L'utilizzo da parte del contribuente delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario

Vincenzo Pisani
04 Novembre 2019

Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, si riferisce alla prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.
Massima

Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, si riferisce alla prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.

Tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 2729 c.c., danno luogo a presunzioni.

In questo ambito, al fine di evitare che l'ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell'Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni Tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi.

Il caso

Con avviso di accertamento relativo all'anno fiscale 1998, l'Agenzia delle Entrate rilevava che un contribuente, esercente attività di lavori generali di costruzioni di edifici, aveva dedotto costi e detratto l'IVA riferita a talune operazioni inesistenti. I rilievi dell'Ade riguardavano n. 21 fatture emesse da una ditta esterna in seguito al noleggio di macchinari da lavoro.

Siffatto atto impositivo veniva impugnato dal contribuente innanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, la quale, nell'accogliere il ricorso riteneva effettive le fatture passive contabilizzate e ciò sulla base di dichiarazioni di atto notorio rese da terzi soggetti coinvolti nelle operazioni.

Pertanto i giudici di prime cure dopo aver valorizzato le dichiarazioni prodotte dal contribuente quali elementi indiziari, concludevano che l'eventuale fittizietà delle medesime non poteva essere imputabile al contribuente.

Avverso la sentenza proponeva appello l'Agenzia delle Entrate innanzi la Commissione Tributaria Regionale della Calabria. Il contribuente si costituiva con appello incidentale.

I giudici di secondo grado, innanzitutto dichiaravano inammissibile l'appello incidentale del contribuente e, quindi, nel merito accoglievano l'appello principale dell'Ufficio ritenendo che aveva assolto l'onere probatorio gravante su di esso in ordine alla fittizietà delle operazioni di cui alle fatture contestate e che, invece, il contribuente non aveva fornito la prova contraria, su di esso gravante, della attendibilità delle fatture.

La CTR nel motivare la decisione aveva ritenuto che le dichiarazioni sostitutive di atto notorio rese da soggetti terzi non avessero alcuna valenza probatoria nel giudizio tributario ove sussiste il divieto di prove testimoniali previsto dall'art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992.

La questione

La questione ha origine dall'impugnazione da parte di un contribuente di un avviso di accertamento emesso dall'Ade in seguito alla valutazione di talune operazioni contabilizzate quali inesistenti.

Nel procedimento innanzi i giudici tributari di prime cure, la società contribuente aveva dimostrato l'effettività delle operazioni contestate producendo in giudizio dichiarazioni sostitutive di atto notorio rese da soggetti coinvolti nelle operazioni, considerate dalla CTP quali elementi indiziari su cui fondare la decisione di accoglimento del ricorso.

I Giudici di CTR aditi dall'Ufficio, invece, avevano riformato la sentenza di primo grado e soffermandosi, in modo particolare, sull'utilizzabilità nel processo tributario delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio avevano ritenuto che le stesse fossero escluse dai mezzi probatori ammessi alla stregua delle prove testimoniali.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione nel motivare la decisione ha seguito un ragionamento giuridico che partendo da precedenti giurisprudenziali interpretativi della norma sul processo tributario relativa al divieto di prova testimoniale ha condotti i Giudici a ritenere legittime ed utilizzabili le dichiarazioni extraprocessuali rese da terzi.

In dettaglio, il Collegio ha dapprima fornito una chiave ermeneutica di lettura dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, ritenendo che tale norma vada interpretata nel senso che il divieto di prova testimoniale ivi contenuto non va inteso in maniera generalizzata giacché essa norma, nel riferirsi alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio non implica in assoluto l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento.

Tali dichiarazioni, proprio perché assunte in sede extraprocessuale assumono il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e qualora rivestano i caratteri della gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.

La Suprema Corte, quindi, ha analizzato il rapporto intercorrente tra il divieto della prova testimoniale nel processo tributario previsto dall'art. 7, co. 4 del D.Lgs. n. 546/1992 ed il principio dell'inammissibilità della prova per presunzioni quando è esclusa la prova testimoniale di cui all'art. 2729, co. 2 c.c.

Sul punto, hanno illustrato i Giudici che la normativa di matrice civilistica del divieto di utilizzare le presunzioni nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale non è applicabile nel contenzioso tributario attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari che escludono la testimonianza quale mezzo probatorio.

Infatti, nel pieno rispetto della "parità di armi" tra fisco e contribuente (Corte Costituzionale, 21/01/2000, n.18), il diritto vivente ammette l'introduzione indiziaria nel processo tributario di dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale, sebbene esse non siano assunte o verbalizzate in contraddittorio da nessuna norma richiesto.

Siffatta interpretazione fornita dagli ermellini non contrasta, d'altro canto, con l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (cd. CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla L. 4 agosto 1955, n. 848, atteso che la Corte Europea dei diritti dell'uomo, a tal proposito, ha chiarito che "l'assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile" (Corte EDU 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/0143, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia).

Alla luce di tali considerazioni normative e dei precedenti giurisprudenziali di legittimità, la Suprema Corte è pervenuta alla conclusione che al fine di evitare che l'ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell'Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni Tributarie le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e che tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi da valutare congiuntamente ad altri elementi.

La questione di legittimità affrontata dalla Corte Costituzionale

Sul tema dell'esclusione dal processo tributario delle dichiarazioni rese da terzi giacché in contrasto con il divieto della prova testimoniale affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza oggetto del presente commento, si è espressa a latere la Corte di Costituzionale cui la CTP di Chieti aveva sollevato in riferimento, tra l'altro, agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, co. 4 del D.Lgs. n. 546/1992 (cfr. (Corte Costituzionale, sentenza 21/01/2000, n.18).

Gli ermellini nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale hanno ritenuto che tale ultima norma deve non ricomprende, nella previsione del diritto di prova testimoniale, anche l'inammissibilità delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale, tenuto conto che le dichiarazioni in questione sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio.

Infatti, la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell'amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente, nel processo tributario nel quale quest'ultimo non può avvalersi, per contestarne l'efficacia probatoria, della prova testimoniale non collide né con il principio di eguaglianza, né con il diritto di difesa del contribuente medesimo.

Con il principio di eguaglianza, perché il valore probatorio delle dichiarazioni dei terzi è solamente quello proprio degli elementi indiziari, che, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione.

Pertanto, trattandosi di un'efficacia ben diversa da quella che deve riconoscersi alla prova testimoniale, tale rilievo è sufficiente ad escludere che l'ammissione di un mezzo di prova (le dichiarazioni dei terzi) e l'esclusione dell'altro (la prova testimoniale) possa comportare la violazione del principio di “parità delle armi”.

Con il diritto di difesa il contribuente può contestare la veridicità delle dichiarazioni di terzi, raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale; sicché, ove ciò avvenga, il giudice tributario potrà e dovrà far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal comma 1 dell'art. 7, rinnovando e, eventualmente, integrando, secondo le indicazioni delle parti e con garanzia di imparzialità, l'attività istruttoria svolta dall'ufficio

Osservazioni

Con la sentenza in commento i Giudici della Corte di Cassazione affrontano il tema dell'utilizzo della dichiarazioni di atto notorio acquisiste in sede extraprocessuale in rapporto al divieto della prova testimoniale valido nel processo tributario.

A tal fine, la decisione è importante giacché riconosce al contribuente, al apri dell'Amministrazione finanziaria la possibilità di introdurre in giudizio dichiarazioni di terzi che seppur non costituiscono prove dirette, assumono la valenza indizi o presunzioni semplici che il giudice avrà la possibilità di valutare congiuntamente ad altri elementi probatori.

Tale pronuncia, collocandosi nel solco di giurisprudenza che va consolidandosi in sede di legittimità sostanzialmente equilibra la posizione della difesa del contribuente rispetto a quella dell'Ufficio.

Infatti, è bene ricordare che l'Agenzia delle Entrate così come la Guardia di Finanza sono dotate di importanti poteri accertativi che possono esercitare nel corso degli accessi, ispezioni e verifiche ed attraverso i quali acquisiscono informazioni, talvolta anche sotto forma di dichiarazioni di terzi che vengono poi utilizzate ai fini dell'accertamento fiscale e dell'eventuale convincimento giudiziale.

In un contesto siffatto, quindi, rappresentava una singolare limitazioni la circostanza per cui soltanto l'amministrazione finanziaria potesse utilizzare le dichiarazioni nei giudizi innanzi alle Commissioni Tributarie mentre al contribuente era inibita la produzione in giudizio di analoghe dichiarazioni e ciò sulla base della fatto che nel processo tributario vige il divieto della prova testimoniale.

Alla luce di siffatto orientamento, ed in attesa che il legislatore estenda al contribuente gli strumenti probatori a disposizione dell'amministrazione finanziaria, non resta che auspicare che gli uffici non eccepiscano l'inammissibilità delle citate dichiarazioni e che in sede di controllo i verificatori acquisiscano direttamente in atti eventuali elementi a favore.