Può il regolamento di condominio vietare l'esercizio di un'attività di ristorazione?

Guerino De Santis
29 Novembre 2019

Cosa succede se il regolamento di condominio vieta di usare i locali posti a piano terra come esercizio di attività economiche o commerciali in genere ed individuando nello specifico solo alcune attività espressamente vietate? Il proprietario dei locali e titolare dell'attività che strumenti può utilizzare per difendere il proprio diritto? Il Tribunale di Milano effettua in concreto una semplice ma efficace disamina che fornisce risposte alla risoluzione dei quesiti, alla luce degli insegnamenti giurisprudenziali di legittimità.
Massima

L'interesse ad agire costituisce una condizione dell'azione e deve essere concreto ed attuale ed alla sua carenza consegue una pronuncia di inammissibilità della domanda giudiziale. Con specifico riferimento all'impugnativa di una delibera condominiale, è necessaria l'esistenza di circostanze che dimostrino un pregiudizio concreto ed attuale rispetto alla temuta lesione del diritto del condomino derivante dalla delibera stessa. L'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'àmbito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti.

Il caso

Una società, proprietaria di due unità immobiliari con destinazioni commerciali, ubicate al piano terra di uno stabile in Milano, cita dinanzi il Tribunale meneghino il Condominio sostanzialmente per due motivi: impugnativa di una delibera che, a suo dire, vietava l'uso commerciale dei locali a tenore di regolamento vigente e declaratoria di accertamento del pieno diritto, invece, ad esercitare liberamente l'attività di ristorazione.

Si costituiva il Condominio, che chiedeva il rigetto dell'impugnativa sulla delibera ed ogni altra domanda di accertamento di qualsiasi diritto spiegata dall'attrice.

Il Tribunale di Milano dichiarava inammissibile l'impugnativa della delibera ritenendo che non vi fosse l'interesse ad agire da parte dell'istante, accogliendo, di contro, la domanda di accertamento del diritto di esercitare l'attività di ristorazione nei locali.

La questione

Il giudice è stato chiamato a decidere se i locali al piano terra di un fabbricato condominiale avrebbero potuto o meno essere adibiti ad esercizio di attività di ristorazione alla luce del regolamento di condominio.

Il tutto nasce da una delibera dell'assemblea che riteneva non possibile detta attività, invitando i proprietari dei locali e titolari dell'attività ad attenersi al regolamento contrattuale in uso, impegnandosi a monitorare la situazione.

Sulla scorta di ciò, i proprietari dei locali impugnavano la delibera e ne approfittavano anche per chiedere al tribunale di accertare se fosse o meno loro diritto svolgere l'attività commerciale alla luce delle disposizioni regolamentari interne.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza è molto articolata e chiara nel decidere la controversia dividendola in due parti: decisione sulla impugnativa e declaratoria di legittimità all'uso diverso dei locali.

In ordine al primo punto, il giudice dichiara inammissibile l'impugnativa per difetto di interesse ad agire dei proprietari, citando l'art. 100 c.p.c. che recita: “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”, richiamando i motivi di impugnativa.

Sul punto, richiama l'attenzione su una decisione della Suprema Corte che afferma: “l'interesse all'impugnazione di una deliberazione dell'assemblea condominiale, ai sensi dell'art. 1137 c.c., pur non essendo condizionato al riscontro della concreta incidenza sulla singola situazione del condomino, postula comunque che la delibera in questione sia idonea a determinare un mutamento della posizione dei condomini nei confronti dell'ente di gestione, suscettibile di eventuale pregiudizio” (Cass. civ.,sez. VI, 10 maggio 2013, n. 11214)

Quindi - osserva il giudicante - l'assemblea, non essendo stata investita di una specifica richiesta di apertura di una attività all'interno del Condominio, si è limitata a formulare delle osservazioni circa la compatibilità dell'attività di ristorazione con il regolamento condominiale, vertendosi in tema di considerazioni generali che non costituiscono disposizione su fatti, circostanze o proposte sottoposte all'assemblea, per cui la società attrice difetta di interesse ad ottenere una pronuncia di invalidità della delibera, e quindi di annullamento, in quanto l'invocato provvedimento non produrrebbe effetto giuridico alcuno in relazione alla prospettata lesione del diritto di proprietà da parte dell'attrice.

Con riferimento al secondo punto, e cioè sulla interpretazione dei limiti e dei divieti contenuti nel regolamento contrattuale, il tribunale milanese procede con un ragionamento ad excludendum, partendo da una analisi del regolamento condominiale contenente divieto di adibire i locali di proprietà esclusiva ad usi diversi elencandoli espressamente, citando inoltre quelli contrastanti con l'igiene, la morale ed il decoro dell'ambiente, nonché con destinazione a negozi, laboratori, magazzini ed attività che diano luogo a rumori od esalazioni sgradevoli, interrogandosi sulla esatta portata di tali previsioni regolamentari alla luce del costante orientamento della giurisprudenza.

Ed infatti, ritiene il giudicante che i divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuali in ambito condominiale possono essere formulati nei regolamenti e devono sottostare a due criteri di selezione: l'elencazione delle attività vietate ed il pregiudizio arrecato.

Nel primo caso, bisogna verificare se una determinata destinazione sia vietata o limitata e controllare se essa sia inclusa nell'elenco; nel secondo, è necessario accertare l'effettiva capacità della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vogliono evitare (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11126).

Sulla scorta di tanto, il Tribunale reputa che l'attività di ristorazione non possa considerarsi vietata dal regolamento condominiale in questione, in quanto esso in generale ammette lo svolgimento di attività “commerciali ed artigianali” senza alcuna limitazione o distinzione di sorta, ritenendo di non poter escludere bar o ristoranti, posto che l'attività di ristorazione è pacificamente da annoverare tra le attività commerciali.

Ergo, non potendosi ricomprendere questa nel divieto, non è ammissibile estenderlo per analogia tra le attività espressamente inibite dal regolamento, atteso che “solo le limitazioni espressamente previste possono reputarsi operative, essendo il silenzio sintomatico, più che di una volontà di porre dei limiti, piuttosto della necessità di preservare integre le facoltà tipiche del diritto di proprietà” (così Cass. civ., sez. VI, 20 ottobre 2016, n. 21307).

Così come “le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni” (così Cass. civ.,sez. II, 7 gennaio 2004, n. 23).

Escludendo, quindi, per le ipotesi residuali, che l'attività di ristorazione in questione possa ledere l'igiene così' come arrecare un qualsiasi pregiudizio a causa di rumori ed esalazioni sgradevoli, il tribunale meneghino accerta il pieno diritto della società attrice ad adibire le unità immobiliari di sua proprietà all'esercizio di attività di ristorazione o similare.

Osservazioni

La controversia portata all'esame del Tribunale non è infrequente nelle casistiche condominiali incentrate sulla discussione relativa all'uso diverso di beni esclusivi.

Il ragionamento del Tribunale si aggiunge ad un consolidato orientamento della giurisprudenza maturatosi negli anni e che tende a tutelare la proprietà privata e la libertà di attività economica così come tutelata dalla Costituzione, pur guardando con occhio attento alle prerogative dei condomini che esercitano i loro diritti sulle cose comuni.

E' pacifico ormai che per evitare ogni equivoco in una materia atta ad incidere sulla proprietà dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività ed ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela (Cass. civ., sez. VI, 11 settembre 2014, n. 19229).

Il regolamento condominiale di natura contrattuale può imporre limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito (Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2015, n. 6299; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2009, n.17886) e che i divieti e le limitazioni di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2009, n. 20237).

Resta, quindi, da decidere caso per caso se l'attività commerciale nell'ambito condominiale è o meno vietata e questo solo dopo la lettura del regolamento e nel rispetto del giusto bilanciamento sia dei diritti dominicali che di quelli sulle parti comuni dei componenti la struttura condominiale.

Guida all'approfondimento

De Tilla, Codice del nuovo condominio commentato, Milano, 2016, 1266

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