono operare anche presunzioni, definite dall'art. 2727 c.c. come le conseguenze che la legge o il giudice traggono da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, che costituisce il fatto primario controverso da provare in giudizio (v., tra gli altri, ANDRIOLI, 766; CALOGERO, 1 ss.; PATTI, 1 ss.).
In sostanza, come ha evidenziato la dottrina più autorevole la prova critica o indiziaria è una prova in senso pieno e non un argomento di prova poiché il fatto secondario deve essere dimostrato attraverso gli ordinari mezzi di prova e, soltanto in seguito, il giudice effettuerà un ragionamento inferenziale mediante il quale potrà dichiarare l'esistenza o l'inesistenza del fatto primario e rilevante ai fini della decisione (LUISO 2015, II, 71). Le presunzioni relative dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite. Nel caso in esame, quindi, ai fini dell'integrazione della presunzione era sufficiente, come avvenuto, da parte dell'Erario, dimostrare la ristretta base sociale della società nonché l'esistenza di rapporti di parentela tra l'amministratore ed il contribuente, elementi idonei a fondare la presunzione di attribuzione a quest'ultimo, in qualità di socio, degli utili extracontabili accertati in capo alla società.
Né in tale situazione poteva ritenersi, come sostenuto dal socio, “annullato” l'effetto della presunzione dalla mera deduzione difensiva – che, nell'argomentare del ricorrente, sarebbe stata anch'essa circostanza ignota ben desumibile dal fatto noto della ristretta compagine sociale – di un'intestazione solo fiduciaria delle quote, della quale, invero, opportunamente la S.C. ha affermato doveva essere fornita prova positiva.
GUIDA ALL'APPROFONDIMENTO
ANDRIOLI, Presunzioni (dr. civ. e dr. proc. civ.), in NNDI, XIII, 1966, 766; CALOGERO, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, Padova 1937; LUISO, Diritto processuale civile, II, Milano 2015; MICHELI, L'onere della prova, Padova 1966, 1 ss.; PATTI, Presunzioni, in Commentario al codice civile Scialoja e Branca, Roma-Bologna, 2001; PICARDI, Manuale del processo civile, Milano 2013; TARUFFO, Onere della prova, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, 1995, 65 ss.; VERDE, L'onere della prova nel processo civile, Camerino, 1972, 438 ss. |