Reati tributari: ammesso il sequestro dell'abitazione a titolo principale del contribuente infedele

Ciro Santoriello
21 Aprile 2020

Il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell'art. 76 d.P.R. n. 602 del 1973 si riferisce solo alle espropriazioni da parte del Fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori ed inoltre non riguarda la "prima casa", ma "l'unico immobile di proprietà del debitore
Massima

Il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell'art. 76 d.P.R. n. 602 del 1973 - nel testo introdotto dall'art. 52, comma 1, lettera g), d.l. n. 69 del 2013 - si riferisce solo alle espropriazioni da parte del Fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori ed inoltre non riguarda la "prima casa", ma "l'unico immobile di proprietà del debitore.

Il caso

In sede cautelare, veniva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, di un'abitazione di un soggetto accusato del reato di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000. Il sequestro era confermato in sede di riesame avverso la quale ordinanza era proposto l'indagato ricorso per cassazione.

Per quanto di interesse in questa sede, lamentava la circostanza che l‘immobile oggetto del provvedimento ablatorio rappresentasse la sua “prima casa” in base a quanto documentato con copia del rogito di acquisto e con le dichiarazioni di legge e quindi dovesse ritenersi sottratto a provvedimenti di tal fatta. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, tali immobili non potevano essere sottoposti a confisca, per il disposto dell'art. 52 del d.l. n. 69 del 2013, come sostanzialmente affermato in precedenza dalla stessa Corte di cassazione con decisioni con cui i giudici di merito non si erano affatto confrontati.

La questione

Sul tema della confisca della abitazione del contribuente infedele, accusato di illeciti fiscali, la Cassazione è intervenuta in più occasioni, sempre per escludere la possibilità.

La materia è disciplinata dall'art. 52 comma 1, lettera g) del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, che ha modificato il comma 1, lettera a), dell'art. 76 (Espropriazione immobiliare) del d.P.R. n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), inserito nella sezione IV (Disposizioni particolari in materia di espropriazione immobiliare) di tale testo normativo, nei seguenti termini: «Ferma la facoltà di intervento ai sensi dell'art. 499 del codice di procedura civile, l'agente della riscossione: a) non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente».

Secondo la giurisprudenza, prima della decisione in commento, l'art. 52 (in particolare, comma 1, lettera g) del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013 segnerebbe un principio di impignorabilità assoluta della cd. prima casa del soggetto debitore verso l'erario (Cass., sez. III, 5 luglio 2016, n. 3011, con commento di D'ALTILIA in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2017, 330 e, sia pur in forma decisamente più dubitativa, Cass., sez. III, 15 gennaio 2018, n. 22581), in quanto che il principio dell'impignorabilità della prima casa deve valere – al pari di quanto si è ritenuto con riferimento al sequestro preventivo ed ai pignoramenti della retribuzione del debitore – anche nel processo penale, nel cui ambito altrimenti verrebbe aggirata la disposizione posta a tutela del diritto costituzionale di abitazione.

A tale conclusione la Cassazione è pervenuta evidenziando come la prevista non confiscabilità della prima casa risponda alla medesima ratio che ammette il pignoramento del solo quinto delle retribuzioni spettanti al debitore sicché come si è affermato che «in tema di sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente ex art. 322-ter cod. pen., deve riconoscersi valore di regola generale dell'ordinamento processuale al divieto di sequestro e pignoramento di trattamenti retributivi, pensionistici ed assistenziali in misura eccedente un quinto del loro importo al netto delle ritenute, stante la riconducibilità dei predetti trattamenti - nella residua misura dei quattro quinti del loro importo netto - nell'area dei diritti inalienabili della persona, tutelati dall'art. 2 della Costituzione» (Cass., sez. II, 16 aprile 2015, n. 15795), non vi è ragione per non pervenire ad analoga conclusione anche con riferimento alla confisca della prima casa.

In senso contrario, e conforme alla pronuncia in commento, si è pronunciata solo una decisione – poco argomentata – in cui si è sostenuto che il principio della impignorabilità della prima casa è riferibile esclusivamente all'azione di riscossione coattiva dell'Amministrazione finanziaria, non operando di contro in ambito penalistico, sì da escluderne l'applicazione nell'ambito del processo penale essendo quindi possibile per l'autorità giudiziaria disporre, prima il sequestro e poi la confisca per equivalente, dell'abitazione dell'indagato (Cass., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 7359).

In ambito civilistico (su cui FRONTICELLI, Applicazione "retroattiva" della norma processuale che esclude il pignoramento sulla prima casa, in Fisco, 2014, 3773; CARINCI, La Cassazione estende l'impignorabilità della prima casa anche alle procedure in corso, in Corr. Trib., 2014, 3526), si ricorda che qualora il processo esecutivo sia ancora pendente alla data di entrata in vigore (21 agosto 2013) dell'art. 52 citato, ove l'espropriazione abbia ad oggetto l'unico immobile di proprietà del debitore, non di lusso e destinato a sua abitazione, con fissazione della residenza anagrafica, l'azione esecutiva diviene improcedibile, sicché va disposta la cancellazione della trascrizione del pignoramento e l'opposizione all'esecuzione in ordine alla pignorabilità del bene si estingue per cessazione della materia del contendere (Cass. Civ., sez. III, 12 settembre 2014, n. 19270, in Mass. Uff., n. 632019).

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato per infondatezza.

Secondo la Cassazione, il citato art. 52 comma 1, lettera g) del d.l. n. 69 del 2013, che sancirebbe, nella prospettazione difensiva, l'impignorabilità della "prima casa" del contribuente indagato in sede penale, non può trovare applicazione nel caso in esame.

Secondo la Cassazione, infatti, la disposizione suddetta non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo; in particolare, non sarebbe dato di discutere della applicazione della norma in questione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l'oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco ed i due concetti devono essere tenuti distinti, perché il profitto di delitti consistenti nell'evasione dell'imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende né le sanzioni dovute a seguito dell'accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione, né gli interessi maturati in favore dello Stato, mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell'originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni.

Ciò posto, la decisione in commento si confronta con i citati precedenti che avevano asserito un principio esattamente opposto, cercando di dimostrarne l'erroneità. In proposito, viene in esame la sentenza n. 22581 del 2019 (in senso analogo, però, si veda anche Cass., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 3011) la quale ha escluso l'applicazione del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, dell'abitazione di soggetto indagato per il delitto di cui all'art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, commesso mediante l'alienazione simulata del cespite immobiliare.

Secondo la decisione in commento il richiamo alla pronuncia n. 22581 sarebbe inconferente in quanto il principio espresso in quest'ultima sentenza potrebbe trovare applicazione solo con riferimento all'ipotesi in cui il reato fiscale per cui si procede è quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, commesso mediante l'alienazione simulata dell'immobile di proprietà del contribuente. Infatti, il reato di cui all'art. 11 d.lg. n. 74 del 2000 è reato di pericolo concreto ed esige, pertanto, che la condotta sia idonea a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva: chiaro che se la condotta di alienazione simulata ha ad oggetti beni – come la “prima casa” – che non possono essere oggetto di aggressione da parte dell'Erario la condotta di alienazione simulata dell'immobile non mette in pericolo l'efficacia della procedura di riscossione la quale, giàex ante non avrebbe potuto avere ad oggetto, per mancanza dei relativi presupposti normativi, il bene interessato dalla condotta fraudolenta del contribuente. In sostanza, come si legge nella decisione n. 22581, «consentire la confisca diretta di un bene che non può più essere oggetto di espropriazione immobiliare e che dunque non costituisce più profitto del reato, equivale a consentire in modo surrettizio quel che il legislatore espressamente esclude», perché la confisca costituirebbe, «di fatto, una misura inutilmente punitiva e ingiustamente afflittiva che si aggiungerebbe alla pena principale prevista per il reato, trasformandosi in una vera e propria confisca di valore».

Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ritiene che il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell'art. 76 del d.P.R. n. 602 del 1973 - nel testo introdotto dall'art. 52, comma 1, lettera g), del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013 - si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori. Inoltre, il limite non riguarda la "prima casa", ma "l'unico immobile di proprietà del debitore e non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, né al sequestro preventivo ad essa preordinato.

Osservazioni

La decisione della Cassazione lascia perplessi o comunque non ci pare adeguatamente supportare il principio di cui alla massima ovvero la non rilevanza, in sede di processo penale, del principio di impignorabilità espresso dal più volte citato art. 52 d.l. n. 69 del 2013.

Non particolarmente rilevante in proposito ci pare l'osservazione, pur corretta sotto il profilo della formulazione letterale della disposizione normativa di cui al citato art. 52, secondo cui il limite posto dal legislatore all'espropriazione immobiliare non riguarda la "prima casa", ma "l'unico immobile di proprietà del debitore". Si tratta sicuramente di un concetto evidentemente diverso da quello di "prima casa", perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento, tuttavia da tale considerazione non deriva certo la conclusione che l'unico immobile di proprietà del debitore – sia esso denominato o meno come “prima casa” – sia confiscabile in caso di commissione di uno dei reati di cui al d.lg. n. 74 del 2000; semplicemente, deve ritenersi che, per invocare l'applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore non può limitarsi a prospettare che l'immobile pignorato è la sua "prima casa", perché una tale prospettazione non esclude di per sé che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili, per cui vogliono contestare la confisca o il sequestro di un proprio immobile alla luce della disciplina in tema di espropriazione immobiliare dovranno dimostrare di non essere proprietari di altri immobili rispetto a quello oggetto del provvedimento ablatorio.

Analogamente non decisiva ci pare la circostanza, su cui insiste molto la decisione, della differenza fra il credito dell'erario – rispetto al quale non potrebbe procedersi al pignoramento dell'unico immobile di proprietà del contribuente – ed il debito dell'indagato per reati fiscali, il quale sarebbe rappresentato dal profitto ricavato dal delitto. Secondo la decisione, la diversità fra i due debiti sarebbe rappresentata dal fatto che il profitto del reato (che deve essere oggetto della confisca) corrisponde solo all'importo dell'imposta evasa (trattasi di orientamento recente ed innovativo: Cass., sez. III, 9 ottobre 2019 (dep. 2020), n 166), mentre il debito verso l'erario ricomprende, oltre all'imposta evasa, anche gli interessi e le sanzioni dovute a seguito dell'accertamento del debito: ciò significa che quando, in ambito penale, viene sequestrato l'immobile del contribuente infedele (sia o meno l'unico di cui lo stesso dispone) non si agisce per andare a satisfare le ragioni creditorie del Fisco (tant'è che non vengono considerati, nel debito del privato, interessi e le sanzioni dovute all'erario), ma si agisce solo per privare il responsabile dell'illecito del profitto ottenuto con la commissione del reato.

Questa ricostruzione è condivisibile e corretta, solo che essa non replica alla principale ragione per cui si ritiene impignorabile l'abitazione – unica – del contribuente e cioè la tutela del diritto costituzionale di abitazione. Come dichiarato in altre decisioni, il principio di impignorabilità della abitazione del singolo – come di altri valori facenti capo allo stesso, quali i trattamenti retributivi, pensionistici ed assistenziali in misura eccedente un quinto del loro importo al netto delle ritenute – si giustifica nell'ottica di protezione ed intangibilità dei diritti inalienabili della persona, tutelati dall'art. 2 della Costituzione (Cass., sez. II, 16 aprile 2015, n. 15795).

Rispetto a queste osservazioni la decisione in commento non replica alcunché e non spiega perché tale principio, la cui rilevanza ci pare innegabile, non dovrebbe valere quando proceda in sede penale. Si tenga presente, infatti, che quando si procede a confisca dell'immobile a seguito della commissione di un illecito fiscale, la misura ablatoria non ha ad oggetto in via diretta il profitto del delitto ma ha natura di misura equivalente ovvero si priva il soggetto di un bene avente valore equivalente al profitto che egli ha tratto dal reato, profitto che a sua volta è equivalente al valore del debito che il contribuente aveva verso il Fisco e che non ha versato; in buona sostanza, la confisca per equivalente non è altro che un modo per realizzare, in modo coattivo e solo in parte (non essendo considerati gli interessi e le sanzioni), le ragioni del Fisco, ma se gli interessi dell'Erario non possono essere soddisfatte a mezzo di espropriazione della prima casa del contribuente non si comprende perciò sarebbe possibile quando si proceda in ambito penale.

Forse, più convincente sarebbe stato motivare la non applicabilità dell'art. 52 comma 1, lettera g) del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, che ha modificato il comma 1, lettera a), dell'art. 76 (Espropriazione immobiliare) del d.P.R. n. 602 del 1973 nell'ambito del giudizio penale per reati fiscali argomentando non con riferimento alla diversità fra debito verso l'erario e confisca del profitto, ma richiamando la circostanza che la confisca per equivalente prevista dall'art. 12-bis d.lg. n. 74 del 2000 è una sanzione prevista per i reati di cui al d.lg. n. 74 del 2000, sicché l'esecuzione di tale pena si sottrae ai limiti previsti, con riferimento all'adempimento delle obbligazioni verso l'Erario.

Conclusioni

Da ultimo, va sottolineato come la decisione in commento, pur innovando rispetto ai precedenti in tema di impignorabilità dell'unico immobile di proprietà del contribuente, non pare contraddire il principio (espresso da Cass., sez. III, 5 luglio 2016, n. 3011) secondo cui non è confiscabile (o sequestrabile) la “prima casa” del contribuente in caso di contestazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte realizzato a mezzo di cessione simulata dell'unico immobile di cui il contribuente è proprietario. Infatti, in questo caso si deve escludere che la condotta contestata sia idonea a rendere inefficace la procedura esecutiva e non si può consentire la confisca diretta di un bene che non può più essere oggetto di espropriazione immobiliare e che dunque non costituisce più profitto del reato.

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