L'installazione dell'autoclave nel sottoscala condominiale costituisce innovazione
02 Dicembre 2020
Massima
Sono innovazioni quelle opere che mutano la destinazione originaria comportando che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti. Ne consegue che serve una maggioranza qualificata se l'installazione di un'autoclave nel sottoscala condominiale determina un'alterazione dell'uso comune. Il caso
L'attore citava in giudizio il Condominio, impugnando la delibera assembleare con la quale era stata approvata l'installazione nel sottoscala delle vasche di raccolta dell'acqua potabile e dell'impianto autoclave, nonché l'esecuzione di alcuni lavori di ripristino e manutenzione, con esclusione dei muri di contenimento costituenti anche le pareti del box-garage dell'attore. In particolare, il condomino eccepiva l'omesso raggiungimento del quorum ex art. 1136, comma 5, c.c. ritenendo trattarsi di una delibera ex art. 1120, comma 1, c.c. avendo l'assemblea disposto innovazioni delle cose comuni. Costituendosi in giudizio, il Condominio eccepiva la carenza di legittimazione del condomino. La questione
La questione in esame è la seguente: costituisce innovazione l'installazione di un impianto di autoclave nel sottoscala condominiale? Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, il Tribunale adìto confermava la legittimazione attiva dell'attore all'impugnazione della delibera perché assente all'assemblea. Quanto al merito della vicenda, a seguito dell'istruttoria di causa, era emerso che lo spostamento dell'impianto autoclave aveva effettivamente alterato l'uso ordinario tanto del locale tecnico quanto del vano sottoscala (allo stato solo in parte utilizzato per analogo scopo), mutando così la destinazione di suddetti locali; di conseguenza, questi locali non potevano essere utilizzati dai condomini per le stesse finalità. Pertanto, a parere del giudice, risultavano integrate delle innovazioni in senso tecnico-giuridico (ossia le innovazioni di cui tratta l'art. 1120 c.c.) superando il limite delle mere modificazioni ex art. 1102 c.c. le quali mirano solo a potenziare (o a rendere più comodo) il godimento della cosa comune, ma ne lasciano immutata la destinazione. A riprova di ciò, conformemente all'orientamento giurisprudenziale in materia, il giudice etneo ha evidenziato che, in tema di condominio, per innovazioni, devono intendersi, tra l'altro, le modifiche che, determinando il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere seguite, vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2006, n. 12654). In virtù di quanto sopra esposto, dunque, non trovava applicazione la regola generale della maggioranza ordinaria ex art. 1136, comma 3, c.c. secondo cui l'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al Condominio, bensì la maggioranza qualificata ex art. 1136, comma 5, c.c. che richiede un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio. Nella fattispecie, secondo quanto documentato in atti, erano intervenuti 5 condomini su 9 rappresentati più della metà del valore dell'edificio (mill. 650,13), ma non i due terzi, anche se la delibera era stata approvata all'unanimità degli intervenuti. In conclusione, per le ragioni esposte, la delibera assembleare è stata annullata. Osservazioni
La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni generali in merito alle innovazioni e all'installazione di un'autoclave nel condominio. In tema, alcuni autori hanno osservato che dal punto di vista oggettivo, in materia di innovazioni, vi rientrano solo quelle modifiche che, eccedendo i limiti della conservazione e dell'ordinaria amministrazione della cosa comune, importino l'alterazione totale o parziale della res, di modo che le parti comuni, in seguito alle opere o alle attività eseguite, presentino una diversa entità materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini differenti dai precedenti; quanto all'aspetto soggettivo, invece, il facere innovativo che contraddistingue l'innovazione è rappresentato dall'interesse collettivo ad essa rivolto dalla maggioranza qualificata dei condomini, con la conseguenza che, qualora la nuova opera non corrisponda all'interesse del complesso dei partecipanti al condominio e sia soltanto il frutto della volontà di taluni comproprietari - che agiscano nel proprio esclusivo interesse personale - si ricade piuttosto nel concetto di uso della cosa comune. Pertanto, possiamo affermare che mentre le mere modificazioni si traducono in un'attività posta in essere sulla cosa comune, che non sia tale da mutarne la consistenza o la funzione, le innovazioni, invece, presuppongono un intervento incidente sulla sostanza della cosa o sulla sua destinazione. Per meglio dire: a) le mere modificazioni (art. 1102 c.c.) non sono costituite da opere di trasformazione che influiscono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione o destinazione, ma si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa. Facoltà che incontrano i limiti indicati nel richiamato art. 1102 c.c. come il divieto di alterarne la destinazione e di impedirne il pari uso agli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2012, n. 18052); b) le innovazioni in senso tecnico-giuridico (art. 1120 c.c.), invece, non costituiscono un qualsiasi mutamento della cosa comune, ma esclusivamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2006, n. 12654). Premesso quanto esposto, a questo punto, occorre chiedersi quando l'autoclave costituisce innovazione o mera modificazione. Secondo un orientamento, l'installazione (utile a tutti i condomini tranne uno) di un'autoclave nel cortile condominiale, con minima occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c. - prevedente il divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino - atteso che il concetto di “inservibilità” espresso nel citato articolo va interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1998, n. 10445). In particolare, l'installazione di un'autoclave non cambia né la consistenza né la destinazione dell'impianto idrico comune, ma lo modifica con l'aggiunta di un apparecchio che consente all'acqua, in caso di pressione insufficiente, di raggiungere i piani alti (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1989, n. 2746: nella specie, in base al suddetto principio, è stata ritenuta corretta la decisione del giudice del merito che aveva ritenuto non costituire innovazione l'installazione, ad opera di due condomini, di un'autoclave, predisposta per l'utilizzazione da parte di tutti gli altri condomini e collocata in una parte non altrimenti utilizzabile dell'androne comune dell'edificio). Ed ancora, in giurisprudenza di merito, è stato evidenziato che l'occupazione di parte del cortile e la realizzazione di alcuni serbatoi d'acqua muniti di autoclave nell'esclusivo interesse di alcuni condomini non costituisce innovazione vietata, non determinando di per sé un'alterazione dell'entità sostanziale o della destinazione della cosa comune (Trib. Cagliari 27 dicembre 1993). Secondo altro orientamento, invece, è operante il divieto contenuto nell'art. 1120 c.c. nel caso in cui venga costruito nel cortile comune una autoclave per il servizio di una singola unità abitativa, poiché ciò comporta la sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione e all'uso e godimento degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911). Ebbene, i citati orientamenti ci permettono di capire (ancora una volta) le difficoltà pratiche a seconda della tipologia di impianto: uso comune o uso privato. Rispetto a tali considerazioni, però, la pronuncia del Tribunale di Catania offre ulteriori elementi utili alla discussione. Difatti, dall'analisi della questione in oggetto, era emerso che l'installazione dell'autoclave nel sottoscala del Condominio costituiva a tutti gli effetti un'innovazione in senso tecnico superando il limite delle mere modificazioni ex art. 1102 c.c.: con tale impianto, il sottoscala aveva perso la sua funzionalità originaria; dunque, un utilizzo diverso da quello precedente. Quindi, in conclusione, in tema di installazione di autoclave in condominio, in base al caso specifico, spetta all'interprete affermare se tale opera costituisce o meno innovazione; soluzione non di poco conto, atteso che, in base alla corretta qualificazione giuridica del manufatto, di conseguenza, sarà applicabile la rispettiva maggioranza richiesta dalla legge. |