Danni da fumo attivo e rilevanza causale della condotta del fumatore “impenitente”
05 Marzo 2020
Massima
In materia di danni da fumo attivo la causa va identificata in un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo da parte di un soggetto dotato di capacità di agire, ovvero scegliere di fumare nonostante la notoria nocività del fumo (respinta, nella specie, la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari di un fumatore deceduto nei confronti della società produttrice delle sigarette). Il caso
Un tabagista affetto da una neoplasia epidermide al polmone poi oggetto di metastasi, conseguenza immediata e diretta del consumo quotidiano di sigarette, quantificato in quaranta sigarette al giorno per oltre trent'anni, agisce nei confronti dei Monopoli di Stato e della British American Tobacco Italia spa, al fin di conseguire il risarcimento dai danni. I giudici di merito – tanto del primo grado che dell'appello - rigettano in ragione dell'insussistenza del nesso di causalità tra le condotte dei convenuti ed i pregiudizi lamentati dai congiunti del danneggiato, in quanto costui era a conoscenza del rischio e vi si è volontariamente esposto, essendo fatto notorio che le sigarette nuocciono alla salute. Proposto ricorso in Cassazione, da parte degli eredi del tabagista – deceduto nelle more del giudizio – i giudici di legittimità confermano la pronuncia di appello, escludendo il nesso di causalità in applicazione del principio della causa prossima di rilievo, costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale scelta di fumare per oltre trent'anni, in quantità smodata e a dispetto della raccomandazione di astenersi, impartitagli dal medico curante, nonostante la notoria nocività del fumo. La questione
La questione in esame è la seguente: in tema di danni da fumo attivo quale rilevanza deve attribuirsi alla scelta di fumare? Le soluzioni giuridiche
Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione - confermando la pronuncia della Corte d'Appello – esclude la sussistenza del nesso di causa fra le pretese condotte illegittime dei convenuti ed il danno, alla stregua dell'individuazione del principio di diritto della causa prossima di rilievo, proseguendo un trend giurisprudenziale in via di consolidamento (Cass. civ., n. 11272/2018). La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza de qua, ha posto, innanzitutto, in evidenza la centralità, ai fini dell'accertamento della responsabilità civile, della verifica della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta e l'evento-danno. In assenza del requisito del nesso eziologico, infatti, non risulta applicabile la normativa relativa alla responsabilità extracontrattuale ed, in particolare, né l'art. 2050 né l'art. 2043 c.c. Secondo la Corte di Cassazione, l'accertamento del nesso causale deve essere anteposto al giudizio relativo all'imputazione della responsabilità ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c., con la conseguenza che l'insussistenza di tale nesso rende irrilevante l'accertamento sia di un'eventuale colpa, sia di un'eventuale responsabilità cd. speciale. Per affermare la relazione causale tra la pratica del fumo e il danno alla salute deve, peraltro, considerarsi l'incidenza di possibili fattori alternativi (predisposizione genetica, fattori ambientali, fattori occupazionali, con esposizione a materiali cancerogeni in uso nelle attività produttive industriali o artigianali, etc.), astrattamente idonei a determinare l'insorgenza della patologia da cui è risultato affetto il fumatore e tali da escludere l'efficienza causale della condotta del produttore/distributore di sigarette, in base al procedimento logico della causalità negativa. Occorre, dunque, che la patologia contratta dal fumatore possa considerarsi, secondo i criteri medico- scientifici, conseguenza altamente probabile dell'uso del tabacco. Invero, il fumo di tabacco, pur costituendo senz'altro uno dei più importanti fattori di rischio, non è tuttavia il solo capace di favorire l'insorgenza di tumori polmonari, e può non rappresentare la causa unica e sufficiente per la loro comparsa (Trib. Reggio Emilia, 11 aprile 2016, n. 536). Nell'accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l'esistenza del nesso eziologico tra quello che s'assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato. Il problema della causalità giuridica, tra i più ardui nella teoria della responsabilità civile, diviene ancor più complesso quando la scienza non riesce ad enucleare una legge in grado di spiegare la relazione tra condotta e danno. Ed infatti, il criterio della causalità adeguata rinvia alle conoscenze scientifiche, per stabilire quando un antecedente è causa di un evento. Tuttavia, in assenza di una legge scientifica universale, può venire in soccorso del giudice solamente una legge c.d. probabilistica, la quale, però, si limita a registrare la frequenza con cui si verificano date conseguenze, ma non è in grado di offrire una spiegazione del fenomeno osservato: essa, dunque, induce gli effetti dalla causa, anziché dedurre quelli da questa. In simili casi, il diritto tende a ravvisare un nesso di causalità, a condizione che sia raggiunta la certezza probabilistica circa l'esistenza del rapporto tra antecedente ed evento Una volta verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l'accertamento di un'eventuale colpa, né l'accertamento di una eventuale responsabilità cd. speciale (con tutto quello che ne consegue in ordine all'inversione dell'onere probatorio). I giudici di legittimità hanno fatto tale accertamento in applicazione del principio della causa prossima di rilievo costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale, appunto, la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo. Invero, la dannosità del fumo costituisce da lunghissimo tempo dato di comune esperienza perché anche in Italia era conosciuta, dagli anni 70, la circostanza che l'inalazione da fumo fosse dannosa alla salute e provocasse il cancro . Campagne pubblicitarie promosse da organizzazioni non lucrative lanciarono in quegli anni moniti di qualche risonanza. La circostanza che il fumo nuoccia gravemente alla salute costituisce dunque, da lungo tempo, fatto notorio (App. Roma, sez. III, 21 gennaio 2014 n. 396; Trib. Roma, sez. XII, 4 aprile 2008, n. 7242; Trib. Roma, sez. II, 5 dicembre 2007, n. 23877), ancor prima dell'introduzione degli avvisi di legge (v. la pubblicità negativa sull'etichettatura del pacchetti di sigarette), con la conseguenza che il fumatore e, in caso di decesso, i suoi congiunti non possono dolersi dell'omessa informazione sul punto (sulla risarcibilità di tutti i danni eziologicamente collegati: Cass. civ., n. 22884/2007). Non è possibile, in altri termini, attribuire al produttore e distributore di sigarette la responsabilità per non aver provveduto a rendere noto con apposite informazioni la grave nocività del fumo e, dunque, i rischi che corre il fumatore per la propria salute, consentendogli di compiere scelte informate e responsabili sulla pratica del fumo (per quanto riguarda l'apposizione, sulla confezione del prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole, ovvero il segno descrittivo “light” sul pacchetto di sigarette, Cass. civ., n. 26517/2009). Pertanto, deve ritenersi che la circostanza che il fumo faccia male alla salute è un fatto socialmente notorio, anche se per ragioni culturali, sociali o di costume il vizio del fumo era più accettato. Ed anche a voler configurare una responsabilità ex artt. 2043 o 2050 c.c., in capo al produttore, si perverrebbe ugualmente ad escludere il nesso di causalità in applicazione del principio della causa prossima di rilievo, costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo. A maggior ragione in una fattispecie come quella in esame caratterizzata da abuso. Comportamento da ritenersi da solo sufficiente a determinarsi l'evento e ciò alla luce delle regole generali in tema di nesso di causalità poste dall'art. 41 c.p., comma 2: non può sostenersi che la nicotina annulli la capacità di autodeterminazione del soggetto, "costringendolo" a fumare, senza possibilità di smettere, dai due ai quattro pacchetti al giorno. Il comportamento del danneggiato diventa, quindi fatto idoneo a escludere in radice la sussistenza del nesso di causalità, posto che l'accertamento della responsabilità (anche a volerla qualificare in termini oggettivi non può prescindere dalla prova dell'apporto causale del fatto della vittima rispetto alla produzione del danno. Verificata la sussistenza del nesso di causalità tra il consumo abituale di sigarette e la patologia lamentata, tale nesso risulta interrotto dal fatto del danneggiato. Il comportamento del fumatore diventa causa da sola sufficiente a provocare l'evento, inserendosi come fattore determinante del suo verificarsi. Invece, la produzione e vendita di sigarette — pur costituendo un fatto antecedente, oggettivamente ricollegabile alla concretizzazione del pregiudizio —risultano prive del necessario nesso di causalità immediata e diretta rispetto al verificarsi del danno (Trib. Roma, 5 dicembre 2007). Secondo altro modello valutativo, posto che la produzione di sigarette, destinata alla commercializzazione di un prodotto dannoso per la salute, attribuisce al consumatore la possibilità di effettuare una scelta, il comportamento del fumatore può essere relegato a fatto colposo del danneggiato, che si inserisce nella sequenza causale incidendo sulla misura del risarcimento. Il consumo abituale di sigarette concretizzerebbe un elemento esterno della responsabilità oggettiva del produttore, al cui giudizio resta estranea la valutazione del fatto del danneggiato in sede di accertamento, per assumere dignità e rilevanza soltanto nel momento della quantificazione del danno (Cass. civ., n. 26516/2009). Pertanto, la condotta del fumatore è condizione senza la quale non si può verificare la tutela della salute individuale. Sul piano giuridico è quindi sostenibile la tesi che intravede nell'abuso l'esclusivo antecedente causale della morte: nel ventaglio di conseguenze patologiche negative, di norma, quella della morte è un'evenienza ricollegata ad un uso eccessivo. Il danno risarcibile presuppone il concreto accertamento del nesso causale) L'art. 1227 cpv c.c. presuppone la prova del nesso causale e della responsabilità civile, ma limita solo il danno risarcibile In conclusione, in tema di danni da fumo attivo, per la giurisprudenza nonostante possa esistere un nesso causale tra il consumo di sigarette e la malattia riscontrata nei fumatori, la nocività del fumo è nota all'intera società fin dagli anni '30. Di conseguenza i fumatori, iniziando e continuando a fumare, hanno accettato il rischio di tale condotta (App. Roma, 27 gennaio 2012; Trib. Roma, 11 aprile 2011; Trib. Roma, 28 gennaio 2009; Trib. Roma, 4 aprile 2008; Trib. Roma, 5 dicembre 2007; Trib. Brescia, 10 agosto 2005; Trib. Roma, 11 aprile 2005). Nella giurisprudenza di merito, però, non sono mancate pronunce che facendo applicazione dell'art. 1227 c.c., sono giunte al risultato di ripartire la responsabilità tra produttore e fumatore alla luce di considerazioni che attengono, sia al profilo del nesso di causalità, sia al tema dell'informazione che il primo è tenuto a trasmettere al secondo (Trib. Milano, 14 luglio 2014, n. 9235, che ha ritenuto applicabile l'art. 2050 c.c., con la conseguenza che era irrilevante il fatto che il fumatore avesse consumato il prodotto smodatamente, nonostante la conoscenza (o conoscibilità) del suo carattere nocivo).
Osservazioni
La questione della risarcibilità del danno da fumo pone la necessità di una rigorosa indagine sulla causalità, tenendo conto dei caratteri connotanti qualitativamente il rischio di danno connesso alla produzione e alla diffusione del prodotto da tabacco. Quanto alla colpa del consumatore, assume rilievo l'adeguatezza, per quantità e qualità, delle informazioni trasferite dal produttore, giacché da queste dipende l'esigibilità della conoscenza del rischio, da parte dello stesso consumatore, e, inoltre, poiché, sempre in base ad esse occorre determinare quali cautele è tenuto ad adottare, per evitare il danno. Soltanto ove la consapevolezza del difetto del prodotto sia piena e non generica, il risarcimento può essere escluso o ridotto: il danno deve essere imputabile in tutto od in parte allo stesso consumatore, per aver utilizzato in maniera impropria od abnorme il prodotto stesso nonostante la conoscenza del rischio. Tale conclusione è fondata anche con riguardo alla figura della consapevole assunzione del rischio che consente di escludere, il nesso di causalità. Orbene, la dettagliata disciplina legislativa in materia di etichettatura dei prodotti da fumo, con cui si è manifestato uno degli interventi pubblici sul fenomeno del tabagismo, influenza l'informazione dei consumatori, confidando in una riduzione considerevole del numero dei fumatori e del quantitativo di sigarette fumate per effetto dell'acquisizione della consapevolezza dei danni derivanti dal fumo (l. 29 dicembre 1990, n. 428, oggi abrogata e sostituita dal d.lgs. 24 giugno 2003, n. 184). L'imposizione dell'obbligo di informazione a carico delle imprese produttrici ha reso difficile l'onere probatorio a carico del fumatore in ordine alla negligenza del presunto danneggiante, all'inconsapevolezza nell'assunzione del rischio e al difetto di informazione. La previsione di avvertenze apposte sui pacchetti di sigarette esclude la rilevanza da parte del fumatore della mancata conoscenza e consapevolezza del carattere dannoso del fumo, esponendolo alla fondata eccezione, idonea al rigetto della sua pretesa risarcitoria, dell'accettazione del rischio per una cosciente e volontaria scelta di fumare particolarmente pericolosa, non necessaria e liberamente decisa (Trib. Roma, 4 aprile 2005). L'informazione idonea e completa ai consumatori sull'esistenza di un rischio incerto giuridicamente rilevante vale a riportare il rischio di insorgenza del pericolo al di sotto della soglia di ragionevole tollerabilità, in quanto è proprio il consumatore, reso edotto della dannosità del fumo, ad essere il soggetto maggiormente in grado di adottare le opportune misure di prevenzione. L'informazione, resa nelle forme prescritte dalla legge, determina l'autoresponsabilità del danneggiato, visto che le avvertenze non denunciano solo la semplice presenza di sostanze tossiche (la nicotina, appunto), ma anche i rischi che ne derivano. Nell'analisi della responsabilità dell'impresa produttrice, esclusa in radice dal pieno rispetto degli obblighi informativi, non solo mancherebbe l'antigiuridicità della condotta, ma l'attore danneggiato, che chiede una tutela risarcitoria per i danni riportati in conseguenza dell'uso di sigarette, incontra notevoli ostacoli in ordine al raggiungimento della prova del nesso causale. La principale difficoltà con cui si deve confrontare il fumatore riguarda la prova dell'esistenza e della consistenza del nesso causale tra il fumo di sigarette e il carcinoma diagnosticato, che è difficilmente assolta, benché la letteratura scientifica attesti la correlazione causale in termini di evidenza. Inoltre, la decisione di fumare, pur nella consapevolezza dei potenziali effetti nocivi, è espressione della libertà di scelta del fumatore, che conseguentemente è considerato responsabile dei danni auto-inferti. PIER GIUSEPPE MONATERI, Il "fumoso" problema del danno da fumo, in Resp. civ. e prev., 2005, 969; PIER GIUSEPPE MONATERI - Filippo Andrea Chiaves, Segnali di fumo: nuove conferme sull'insussistenza di nesso causale tra produzione di sigarette e danni al fumatore, in Resp. civ. e prev., 2008, 1868; ROBERTA MONTINARO, Il tormentato percorso della giurisprudenza sul tema dei danni da fumo attivo, in Resp. civ. e prev., 2015, 588; DANIELA SANTARPIA, Dalla cassazione la fumata nera: per il tabagista nessuna salvezza, nemmeno risarcitoria, in Resp. civ. e prev., 2015, 588. |