Obbligazione doganale ai fini daziari e IVA all'importazione. La seconda si “adatta” alla prima. La posizione della Corte di Giustizia
16 Aprile 2021
Massima
Con sentenza del 3 marzo 2021 nella causa C-7/20, la Corte di Giustizia ha ribadito che, nell'ipotesi di inosservanza della normativa doganale all'importazione, in caso di irregolare introduzione nel territorio doganale dell'UE, per mancato pagamento di dazi ed IVA di un'autovettura acquistata fuori dall'UE ed immessa in consumo nello Stato membro di residenza dell'acquirente quale destinazione finale (Germania), non prima di aver attraversato più volte il confine doganale UE (Bulgaria, Ungheria e Austria) senza ivi aver osservato il pagamento dei tributi in linea di dogana, la contestazione del mancato pagamento dei dazi da parte dello Stato di residenza “assorbe” quella di mancato versamento dell'IVA nello Stato di “prima” immissione in consumo secondo la normativa IVA. Il caso
In caso di “inosservanza” delle regole in tema di obbligazione daziaria le regole IVA si “adattano” a quelle in tema di dazi dovuti all'immissione in libera pratica. Il caso analizzato dalla Corte UE ha ad oggetto l'irregolare introduzione nel territorio doganale UE, da parte di un cittadino tedesco residente in Germania, di un'autovettura immatricolata in Turchia, da lì transitata attraverso la Bulgaria, la Serbia, l'Ungheria e l'Austria ed infine arrivata in Germania dove l'importazione del veicolo è stata accertata in occasione di un controllo di polizia. A seguito di ciò la Dogana tedesca contestava che l'importatore avesse violato, tra le disposizioni di diritto doganale, l'articolo 135 par. 1 del CDU (codice doganale dell'Unione), relativo all'obbligo di trasportare le merci verso un ufficio doganale e l'articolo 139 par. 1 relativo all'obbligo di presentare tali merci in dogana. La questione
Investito della questione dal soggetto importatore, il giudice del rinvio sosteneva, tesi poi confermata dalla Corte UE nella sentenza qui in commento, che l'obbligazione doganale fosse sorta in Germania in base all'articolo 87 par. 4 del CDU, dal momento che, nonostante il veicolo fosse entrato fisicamente nel territorio dell'UE attraverso la Bulgaria e, di conseguenza, era in tale Stato membro che esso avrebbe dovuto essere trasportato e presentato in dogana, pur tuttavia erano state le autorità tedesche ad accertare l'esistenza dell'obbligazione doganale. Il giudice, inoltre, respingeva le doglianze del soggetto importatore nella misura in cui questo non poteva beneficiare del regime doganale dell'ammissione temporanea, dal momento che risiedeva nel territorio dell'UE.
Per il giudice rimettente, certo che l'obbligazione doganale fosse “sorta” in Germania, rimaneva il dubbio della possibilità di “estendere” all'IVA all'importazione, in via analogica, l'articolo 87 par. 4 del CDU, con conseguente tassazione (in Germania) anche ai fini IVA del bene “importato”, in applicazione dell'articolo 71, par. 1, comma 2, della Direttiva IVA, in base al quale “quando i beni sono assoggettati a dazi doganali, il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui scattano il fatto generatore e l'esigibilità di tali dazi”. La soluzione giuridica
Ai fini meramente doganali, come si vedrà meglio dopo, uno dei regimi doganali definitivi, per le merci “in entrata” nel territorio doganale dell'UE, è rappresentato dall'immissione in libera pratica che l'art. 201 del CDU descrive così: “1. Le merci non unionali destinate al mercato dell'Unione o destinate all'uso o al consumo privato nell'ambito del territorio doganale dell'Unione sono vincolate al regime di immissione in libera pratica. 2. L'immissione in libera pratica comporta: a) la riscossione dei dazi dovuti all'importazione; …. 3. L'immissione in libera pratica attribuisce alle merci non unionali la posizione doganale di merci unionali”. Ai fini dell'individuazione del luogo in cui sorge l'obbligazione doganale, l'art. 87 par. 4 del CDU dispone che qualora un'autorità doganale constati che un'obbligazione doganale sia sorta per inosservanza della norma doganale (art. 79 CDU) in un altro Stato membro e l'importo del dazio all'importazione o all'esportazione corrispondente alla stessa è inferiore ad euro 10.000, l'obbligazione doganale si considera sorta nello Stato membro in cui è avvenuta la constatazione. La Direttiva IVA, invece, dispone (art. 60) che l'importazione di beni è effettuata nello Stato membro nel cui territorio si trova il bene nel momento in cui entra nella Comunità e il fatto generatore dell'imposta si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l'importazione di beni (art. 70); tuttavia, quando i beni importati sono assoggettati a dazi doganali, il fatto generatore dell'IVA si verifica e l'imposta diventa esigibile nel momento in cui scattano il fatto generatore e l'esigibilità dei predetti dazi o prelievi (art. 71 par. 1 comma 2). Si assiste, in questo modo, ad una sorta di “condizionamento” della disciplina IVA (artt. 70 e 71 della Direttiva IVA) rispetto a quella doganale (artt. 201 e 202 del CDU) quale conseguenza del “fenomeno doganale”.
Preme a questo punto chiarire, brevemente, l'importanza della distinzione tra l'istituto dell'immissione in libera pratica e quello dell'importazione definitiva la cui refluenza ai fini pratici comporta rilevanti differenze in linea di dogana tanto a fini daziari quanto procedurali. Come correttamente chiarito in dottrina (v. P. Bellante, in Il Sistema Doganale, Torino, 2020, pag. 784) l'essenza del regime dell'immissione in libera pratica è costituita dalla circostanza che la richiesta di vincolo, con conseguente assolvimento dei dazi relativi all'obbligazione doganale, comporta il “mutamento dello status giuridico della merce da non unionale ad unionale”; ai fini della successiva immissione in consumo, invece, “la piena disponibilità della merce è subordinata anche all'assolvimento degli altri eventuali obblighi di fiscalità interna, primo fra tutte l'assolvimento dell'imposta sul valore aggiunto”, così che “la merce si considera definitivamente importata”. L'importazione diviene definitiva nel momento in cui si consente all'operatore di “utilizzare la merce rilasciata in dogana senza alcun vincolo” (così G. Falsitta, in Manuale di Diritto tributario, Parte Speciale, 2016, pag. 1074).
Il CDU non contempla il regime doganale dell'importazione, bensì solo quello della immissione in libera pratica che consente, previo assolvimento della sola fiscalità doganale, di qualificare “unionale”, anche se in via non definitiva, la merce oggetto della dichiarazione doganale. Con il successivo pagamento, eventuale, anche dell'IVA, qualora richiesto dalle necessità commerciali dell'operatore economico, si assisterà all'importazione definitiva della merce che sarà libera di circolare nel territorio doganale UE allo stesso modo della merce nazionale originaria dell'UE.
Come accennato vi sono differenze non solo ai fini impositivi ma, prima ancora, anche procedurali.
Come puntualmente osservato in dottrina (Codice Doganale dell'Unione Europea commentato, F. Marrella e P. Marrotta, Milano 2019, pag. 527, nota n. 21, a cura di M. Cociani) “la scelta nonché la corretta indicazione, nella dichiarazione doganale, del regime al quale l'operatore economico intende assoggettare le merci, assume rilevanza fondamentale sia per la determinazione dell'obbligazione doganale sia per la libertà di circolazione delle merci nell'Unione”. Al riguardo, infatti, “l'indicazione del mero regime di libera pratica delle merci viene effettuata utilizzando il codice 01” nel DAU (documento amministrativo unico), con questo evidenziando la volontà dell'operatore di assolvere la sola fiscalità doganale e non anche quella IVA. Diversamente, ricorda l'autore, la “contestuale immissione in libera pratica ed in consumo delle merci richiede l'utilizzo di codifiche di regime che hanno come prima cifra il numero 4” (il codice 42 corrisponde al regime di Immissione in consumo con contemporanea immissione in libera pratica. Importazione definitiva di merci non comunitarie).
Va poi aggiunto che l'obbligazione doganale del pagamento dei dazi non è una diretta ed immediata conseguenza dell'immissione in libera pratica della merce nel territorio UE, dal momento che il pagamento della fiscalità doganale può anche venir meno a motivo, ad esempio, di eventuali esenzioni tariffarie, o per il riconoscimento dell'origine preferenziale dei prodotti in base ad accordi conclusi dall'UE con un altro Paese o con gruppi di Paesi (dazi ridotti o pari a zero), o in applicazione di franchigie doganali o, ancora, in base al riconoscimento unilaterale da parte dell'UE, nei confronti di alcuni Paesi con economie emergenti, del sistema delle preferenze generalizzate (SPG), in relazione all'origine preferenziale dei prodotti provenienti da quegli Stati, al fine di favorire le esportazioni dei Paesi in via di sviluppo (PVS) verso quelli già sviluppati.
Osservazioni
La premessa, seppur breve, era doverosa per evidenziare la correttezza dell'interpretazione del giudice rimettente e della Corte UE, la quale riconosciuto e ribadito l'esistenza di un collegamento tra l'IVA all'importazione e i dazi doganali, aventi caratteristiche essenziali comparabili, in quanto originati dall'importazione nell'UE e dalla conseguente introduzione delle merci nel circuito economico degli Stati membri. La lettura congiunta delle due normative comunitarie ha consentito al giudice unionale, con interpretazione coerente, nonostante avesse riconosciuto che l'autovettura era entrata materialmente nel territorio dell'UE attraverso la Bulgaria, sicché era questo lo Stato membro dell'evidenza delle violazioni doganali, tuttavia dal momento che il veicolo era entrato nel circuito economico dell'UE in Germania, dove era stato effettivamente utilizzato, era in quest'ultimo Stato membro che l'IVA all'importazione doveva ritenersi sorta.
In questo modo, l'effetto trainante della normativa doganale che consente la contestazione della fiscalità di confine in uno Stato membro diverso da quello di effettiva immissione in consumo, nella declinazione data dalla Direttiva IVA, ha consentito alla CGUE di ritenere corretta la ricognizione operata dalla dogana tedesca, concludendo che l'IVA all'importazione, relativa a beni soggetti a dazi doganali, sorge nello Stato membro in cui è stata effettuata la constatazione dell'inosservanza di un obbligo imposto dalla normativa doganale dell'UE, qualora i beni in questione, pur essendo stati fisicamente introdotti nel territorio doganale in un altro Stato membro, siano entrati nel circuito economico dell'UE nello Stato membro in cui è stata operata la constatazione suddetta. Nelle proprie argomentazioni la Corte UE ha richiamato un suo recente precedente (C-28/19), nel quale si discuteva circa la corretta nozione di “importazione di un bene”, ai sensi delle normative sopra citate, se questa cioè si riferisse unicamente all'ingresso nel circuito economico dell'UE del bene stesso o se tale nozione ricomprendesse anche il rischio di ingresso del bene in tale circuito.
L'indagine originava dall'importazione in UE (Germania) di beni extra UE transitati per un hub tedesco e con destinazione finale in Grecia. A causa del trasbordo della merce, in Germania, da un aereomobile ad un altro al fine della loro consegna finale in Grecia, veniva contestata la violazione della normativa doganale ed IVA (obbligazione doganale all'importazione) per non aver sottoposto le merci al regime di transito comunitario esterno e per averle rimosse dal luogo di deposito senza autorizzazione. Al fine di individuare lo Stato di tassazione, la CGUE, dato per accertato che la merce era entrata nel circuito economico dell'UE, si interrogava se l'esistenza di un «rischio» che un bene potesse entrare nel circuito economico dell'UE (qualora il bene sia destinato al trasporto e consumo finale in un altro Stato membro) fosse o meno sufficiente per ritenere che tale bene fosse stato oggetto di un'«importazione», concludendo per la natura meramente ipotetica del detto rischio.
Per quanto si potesse “presumere”, in linea di principio, che le merci erano entrate nel circuito economico dell'UE nel territorio tedesco, pur tuttavia tale presunzione poteva essere confutata dimostrando che il bene era stato introdotto nel circuito economico dell'UE nel territorio di un altro Stato membro (Grecia), nel quale tale bene era destinato al consumo, con conseguente nascita del presupposto IVA in quel secondo Stato membro. |