La liquidazione del danno morale

31 Marzo 2021

Atteso che il danno morale ha una sua piena autonomia, ove il Giudice valuti il danno morale utilizzando le tabelle milanesi e poi lo rivaluti equitativamente una seconda volta attribuendogli un ulteriore valore, in tal modo si verifica una duplicazione della valutazione del danno morale per cui la valutazione equitativa diventa un doppione e va espunta dal calcolo del danno non patrimoniale totale.
Massima

Atteso che il danno morale ha una sua piena autonomia, ove il Giudice valuti il danno morale utilizzando le tabelle milanesi, che incorporano nel valore monetario del singolo punto di invalidità anche il pregiudizio morale, e poi lo rivaluti equitativamente una seconda volta attribuendogli un ulteriore valore, in tal modo si verifica una duplicazione della valutazione del danno morale per cui la valutazione equitativa diventa un doppione e va espunta dal calcolo del danno non patrimoniale totale.

Il caso

P.F. convenne dinanzi al Tribunale di Trieste la società Alli, quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale avvenuto a Bitonto il 15 maggio 2011, allorché l'attore, mentre circolava a piedi, venne investito da un autoveicolo poi risultato rubato ed il cui conducente non poté essere identificato. Il Tribunale rigettò la domanda sul rilievo che l'attore non aveva dimostrato che il veicolo investitore era stato posto in circolazione contro la volontà del proprietario, sì da risultare integrata l'invocata ipotesi di cui all'art. 283, c. 1, lett. d) del Codice delle Assicurazioni.

La Corte d'Appello di Trieste ha accolto il gravame di P.F., riconoscendogli un risarcimento di 213.399,75 euro, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. La Corte ha ritenuto che il veicolo da cui era stato investito l'attore fosse effettivamente quello di cui il proprietario aveva denunciato il furto qualche giorno prima del fatto, in considerazione della identità di marca, modello e colore fra i due mezzi, della prossimità temporale tra la data del furto (10.5.2011) e quella dell'incidente, nonché della vicinanza geografica fra il luogo in cui il mezzo era stato rubato e quello del sinistro. Sul piano del quantum debeatur, il giudice di secondo grado ha liquidato il danno alla persona applicando le tabelle di Milano ed ha aumentato l'importo riconosciuto per invalidità permanente del 25 per cento, a titolo di personalizzazione del danno, sul presupposto della «indubbia impossibilità [per la vittima] di cimentarsi in attività fisiche»; infine, ha accordato a P.F. un'ulteriore somma a titolo di danno morale, ritenendo che le «sofferenze di natura del tutto interiore e non relazionale» fossero «meritevoli di un compenso aggiuntivo [...] al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi» e liquidando equitativamente 20.000,00 euro, «valutate le circostanze del caso e l'indubbia sofferenza derivata».

La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla Alli. s.p.a., con ricorso basato su quattro motivi illustrati da memoria.

La questione

Col terzo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c.: assume che erroneamente la Corte di Appello ha accordato all'attore l'importo di 20.000,00 euro a titolo di danno morale, in assenza dei presupposti stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità per la liquidazione di questo tipo di danno. Espone, al riguardo, che la sentenza impugnata ha liquidato il danno alla salute in base alle tabelle milanesi, che sono tuttavia fondate su un sistema che "incorpora" nel valore monetario del singolo punto di invalidità anche il pregiudizio morale, sì che la Corte territoriale ha finito per liquidare quest'ultimo due volte.

Le soluzioni giuridiche

Il motivo è parzialmente fondato, sia pur nei limiti e con le precisazioni che seguono.

Va osservato, in premessa, come sia del tutto conforme a diritto, ed integralmente condiviso da questa Corte, il principio affermato in sentenza secondo il quale la voce di danno morale mantiene la sua autonomia e non è conglobabile nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi (in tal senso, Cass. n. 910/2018, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 28989/2019).

Altrettanto correttamente, la Corte triestina procede alla valutazione del danno morale in via autonoma e successivamente rispetto alla precedente (sia pur, nella specie,impredicabile) personalizzazione del danno biologico, volta che tale personalizzazione è specificamente disciplinata in via normativa (art. 138, n. 3 nuovo testo C.d.A.: "qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico- relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale [...], può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%»).

La correttezza della decisione è confermata dall'espresso e non equivoco contenuto del testo legislativo dianzi citato (art. 138, punto 2 lettera a): «per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico -fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività ouotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato), da leggersi in combinato disposto con la successiva lettera e) del medesimo punto 2 («al fine di considerare la componente morale da lesione dell'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico [...] è incrementata in via progressiva e per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione»).

Trova definitiva conferma normativa, come già da tempo affermato da questa Corte, il principio della autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma "danno morale" 1) non è suscettibile di accertamento medico-legale; 2) si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato.

A tanto consegue che, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovrà:

1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;

2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono (non correttamente, per quanto si dirà nel successivo punto;

3) all'indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);

4) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso, secondo quanto si dirà nel corso dell'esame del quarto motivo di ricorso), considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale;

5) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3.

Osservazioni

Come noto la Corte di Cassazione con sentenza 7 giugno 2011n. 1248 sulla premessa che “in un sistema caratterizzato da divergenti applicazioni del concetto di equità, la Corte di cassazione è dunque chiamata ad effettuare un'opzione tra i tanti criteri concretamente adottati dalla giurisprudenza. Criteri che si pongono tutti su un piano di pari dignità concettuale e che costituiscono il frutto degli spontanei, lodevoli e spesso assai faticosi sforzi dei giudici di merito volti al perseguimento, in ambito necessariamente locale, degli stessi scopi che si intende ora realizzare sul piano nazionale.” ha indicato le Tabelle milanesi come riferimento nazionale per la liquidazione del danno non patrimoniale. Essa Corte ha affermato che, nella liquidazione del danno biologico, ove non sussistano criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche «l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari». A parere della Suprema Corte, “garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono”.

Ciononostante, molti uffici giudiziari hanno ritenuto di non adeguarsi a tale direttiva della Suprema Corte. Ciò anche, forse, in considerazione del nuovo orientamento che sosteneva l'autonomia del danno morale dal danno biologico respingendo ogni tendenza a commisurare il danno morale come una frazione del danno biologico e comunque rifuggendo da automatismi o da visioni meccanicistiche del medesimo, quale ad esempio di considerare tale pregiudizio come mero aumento percentuale del danno biologico, sull'assunto della particolarità di ogni caso.

Nel caso in esame, diversamente, la Corte Suprema censura la posizione della Corte territoriale che avrebbe liquidato il danno non patrimoniale applicando le tabelle milanesi aggiungendo poi una ulteriore somma di euro 20.000 a titolo di danno morale, venendo in tal modo a porre in essere una duplice liquidazione di questa componente del danno non patrimoniale.

Orbene rileggendo la sentenza in oggetto notiamo che se la Corte, da un lato considera che il principio affermato secondo il quale la voce di danno morale mantiene la sua autonomia e non è conglobabile nel danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, e perciò meritevole di un compenso aggiuntivo e successivamente che a tanto consegue che, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovrà: 1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; 2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza (anche) di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono all'indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno), conclude poi asserendo che “nel caso di specie, la Corte territoriale, nell'indicare tanto le imponenti e penose conseguenze dell'inabilità temporanea, quanto le condizioni soggettive del danneggiato, quanto -infine- la percentuale complessiva dell'invalidità permanente, ha correttamente applicato [il su esposto] ragionamento probatorio [fondato sulle c.d. massime d'esperienza], specificando, del tutto correttamente, che le conseguenti sofferenze, di natura interiore e non relazionale, apparivano meritevoli di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi, così mostrando di aver colto appieno la corretta ontologia del danno morale, sia pur incorrendo, poi, nell'errore di liquidazione di cui si è detto in precedenza, volta che, riconosciuta la risarcibilità autonoma del danno morale, non ha considerato che tale voce di danno era già ricompresa nel valore monetario complessivamente indicato nella tabella applicata“.

In definitiva ci pare che non vi sia sufficiente chiarezza nel ragionamento della Corte. Infatti se da un lato afferma la piena autonomia ontologica del danno morale dall'altro ritiene valida la posizione della Corte territoriale che ha applicato le tabelle milanesi che, expressis verbis, si fonderebbero su un criterio non corretto (quello della presunzione della sussistenza comunque di un danno morale medio- non personalizzabile- e della sommatoria aritmetica delle due voci di danno-quello dinamico/relazionale e quello morale) senza trarne le dovute conseguenze e si è limitata a detrarre dal risarcimento ,oltre a quanto liquidato come personalizzazione del danno biologico, ingiustificata, quanto equitativamente valutato in aumento circa il danno morale anzicchè esigere che si applicasse il principio della piena autonomia del danno morale).

A noi pare che l'equivoco nasca dal fatto che le tabelle milanesi inseriscono, dato per scontato, un danno morale “medio”, mentre la tesi dell'“autonomia” del danno morale, ontologicamente diverso dal danno biologico-fisico-, vuole che la sussistenza del danno morale vada valutata caso per caso, cosicchè il giudice può anche applicare le tabelle milanesi (comprensive del danno morale medio) e quindi successivamente, valutando il caso sotto esame, ravvisare un danno morale più elevato e conseguentemente riconoscere una somma ulteriore a titolo di danno morale. In tal caso non vi sarebbe una duplicazione del danno morale ma piuttosto una personalizzazione in aumento del danno stesso, che dovrà essere accuratamente giustificata dal giudice (mentre ci pare che ciò non avvenga nella sentenza in oggetto).