Per ottenere il permesso in sanatoria occorre sempre la doppia conformità
04 Settembre 2020
Massima
L'esigenza di tutela della speditezza dell'azione amministrativa sussiste anche con riferimento al permesso di costruire in sanatoria, al fine di contenere l'impatto di opere abusive sul tessuto edilizio e ambientale e sul decoro urbano, il quale può legittimamente introdurre o prescrizioni intese ad imporre correttivi sull'esistente o a mitigare l'impatto paesaggistico del manufatto, qualora si tratti di integrazioni minime o, comunque, tali da agevolare una sanatoria altrimenti non rilasciabile. Il caso
Il soggetto X ricorreva dinanzi al T.A.R. territorialmente competente chiedendo, in via principale, l'annullamento del permesso in sanatoria rilasciato dal Comune Y, limitatamente alla parte in cui si disponeva la rimozione di una scala in alluminio che - come deciso nel provvedimento - avrebbe potuto essere installata al momento d'uso sugli appoggi predisposti. Contestualmente il ricorrente chiedeva l'annullamento dell'ordinanza di demolizione di opere abusive adottata dallo stesso Comune, in quanto mai notificata al ricorrente e da questi conosciuta solo in periodo successivo. In subordine, X ne chiedeva la dichiarazione di inefficacia/nullità/inammissibilità poiché implicitamente revocata dal successivo permesso in sanatoria. Quanto ai motivi fondanti dell'azione il ricorrente lamentava che l'Ente comunale aveva violato tanto l'art. 36 del T.U.E., commettendo eccesso di potere per vari profili, quanto gli artt. 6, comma 2, e 31, comma 2 T.U.E. nonché art. 1102 c.c. Al giudizio partecipava anche il soggetto Z, in veste di controinteressato alla controversia. Si costituiva il Comune Y che, nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso, mentre il secondo convenuto chiedeva parimenti il rigetto del ricorso, spiegando ricorso incidentale con il quale domandava l'annullamento del permesso in sanatoria nella parte in cui lo stesso non aveva costituito diniego alla costruzione di una qualsivoglia scala presso l'immobile di sua proprietà. Entrambi i convenuti, inoltre, sollevavano eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente alla presentazione dell'istanza di sanatoria, essendo lo stesso comproprietario del muro perimetrale sul quale era stata collocata la scala, il che avrebbe richiesto l'acquisizione del preventivo consenso dell'altro comproprietario. Respinte in rito le eccezioni di inammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio, il T.A.R. accoglieva il ricorso, respingeva il ricorso incidentale e compensava le spese di lite. La questione
La problematica che ha costituito oggetto della controversia - risoltasi in favore del ricorrente - concerne sostanzialmente i limiti che l'autorità amministrativa, nell'accertamento della sussistenza della doppia conformità in sede di rilascio di permesso di costruire in sanatoria di opera abusiva, deve rispettare. Per altro verso, il T.A.R. della Puglia ha ribadito quale sia il soggetto legittimato a depositare l'istanza di sanatoria. Le soluzioni giuridiche
Il giudice amministrativo pugliese ha, in primo luogo, individuato un palese contrasto negli atti del Comune il quale, da un lato, aveva rilasciato il premesso di costruire in sanatoria per una serie di interventi, ivi compresa l'installazione della scala in alluminio e, dall'altro, aveva stabilito che la stessa scala doveva essere rimossa e, all'occorrenza, riposizionata (rectius “installata”) in loco. Non era dato comprendere, quindi, se detta scala costituiva o meno un abuso: da qui l'atto impugnato non poteva che essere affetto da intrinseca contraddittorietà. Per quanto concerne l'asserita violazione da parte del Comune dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (accertamento di conformità), il T.A.R. ha richiamato l'orientamento della giustizia amministrativa (Cons.Stato, sez. VI, 9 novembre 2018, n. 6327), secondo il quale all'Ente territoriale, per rispettare il principio della doppia conformità, è consentito apportare alla richiesta del permesso di costruire in sanatoria solo le integrazioni minime necessarie per contenere l'impatto di opere abusive sul tessuto edilizio, ambientale e sul decoro architettonico. Trattasi, quindi, di correttivi sull'esistente che abbiano lo scopo di consentire una sanatoria altrimenti non rilasciabile. Nella fattispecie, invece, il Comune assumendo una prescrizione di carattere ablatorio (rimozione della scala in alluminio) non aveva modificato in termini irrilevanti la situazione esistente ma aveva dato un ordine che incideva in modo totalitario sull'oggetto specifico della domanda di accertamento di conformità, privata del suo fondamento. Nel rigettare, poi, l'eccezione di carenza di legittimazione attiva del ricorrente per essere comproprietario alla presentazione dell'istanza in parola, il T.A.R. ha escluso che la domanda richieda la necessaria sottoscrizione di tutti i soggetti titolati, a meno che non vi sia la rivendicazione di un danno da parte di qualcuno degli stessi.
Osservazioni
L'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 prevede che al fine di ottenere il permesso in sanatoria per un intervento realizzato in assenza di permesso di costruire o in difformità dall'eventuale titolo amministrativo è necessario che l'opera risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento di realizzazione della stessa, sia al momento della presentazione della domanda. Si parla, nella specie, di “doppia conformità” dell'opera abusiva e la norma sul punto è strettamente rigorosa, poiché, ai fini del rilascio del provvedimento amministrativo, è necessaria la sussistenza di entrambe le condizioni. E non potrebbe essere diversamente solo se si consideri la ratio ispiratrice dell'art. 36, che è quella di tutelare al massimo il territorio da abusivismi edilizi attraverso un'azione preventiva e fortemente deterrente verso i comportamenti illegittimi dei cittadini (Corte Cost., 27 febbraio 2013, n. 101). Da escludere, pertanto, letture ed interpretazioni diverse della disposizione e tali da consentire che un'opera, in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua effettuazione, risulti con essa conforme solo al momento del deposito dell'istanza per l'accertamento di conformità. Sul punto, l'orientamento della giurisprudenza amministrativa è pacifico nell'affermare che la c.d. doppia conformità costituisce un requisito dal quale non si può prescindere ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d. sanatoria giurisprudenziale - consistente nel rilascio del titolo edilizio sulla base della sola conformità dell'opera abusiva rispetto alla pianificazione urbanistica vigente - si pone come un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che, pertanto, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell'azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall'Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere di attribuzioni riservate all'Amministrazione (Cons. Stato., sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194; Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 2018, n. 2155). Nella sostanza, il giudice amministrativo può solo annullare l'atto illegittimo dell'Ente territoriale, ma non può sostituire ad esso un nuovo provvedimento. Ancora più di recente, sempre il massimo consesso amministrativo (Cons.Stato, sez. VI, 18 febbraio 2020, n. 1240) ha ribadito che la sanatoria giurisprudenziale non trova fondamento alcuno nell'ordinamento positivo, contrassegnato, invece, dai principi di legalità dell'azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione di quello di separazione dei poteri e l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione. Vale la pena ancora rilevare, con riferimento alla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 6327/2018, che l'apposizione di prescrizioni ad un provvedimento abilitativo, come nel caso di permesso di costruire in sanatoria (si è anche parlato di “condizione”, anche se è una vera e propria prescrizione) rappresenta un mezzo che consente all'Amministrazione di subordinare gli effetti positivi del proprio provvedimento al verificarsi di un evento riconducibile alla condotta del richiedente e che è indispensabile per una valutazione positiva della questione posta al suo esame. Il provvedimento eventualmente positivo, infatti, si potrà tradurre in una decisione negativa alla mancata verificazione della prescrizione apposta. L'esigenza di speditezza dell'azione amministrativa richiamata dal Consiglio di Stato, inoltre, si configura nel fatto che in assenza di tali prescrizioni correttive sullo stato esistente, l'istanza del privato verrebbe respinta con provvedimento motivato senza impedire al medesimo di ripresentare il progetto con le modifiche indicate dalla stessa Amministrazione, aprendo un nuovo iter procedimentale. Tornando al caso concreto, il T.A.R. ha definito il provvedimento amministrativo, che aveva ordinato la rimozione della scala in alluminio, salva la concessione di un suo uso in appoggio, contraddittorio e come tale contrario al principio della c.d. doppia conformità. Almeno, questa è l'interpretazione che sembra essere la più aderente alle riflessioni contenute nella sentenza: “….o la scala era assentibile ab initio…..oppure non lo era, ma in tal caso l'istanza andava rigettata per assenza del requisito della doppia conformità”. A ciò si aggiunga che con tale atto, in sé chiaramente contrastante, il Comune aveva licenziato un'opera, la scala di alluminio mobile, che rappresentava un manufatto completamente differente da quello per il quale era stata presentata la domanda in sanatoria. Per quanto concerne, infine, la questione sollevata in merito alla legittimazione ai fini della presentazione della domanda di sanatoria, è stato osservato che, con l'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, il legislatore ha voluto ricomprendere la legittimazione a chiedere la sanatoria in capo a più soggetti che, astrattamente, possono aver concorso a realizzare l'abuso, fermo restando che non tutti, indifferenziatamente, possono richiedere, senza il consenso dell'effettivo titolare del bene sul quale insistono le opere (il quale potrebbe essere completamente estraneo all'abuso ed avere anzi un interesse contrario alla sua sanatoria), una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso (Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2019, n. 7305). Principio ribadito ancora di recente proprio con riferimento al comproprietario di un immobile il quale potrà essere legittimato alla presentazione della domanda solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l'esistenza di una sorta di c.d. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (Cons. Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1766; Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823). Il T.A.R. della Puglia sembra essersi discostato da tale ultimo orientamento. Tamburro, Il conduttore è legittimato a chiedere la sanatoria edilizia?, in Arch. loc. e cond., 2019, 477; Sementilli, Declino e continuità della c.d. “sanatoria giurisprudenziale”: il ruolo dei principi, in Riv. giur. edil., 2018, I, 170; Saitta, Permesso di costruire in sanatoria: la “doppia conformità” come principio fondamentale, in Giur. costit., 2017, 2359; Landolfi, La legittimazione a chiedere il permesso di costruire, in Immob. & proprietà, 2005, 24; Berra, Brevi note sulla legittimazione attiva all'ottenimento del titolo edificatorio alla luce della casistica giurisprudenziale, in Riv. giur. edil., 2004, I, 959. |