Leasing traslativo tra risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore e successivo fallimento di quest'ultimo

24 Febbraio 2021

Le Sezioni Unite - fatte alcune doverose premesse di ordine generale sull'attività interpretativa rimessa al giudice (anche nella sua declinazione c.d. storico-evolutiva), sul procedimento ermeneutico analogico, sul principio di irretroattività della legge, e sulla tutela del legittimo affidamento nella certezza del diritto - non hanno ritenuto di dare seguito all'orientamento giurisprudenziale più recente, affermando, invece, che debba assicurarsi continuità al diritto vivente di risalente formazione - ma ribadito anche da pronunce successive a quella portatrice di overruling - che ha costantemente tratto dall'art. 1526 c.c., in forza dell'interpretazione analogica, la disciplina atta a regolare gli effetti della risoluzione per inadempimento di contratto di leasing immobiliare traslativo verificatasi prima dell'entrata in vigore della l. n. 124/2017 e del fallimento dell'utilizzatore resosi inadempiente.
Massima

La l. n. 124/2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l'inadempimento dell'utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore, sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell'utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest'ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all'art. 1526 c.c. e non quella dettata dall'art. 72-quater I. fall., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all'analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad un'applicazione retroattiva della l. n. 124/2017.

Il caso

La causa - poi decisa dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento - originava dalla domanda proposta da una Società, deducendo: a) che aveva concesso in locazione finanziaria ad altra Società un capannone industriale; b) che il contratto era venuto a scadere nel maggio 2014, e la società utilizzatrice non aveva esercitato il diritto di opzione, né corrisposto le ultime rate dovute in base al programma contrattuale; c) che la concedente aveva chiesto, a norma della clausola risolutiva contenuta nel contratto di leasing, il pagamento delle rate insolute e, successivamente, aveva ottenuto l'emissione di decreto ingiuntivo per il relativo importo; d) che l'utilizzatrice era stata veniva dichiarata fallita nel maggio 2016, sicché l'attrice, oltre a rivendicare il bene immobile concesso in leasing, aveva chiesto l'insinuazione al passivo fallimentare per un importo pari ai canoni scaduti e non pagati (oltre il residuo per interessi moratori).

L'istanza all'ammissione del credito per rate insolute veniva rigettata dal giudice delegato, sul rilievo fondante che, essendosi risolto il rapporto prima della dichiarazione di fallimento, doveva ritenersi applicabile l'art. 1526 c.c., in forza del quale al concedente era dovuto soltanto “un equo compenso per l'uso della cosa” (nella specie, non ritualmente domandato); peraltro, avendo l'utilizzatrice versato, nel corso del rapporto, un ammontare ben superiore a quello corrispondente all'equo compenso calcolato, il giudice delegato aveva ordinato alla concedente di restituire alla curatela fallimentare la (sola) differenza.

La concedente faceva opposizione, ai sensi dell'art. 98 del r.d. n. 267/1942 - di seguito, I. fall. - allo stato passivo reso esecutivo, chiedendo, in via principale, l'ammissione del proprio credito per l'importo di cui sopra.

L'adìto Tribunale rigettava l'opposizione, osservando: a) che, con la missiva del luglio 2014, precedente alla dichiarazione di fallimento dell'utilizzatrice, la concedente aveva manifestato di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa presente nel contratto di leasing; b) che, il contratto si era, quindi, risolto di diritto, ai sensi dell'art. 1456, comma 2, c.c.; c) che gli effetti dell'intervenuta risoluzione del contratto, da qualificarsi come di leasing traslativo, dovevano essere disciplinati dall'art. 1526 c.c., potendo, quindi, il concedente pretendere soltanto l'equo compenso previsto da tale norma; d) che non poteva, pertanto, trovare accoglimento la domanda di insinuazione al passivo del credito per i canoni rimasti insoluti, ossia per l'“esatto adempimento dell'obbligazione contrattuale”, né quella, solo tardivamente (e, quindi inammissibilmente) proposta, avente ad oggetto il pagamento dell'equo compenso.

La questione

La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite, al fine di risolvere due questioni di massima di particolare importanza, entrambe gravitanti intorno alla perdurante applicabilità dell'art. 1526 c.c. ai contratti di leasing risolti prima dell'entrata in vigore della l. n. 124/2017, e riassumibili - in estrema sintesi - nella possibilità, o meno, di predicare l'applicazione analogica di una norma sopravvenuta rispetto alla fattispecie concreta che dovrebbe disciplinare.

Nello specifico, la società concedente sosteneva che, a seguito della tipizzazione del contratto di leasing ad opera della l. n. 124/2017 (art. 1, commi 136-140) - all'esito di un percorso normativo iniziato proprio con l'introduzione, nel 2006, dell'art. 72-quater I. fall., proseguito con l'art. 169-bis I. fall. in tema di concordato preventivo dell'utilizzatore e con la l. n. 208/2015 in materia di locazione finanziaria di immobili adibiti ad uso abitativo - sarebbe venuta meno la distinzione tra leasing traslativo e di godimento, essendo stata ascritta al contratto una disciplina unitaria, la quale, a differenza di quanto previsto dall'art. 1526 c.c., consentiva al concedente di pretendere dall'utilizzatore non già un equo compenso, ma di trattenere i canoni pagati, pretendere il pagamento di quelli scaduti e non pagati, ed esigere quelli ancora da scadere, più il prezzo di opzione.

Il superamento della tradizionale anzidetta distinzione comporta - a dire della ricorrente - che gli effetti della risoluzione di un contratto non soggetto, ratione temporis, alla l. n. 124/2017 dovrebbero trovare la propria disciplina di riferimento in quella dettata dall'art. 72-quater I. fall., quale norma da applicare in via analogica in luogo del non più richiamabile, analogicamente, art. 1526 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Al riguardo, si era formato diritto vivente sulla distinzione, in seno al contratto di leasing finanziario (o locazione finanziaria), tra leasing di godimento - in cui il rapporto ha essenzialmente una funzione di finanziamento a scopo, per l'appunto, di godimento e, quindi, con una previsione dei canoni su base eminentemente corrispettiva di tale scopo, essendo marginale ed accessoria la pattuizione relativa al trasferimento del bene alla scadenza dietro pagamento del prezzo d'opzione - e leasing traslativo - in cui il rapporto è indirizzato anche al trasferimento del bene, in ragione di un apprezzabile valore residuo di esso al momento della scadenza contrattuale, notevolmente superiore al prezzo d'opzione, mostrando i canoni anche la consistenza di corrispettivo del trasferimento medesimo - e dell'affermata diversità di regole applicabili all'una o all'altra fattispecie negoziale, avendo gli ermellini ribadito, per circa un trentennio, in modo affatto costante e coeso - a partire dalle coeve Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1989, n. 5569, n. 5571, n. 5573 e n. 5574, con l'avallo, poi, di Cass. civ., sez. un., 7 gennaio 1993, n. 65 - che gli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing traslativo sono regolati per analogia dall'art. 1526 c.c.

Orientamento, questo, che non è mutato anche a seguito dell'introduzione, ad opera del d.lgs. n. 5/2006, dell'art. 72-quater I. fall., ascrivendosi la disciplina di tale norma non già al profilo della risoluzione del contratto di leasing, bensì del suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8687; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2016, n. 2538).

La fermezza dell'indirizzo in esame si rinviene anche in epoca successiva all'entrata in vigore della l. n. 124/2017, la quale, ai commi da 136 a 140 dell'art. 1, ha dettato una disciplina organica ed unitaria del leasing, superando la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo.

Un siffatto diritto vivente è stato, invece, contrastato da una serie di pronunce recenti della magistratura di vertice inclini a valorizzare, in via interpretativa, proprio la novella legislativa del 2017, giungendo alla conclusione che, in ragione dell'innovazione del quadro normativo di riferimento - già inciso dal citato art. 72-quater I. fall., ma anche da ulteriori settoriali interventi legislativi - l'art. 1526 c.c. non possa trovare applicazione nel caso di risoluzione per inadempimento dei contratti di leasing, traslativi o di godimento che siano, in quanto è stata superata, per l'appunto, la tradizionale distinzione, di origine pretoria, tra leasing traslativo e di godimento, quale figure ora accomunate in una regolamentazione unitaria ed a vocazione generale anche quanto ai stabiliti effetti della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore.

Secondo tale più recente indirizzo, gli effetti delle novità normative si riverberano anche sui contratti cui esse non sarebbero applicabili ratione temporis - non già per effetto di una non consentita applicazione retroattiva, ma - per effetto di una “interpretazione storico-evolutiva”, secondo cui una determinata fattispecie negoziale non può che essere valutata sulla base dell'ordinamento vigente, posto che l'attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora, ma all'attualità”, e ciò sul presupposto che, sino al definitivo accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, non si siano esauriti i relativi effetti.

Ne consegue il principio per cui le conseguenze della risoluzione dei contratti di leasing, antecedente al fallimento dell'utilizzatore e sottratti ratione temporis all'efficacia diretta della l. n. 124/2017, debbano essere disciplinate in via analogica dall'art. 72-quater I. fall., che esibisce la medesima regolamentazione di quella poi fatta propria dalla novella più recente.

Osservazioni

Si osserva che, sino al momento dell'entrata in vigore della l. 4 agosto 2017, n. 124 (e, segnatamente, del suo art. 1, commi 136- 140), il leasing è rimasto sostanzialmente un contratto soltanto “socialmente tipico”, articolato in distinte forme e strutture dalla pratica commerciale, unificate dall'operazione di finanziamento volta a consentire ad un soggetto (il c.d. utilizzatore o lessee) il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente o lessor) il quale, con proprie risorse finanziarie, consente all'utilizzatore di soddisfare un interesse che, altrimenti, non avrebbe avuto la possibilità o l'utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene e, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l'anticipazione del capitale (così, tra le altre, Cass. civ., sez. un., 5 ottobre 2015, n. 19785).

In questo contesto, è sorta e si è sviluppata la distinzione tra leasing traslativo e di godimento, che porta come conseguenza rilevante quella della diversificazione delle rispettive discipline in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore: nel leasing di godimento, la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, secondo quanto disposto dall'art. 1458, comma 1, secondo periodo, c.c., in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, riscontrandosi piena sinallagmaticità tra le reciproche prestazioni, sicché, l'utilizzatore è tenuto a restituire il bene, mentre il concedente ha diritto a mantenere le rate riscosse, oltre al risarcimento del danno per l'inadempimento verificatosi, mentre, nel leasing traslativo, la risoluzione resta soggetta all'applicazione in via analogica delle disposizioni di cui all'art. 1526 c.c., riguardo alla vendita con riserva della proprietà, per cui l'utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene ed il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo, però, diritto ad un equo compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d'uso, oltre al risarcimento del danno.

La ragione di questa distinzione nella disciplina degli effetti risolutori tra le due figure di leasing è quella di far fronte, nel caso di leasing traslativo, all'esigenza di porre un limite al dispiegarsi dell'autonomia privata laddove questa venga, sovente, a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente, il quale, seguendo lo schema da lui predisposto, si troverebbe a conseguire - la restituzione del bene e l'acquisizione delle rate riscosse, oltre, eventualmente, il risarcimento del danno, ossia - più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il caso di regolare adempimento del contratto da parte dell'utilizzatore stesso (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 4 luglio 1997, n. 6034).

Ed è questa l'esigenza che, del pari, costituisce la ragione giustificativa della complessiva disciplina recata dall'art. 1526 c.c. in tema di vendita con riserva di proprietà - come del resto si evince già dalla Relazione del Ministro Guardasigilli al codice civile del 1942 - ivi declinandosi chiaramente l'intento di ovviare, nella fase patologica del rapporto, agli abusi della prassi commerciale nei confronti della posizione del compratore e, al tempo stesso, a fornire equilibrata tutela pure al venditore, attraverso la previsione dell'equo compenso e del risarcimento del danno, anche in quest'ultimo caso, però, avendo di mira, attraverso la previsione dell'istituto della riduzione della penale eccessiva, l'equità contrattuale ed il contrasto ad ogni indebita locupletazione ingenerata dall'autonomia privata.

La citata legge del 2017 è stata preceduta, comunque, da taluni interventi legislativi, ma di portata eminentemente settoriale, volti a regolare aspetti o modelli peculiari del leasing finanziario, come gli effetti dello scioglimento del contratto a seguito del fallimento dell'utilizzatore (art. 72-quater I. fall., introdotto dal d.lgs. n. 5/2006,dal 10 settembre 2021, art. 177 del d.lgs. n. 14/2019, recante “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”), gli effetti dello scioglimento del medesimo contratto nell'àmbito del concordato preventivo (art. 169-bis, comma 5, I. fall., come introdotto dal d.l. n. 83/2015, convertito, con modificazioni, nella l. n. 132/2015), nonché la disciplina di una specifica tipologia di leasing, quello di immobile da adibire ad abitazione principale (art. 1, commi 74-80, della l. n. 208/2015).

L'art. 1, commi 136-140, della l. n. 124/2017, superando, quindi, la logica della regolamentazione specifica e settoriale, ha fornito una “tipizzazione legale” del contratto di leasing finanziario in termini di fattispecie generale e unitaria - facendo convergere in un unico tipo il leasing di godimento e quello traslativo (segnatamente, in tal senso, il comma 136), mutuandone morfologia e funzione da un radicato substrato economico-sociale, così da plasmare in disciplina positiva l'esperienza lungamente maturata nel contesto regolatorio dell'autonomia privata, alimentato, costantemente, anche dall'attività ermeneutica della giurisprudenza.

La regolamentazione tipica si sofferma, anzitutto, sul profilo dell'inadempimento dell'utilizzatore, stabilendo (comma 137) che “costituisce grave inadempimento ... il mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria”.

Le conseguenze dell'inadempimento dell'utilizzatore “ai sensi del comma 137”, in termini di risoluzione del contratto sono dettate dal successivo comma 138, che - allineandosi, nella sostanza anche se con talune differenze, ai pregressi assetti regolatori specifici e settoriali - prevede che “il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all'ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita”, precisando che “resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell'utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all'ammontare dell'importo dovuto dall'utilizzatore a norma del periodo precedente”.

Il comma 139 regola, poi, una specifica procedura per la vendita o la riallocazione del bene concesso in godimento, nel rispetto dei valori di mercato e in base a “criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l'individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell'utilizzatore".

Infine, il comma 140 fa salva la disciplina settoriale, sia quella dettata dall'art. 72-quater I. fall., sia quella del leasing immobiliare per abitazione principale, di cui alla l. n. 208/2015.

La disciplina recata dalla legge n. 124 del 2017 non ha, però, carattere retroattivo, essendo essa priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato, non avendo in tal senso disposto lo stesso legislatore, né proponendosi la novella di operare un'interpretazione autentica di un assetto legale precedente, in quanto essa interviene, in modo innovativo, a colmare una lacuna ordinamentale circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria, cui soltanto il formante giurisprudenziale aveva posto rimedio attraverso l'integrazione analogica di cui sopra.

L'efficacia della legge del 2017 è, dunque, pro futuro, senza che il legislatore si sia, però, preoccupato di dettare una disciplina intertemporale, avuto riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore, disciplina che, pertanto, occorre individuare in forza del principio (o teoria) del c.d. fatto compiuto, che si è enunciato come regolatore delle interferenze dello ius superveniens sui rapporti giuridici suscettibili di esservi incisi e, tra questi, quelli di durata, tra cui, per l'appunto, il contratto di leasing. Deve ritenersi che l'applicazione della nuova legge è consentita, nei confronti di contratto di leasing finanziario concluso antecedentemente alla sua entrata in vigore, allorché, ancora in corso di rapporto, non si siano ancora verificati i presupposti (legali o convenzionali) della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, ossia non si sia verificato, prima dell'entrata in vigore di detta legge, il fatto generatore degli effetti giuridici derivanti dall'applicazione del diritto previgente.

La nuova regolamentazione (e, segnatamente, quella dettata dai commi 137 e 138) incide, sul piano funzionale, sullo svolgimento del rapporto negoziale, ma non anche, sul piano genetico, sulla fattispecie che lo origina - ossia, investe il contratto non come “fatto storico”, quanto come regolamento programmatico di interessi - disciplinandone il profilo patologico dell'inadempimento dell'obbligazione fondamentale gravante sull'utilizzatore, quella del pagamento dei canoni (c.d. inadempimento finanziario), tipizzando rigidamente la misura della gravità della condotta idonea a determinare la risoluzione del contratto di leasing e sottraendo al giudice quella valutazione che l'art. 1455 c.c., quale norma generale, declina in termini elastici.

Valutazione, quest'ultima, che, però, rimane necessaria - non solo per l'inadempimento che concerne il lato del concedente, ma anche - per inadempimenti dell'utilizzatore diversi da quello scolpito dal comma 137, riguardanti, ad esempio, il lato gestionale (utilizzo, manutenzione, conservazione, ecc.) del bene concesso in leasing.

In altri termini, il “fatto compiuto” è, nella specie, quello che genera la responsabilità del debitore (l'utilizzatore) ai sensi dell'art.1218 c.c., e cioè l'inadempimento - quale evento attinente al rapporto - che è idoneo a legittimare, come effetto, la risoluzione del contratto, inadempimento che la l. n. 124/2017 tipizza (plasmandolo come presupposto settoriale) in guisa tale da determinare il discrimine tra il “prima” e il “dopo” ai fini dell'applicazione della novella.

E il comma 137 - al pari del successivo comma 138, che disciplina gli effetti della risoluzione contrattuale in modo indefettibilmente collegato (per dettato normativo) all'inadempimento declinato dal comma 137 - è norma imperativa, non avendo altrimenti ragione d'essere la tipizzazione ex lege della gravità dell'inadempimento (ancorata al mancato pagamento di un certo numero di canoni mensili o trimestrali), a fronte di possibili deroghe pattizie - del resto, quasi sempre presenti nella prassi commerciale - che attribuiscono al concedente il potere risolutivo per il mancato pagamento di un solo canone o, comunque, di inadempimenti di carattere finanziario ben meno gravi di quello contemplato dalla norma anzidetta.

Questo, peraltro, comporta l'inefficacia ex nunc della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), apposta a contratto di leasing in corso che non abbia ancora maturato i presupposti della risoluzione ai sensi del citato comma 137, ove calibrata in termini diversi e meno favorevoli per l'utilizzatore di quanto previsto dalla legge con norma imperativa per l'inadempimento di tipo finanziario.

La novella legislativa, dunque, viene a condizionare la stessa autonomia contrattuale delle parti nel senso di impedire alla clausola contraria alla sopravvenuta norma non derogabile (in peius, in quanto stabilita a tutela dell'utilizzatore stesso) di operare dal momento di entrata in vigore di quest'ultima, ossia di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti.

Né, del resto, la stessa clausola risolutiva espressa, in contrasto con lo ius superveniens a carattere imperativo, sarebbe, come tale, in grado di poter determinare quelle peculiari conseguenze della risoluzione disciplinate dal menzionato comma 138, in quanto queste sono dalla legge correlate allo specifico fatto- inadempimento previsto dal comma 137.

Non può, dunque, la l. n. 124/2017 trovare applicazione per il passato, ossia per i contratti di leasing finanziario in cui si siano già verificati, prima della sua entrata in vigore, presupposti della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore - essendo, quindi, stata proposta domanda giudiziale di risoluzione ex art. 1453 c.c. o avendo il concedente dichiarato di avvalersi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. - con la conseguenza che gli effetti risolutori non potranno essere, per detti contratti, quelli disciplinati dal comma 138 dell'art. 1 della medesima legge (ai quali si correla, poi, il procedimento di vendita o riallocazione del bene regolato dal successivo comma 139).

Né è predicabile l'esito - fatto proprio dall'orientamento giurisprudenziale inaugurato di recente dai magistrati di Piazza Cavour - di un'applicazione analogica della disciplina dettata dall'art. 72-quaterl. fall., in caso di scioglimento di contratto di leasing ad opera del curatore nell'ambito di procedura fallimentare, siccome assunta in guisa di principio generale proprio alla luce, retrospettiva, della novella legislativa del 2017 e in forza del comune denominatore, tra le due fattispecie, rappresentato dalla attribuzione al concedente del diritto alla restituzione del bene concesso in godimento e all'utilizzatore o alla curatela del ricavato della vendita o di altra allocazione del bene medesimo, detratto l'ammontare del credito residuo (nella portata specificamente stabilita per ciascuna fattispecie interessata).

E' ius receptum - v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 18 giugno 2018, n. 15975; Cass. civ., sez. III, 17 aprile 2019, n. 10733; Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2020, n. 1581 - che l'art. 72-quater I. fall., introdotto dal d.lgs. n. 5/2006 è norma, di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, presupponendo lo scioglimento, per volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento, del contratto ancora pendente a quel momento, sicché la norma fallimentare mantiene salda la distinzione strutturale esistente tra la nozione di risoluzione contrattuale e quella di scioglimento del contratto, quale facoltà riconosciuta ad una pluralità di rapporti pendenti tra il contraente ed il fallito, tra i quali, per l'appunto, anche il leasing, che rientra nel novero dei contratti che - al momento dell'apertura del concorso - restano “sospesi” secondo la regola generale di cui all'art. 72, comma 1, I. fall.

D'altronde, proprio nell'àmbito di detta distinzione, si apprezza la diversità di tutela somministrata dai due istituti, quello dello scioglimento contrattuale volto a riconoscere tendenzialmente solo una tutela restitutoria e non anche risarcitoria - secondo quanto si evince anche dal comma 4 dell'art. 72 I. fall. - come invece accorda il rimedio generale della risoluzione per inadempimento, la cui azione potrà essere coltivata nei confronti della procedura ove promossa prima della dichiarazione di fallimento, dovendo il contraente far valere le conseguenti pretese restitutorie e di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 92 ss. I. fall., come stabilito dal comma 5 del citato art. 72.

Ed è proprio in ragione di tutte le evidenze appena elencate che il “diritto vivente” ha escluso - in assenza di una eadem ratio e di simili elementi, strutturali e/o funzionali, rilevanti - che la disciplina dettata dall'art. 72-quater I. fall. potesse trovare applicazione analogica in caso di contratto di leasing finanziario risolto, per inadempimento dell'utilizzatore, prima del fallimento di quest'ultimo, avendo invece rinvenuto la disposizione idonea a colmare la lacuna ordinamentale, in coerenza con i criteri di cui all'art. 12 delle preleggi, in quella generale codicistica dell'art. 1526 c.c., in ipotesi di leasing traslativo.

Ma tale giuridica configurazione dell'art. 72-quaterl. fall. non ha subìto una “trasmutazione” con l'avvento della disciplina di cui all'art. 1, comma 136-140, della l. n. 124/2017, la quale, anzi, al citato comma 140 ha stabilito che “restano ferme le previsioni di cui all'art. 72-quater del r.d. 16 marzo 1942, n. 267”, con ciò ribadendo la specialità della norma fallimentare e la sua portata circoscritta all'ambito di specifica pertinenza.

Quindi, l'assunto che l'art. 72-quaterl. fall. possa costituire la disposizione applicabile analogicamente ad un contratto di leasing finanziario risolto prima dell'entrata in vigore dell'art. 1, commi 136- 140, della l. n. 124/2017 - ma pur sempre nella vigenza della stessa norma fallimentare, altrimenti si avrebbe, secondo quanto innanzi detto, un'illegittima attivazione del procedimento analogico, in quanto fondata su disposizione non presente nell'ordinamento - trova sostegno non già in un'interpretazione (storico) evolutiva delle norme implicate, bensì in una operazione disallineata rispetto ai criteri posti dall'art. 12 delle preleggi e avente carattere di dissimulata applicazione retroattiva della stessa l. n. 124/2017, quale esito che, stante l'efficacia pro futuro di essa, è inibito al formante giurisprudenziale per le ragioni dianzi esposte.

Per i contratti di leasing traslativo, che non siano soggetti, ratione temporis, alla regolamentazione della legge anzidetta, resta, dunque, valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell'art. 1526 c.c. la disciplina della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, essendo comunque sorretta da una ratio giustificativa rispondente all'esigenza di dare equilibrato assetto alle posizioni delle parti di un contratto atipico, forgiato da una risalente prassi commerciale ed al quale il formante giurisprudenziale ha fornito stabilità di assetto e certezza applicativa - fattori che quella stessa prassi richiede per un suo ordinato sviluppo - rimasto tale sino all'entrata in vigore della novella legislativa del 2017, che ha tipizzato legalmente (nei termini sopra precisati) la figura, unitaria, della locazione finanziaria.

Riferimenti

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Nisio, I crediti del concedente di leasing finanziario: brevi note alla luce della legge 4 agosto 2017, n. 124, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 161;

Timpano, Il contratto di leasing: vecchi contrasti interpretativi e nuove soluzioni normative, in Contratti, 2017, 539;

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Salvato, Leasing e fallimento: nuove norme, vecchi problemi, in Dir. fallim., 2016, 555;

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La Torre, L'art. 72-quater e l'unicità tipologica del leasing finanziario, in Fallimento, 2013, 232;

Bersani, La disciplina del leasing nel fallimento fra interpretazioni giurisprudenziali e nuove norme fallimentari, in Fallimento, 2009, 305;

Maccarone, Il contratto di leasing finanziario e la nuova riforma fallimentare, in Contratti, 2009, 95;

La Torre, Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72-quater legge fall., in Fallimento, 2008, 290;

Patti, Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, in Fallimento, 2007, 129.

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