Insidie tra l'impugnazione della delibera approvativa di una spesa condominiale e l'opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione degli oneri condominiali

19 Aprile 2021

Chiamate a perimetrare l'estensione del thema decidendum del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali, le Sezioni Unite - con una decisione, per un verso, innovativa sul piano processuale e, per altro verso, confermativa del discrimen tradizionale tra nullità e annullabilità della delibera assembleare viziata in tema di ripartizione delle spese - hanno stabilito che, in tale giudizio, purchè a determinate condizioni (quanto a modalità e termini), il giudice possa sindacare la validità di tale delibera, su cui è fondata l'ingiunzione di pagamento, non essendo tale sindacato riservato ad apposito giudizio avente specificamente ad oggetto l'impugnazione in via immediata della delibera medesima.
Massima

Sono nulle le delibere con cui, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c. e che è sottratta al metodo maggioritario, mentre sono, invece, meramente annullabili le delibere aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di delibere assunte nell'esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, sicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. (1)

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio, della delibera assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità della stessa delibera, a condizione, però, che quest'ultima sia dedotta in via di azione - mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione in opposizione - ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione, che va considerata inammissibile e rilevabile d'ufficio dal giudice(2).

Il caso

La causa - decisa di recente dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento - originava da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, su ricorso di un Condominio, per ottenere la condanna di un condomino al pagamento di una somma, pari a 1/3 delle spese dei lavori di rifacimento e di impermeabilizzazione del lastrico solare dell'edificio, poste a suo con una precedente delibera assembleare, nella misura di cui all'art. 1126 c.c., sul presupposto che tale condomino avesse l'uso esclusivo del manufatto.

L'ingiunto proponeva opposizione avverso il suddetto decreto ingiuntivo, deducendo: a) che nessuna delibera assembleare, posta a fondamento del provvedimento monitorio, aveva disposto la ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare secondo il criterio di cui all'art. 1126 c.c.; b) che, comunque, l'eventuale delibera sarebbe affetta da “nullità” per mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea; c) che, in ogni caso, le spese afferenti il lastrico solare avrebbero dovuto essere ripartite secondo le quote millesimali, come previsto dall'art. 1123 c.c., in quanto egli, pur essendo proprietario del lastrico, non ne avrebbe avuto l'uso esclusivo, essendo lo stesso adoperato indistintamente da tutti i condomini.

Il giudice di prime cure aveva rigettato l'opposizione del condomino, ritenendo legittima la ripartizione delle spese operata secondo il criterio di cui all'art. 1126 c.c.

L'appello, proposto dal soccombente, veniva rigettato dalla Corte territoriale, osservando che l'imposizione all'appellante - quale proprietario del lastrico solare - della quota di 1/3 delle spese de quibus, trovava fondamento nella precedente delibera dell'assemblea, che non era stata impugnata, e che la deduzione della nullità/annullabilità di tale delibera, per violazione dei criteri di riparto delle spese ex artt. 1123 e 1126 c.c., doveva ritenersi preclusa nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, il cui oggetto non poteva estendersi all'esame delle questioni relative all'invalidità della delibera di approvazione della spesa intimata.

La questione

La II Sezione civile remittente aveva ritenuto che emergessero due questioni di massima di particolare importanza, decise in senso difforme dalle Sezioni semplici, e, pertanto, meritevoli di esame da parte delle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c. (in realtà, la questioni erano tre, ma l'ultima non è stata affrontata perché ritenuta non necessaria ai fini della decisione del caso sottoposto).

In particolare, si trattava di decidere: 1) se le delibere dell'assemblea condominiale, con le quali le spese per la gestione delle cose e dei servizi comuni siano ripartite tra i condomini in violazione dei criteri legali dettati dagli artt. 1123 ss.c.c. o stabiliti con apposita convenzione, debbano ritenersi sempre affette da nullità (come tali sottratte al regime di cui all'art.1137 c.c.), oppure se le dette delibere possano ritenersi nulle soltanto quando l'assemblea abbia inteso modificare stabilmente (a maggioranza) i criteri di riparto stabiliti dalla legge o dalla unanime convenzione, dovendo ritenersi, invece, meramente annullabili (come tali soggette alla disciplina dell'art. 1137 c.c.) nel caso in cui tali criteri siano soltanto episodicamente disattesi; e 2) se, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi per le spese condominiali, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., il giudice possa sindacare le eventuali ragioni di nullità della delibera assembleare di riparti-zione delle spese su cui è fondata l'ingiunzione di pagamento oppure se, invece, la delibazione della nullità della delibera debba essere riservata al giudice davanti al quale la medesima sia stata impugnata in via immediata nelle forme di cui all'art. 1137 c.c.

Le soluzioni giuridiche

La seconda questione - esaminata in via prioritaria dal supremo organo di nomofilachia - aveva avuto, in un primo momento, risposta negativa dalla magistratura di vertice, la quale aveva affermando il principio secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per le spese condominiali, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale, ma solo questioni riguardanti l'efficacia della medesima (Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2016, n. 22573; Cass. civ., sez. II, 1 agosto 2006, n. 17486).

In particolare, si è statuito che il giudice dell'opposizione deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia della delibera assembleare, senza poter sindacare, neppure in via incidentale, la sua validità, essendo tale sindacato riservato al giudice davanti al quale detta delibera sia stata impugnata (sull'abbrivio di Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26629, v., nel medesimo senso, Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2016, n. 3354; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2017, n. 4672); dunque, egli può accogliere l'opposizione solo se la medesima abbia perduto la sua efficacia, per essere stata annullata o per esserne stata sospesa l'esecuzione dal giudice dell'impugnazione (Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2012, n. 19938; Cass. civ., sez. VI/II, 24 marzo 2017, n. 7741).

Queste conclusioni - che relegano l'azione di annullamento della delibera assembleare in un separato giudizio, necessariamente distinto da quello di opposizione al decreto ingiuntivo - sono state recentemente contraddette da un nuovo indirizzo giurisprudenziale, che ha affermato il diverso principio secondo cui, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità d'ufficio dell'invalidità della sottostante delibera non opera allorché si tratti di vizi implicanti la sua “nullità”, in quanto la validità della delibera rappresenta un elemento costitutivo della domanda di pagamento (Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2016, n. 305; Cass. civ., sez. II, 23 luglio 2019, n. 19832).

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che il primo orientamento debba essere superato, mancando ragioni sufficienti per negare al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di sindacare la validità della delibera assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, e, anzi, diverse fondate ragioni inducono a riconoscere al giudice dell'opposizione il potere di sindacare non solo l'eventuale “nullità” di tale delibera, ma anche la sua annullabilità, purché dedotta nelle forme e nei tempi prescritti dalla legge.

In primo luogo, si osserva che, secondo i principi generali, l'opposizione a decreto ingiuntivo apre un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione, il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità/validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contesa, ossia al merito del diritto fatto valere dal creditore con la domanda di ingiunzione (Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7448; Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1994, n. 9708; Cass. civ., sez. II, 18 marzo 2003, n. 3984; Cass. civ., sez. lav., 17 ottobre 2011, n. 21432).

Se il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo è un ordinario giudizio di cognizione, è arduo sostenere che il giudice dell'opposizione possa confermare il decreto ingiuntivo senza verificare la validità del titolo (nella specie, la delibera assembleare) posto a fondamento dell'ingiunzione, non potendo ritenersi consentito, in assenza di previsione di legge, creare uno ius singulare per la materia condominiale; ne consegue che la validità della delibera posta a fondamento dell'ingiunzione costituisce il presupposto necessario per la conferma del decreto ingiuntivo, sicché non è precluso al giudice dell'opposizione di accertare, ove richiesto o dovuto, la sussistenza del presupposto necessario per la pronuncia di rigetto o di accoglimento dell'opposizione stessa.

In secondo luogo, ragioni di economia processuale, in linea con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.), impongono di riconoscere al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di sindacare, ove richiesto, l'invalidità della delibera posta a fondamento dell'ingiunzione.

Infatti, negare al giudice dell'opposizione la possibilità di sindacare l'invalidità della delibera posta a base dell'ingiunzione provocherebbe la moltiplicazione dei giudizi, perché costringerebbe il giudice a rigettare l'opposizione e obbligherebbe l'opponente, che intenda far valere detta invalidità, a promuovere separato giudizio e, successivamente, nel caso in cui la delibera fosse annullata, a proporre domanda di accertamento e di ripetizione di indebito o di opposizione all'esecuzione, prolungando così il contenzioso tra le parti.

Al contrario, riconoscere al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo la possibilità di sindacare la validità della delibera assembleare consente di definire nel medesimo giudizio tutte le questioni relative alla delibera su cui si fonda l'ingiunzione e di evitare la proliferazione delle controversie: trattasi di un'interpretazione che, oltre ad essere in linea con il suddetto principio costituzionale della ragionevole durata del processo, consente anche di evitare il rischio di contrasti di giudicati.

Il supremo consesso decidente, a questo punto, precisa che quanto sopra vale, innanzitutto, riguardo al caso in cui la delibera assembleare sia affetta da “nullità”, essendo sufficiente, a tal fine, osservare che la nullità, quale vizio radicale del negozio giuridico, impedisce, per sua natura, allo stesso di produrre alcun effetto nel mondo del diritto (quod nullum est nullum producit effectum), sicché essa è deducibile da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d'ufficio (art. 1421 c.c.); perciò, negare al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di tener conto dell'eventuale nullità della delibera assembleare significa negare la stessa nozione di nullità, costringendo il giudice a ritenere giuridicamente efficace ciò che tale non è.

Deve, dunque, riconoscersi - secondo i principi generali - che il giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo abbia il potere di sindacare la nullità della delibera assembleare posta a fondamento della ingiunzione, che sia stata eventualmente eccepita dalla parte; egli ha, altresì, il potere-dovere di rilevare d'ufficio l'eventuale nullità della delibera, con l'obbligo, in tal caso, di instaurare però sulla questione il contraddittorio tra le parti ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242, in materia di nullità negoziali; Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2019, n. 26495).

Inoltre - ed è questo il passaggio motivazionale più interessante ed innovativo - ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, non vi sono neppure valide ragioni per negare al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo il potere di verificare l'esistenza di una causa di “annullabilità” della delibera posta a fondamento del decreto, ove dedotta dall'opponente nelle forme di legge, e di provvedere al suo annullamento.

Si osserva, in proposito, che la disposizione dell'art. 1137, comma 2, c.c. - nel testo introdotto dalla I. n. 220/2012), a tenore della quale, contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino assente/dissenziente/astenuto può adire il magistrato chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di 30 giorni, che decorre dalla data della delibera per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione per gli assenti - non prevede alcuna riserva dell'esercizio dell'azione di annullamento ad un “apposito autonomo” giudizio a ciò destinato, né fornisce alcuna indicazione che legittimi una tale conclusione.

Vale, pertanto, il principio generale secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente, che assume la posizione sostanziale di convenuto - al contrario dell'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore - nel contestare il diritto azionato con il ricorso, può proporre domanda riconvenzionale, anche deducendo un titolo non strettamente dipendente da quello posto a fondamento dell'ingiunzione (da ultimo, Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2020, n. 6091; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2018, n. 16564), e - per quel ci interessa – può esercitare l'azione di annullamento della delibera posta a fondamento del decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c.

Piuttosto, occorre soffermarsi sul pregnante significato che assume la disposizione dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel prescrivere le “modalità processuali” tramite le quali l'annullabilità della delibera dell'assemblea dei condomini può essere fatta valere in giudizio.

Si tratta di una disposizione che descrive il “modello legal-tipico” tramite il quale l'annullabilità della delibera assembleare può essere dedotta dinanzi al giudice: tale modello è quello dell'azione di impugnativa, da esercitare mediante la proposizione di apposita domanda giudiziale, nel senso che tale annullabilità può essere fatta valere in giudizio soltanto attraverso l'esercizio dell'azione di annullamento.

In altri termini, tale azione deve estrinsecarsi in una domanda che può essere proposta o “in via principale”, nell'àmbito di autonomo giudizio, oppure “in via riconvenzionale”, anche nell'àmbito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sempreché il termine per l'esercizio dell'azione di annullamento non sia perento (come avviene, ad esempio, nel caso in cui il condomino assente non abbia ricevuto comunicazione della delibera assembleare di riparto delle spese, laddove, più spesso, il termine risulta irrimediabilmente scaduto).

Di contro, la medesima annullabilità della delibera non può essere fatta valere - oltre che in via di azione, che costituisce la sola forma che consente una pronuncia con efficacia nei confronti di tutti i condomini - anche in via di eccezione, come è consentito per l'annullabilità relativa ai contratti (art. 1442, ultimo comma, c.c.).

Del resto, l'azione di impugnativa è un'azione costitutiva, volta alla rimozione della delibera con efficacia erga omnes, laddove, invece, l'eccezione ha il limitato scopo di paralizzare la domanda altrui ed ottenerne il rigetto, senza sollecitare la cancellazione della delibera viziata dal mondo giuridico, sicché, ove fosse consentito dedurre l'annullabilità della delibera in via di eccezione, la delibera che risultasse viziata sarebbe privata di validità solo nei confronti del condomino eccipiente, restando efficace nei confronti degli altri condomini.

Si puntualizza, infine, che, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, la mancata deduzione dell'annullabilità nelle forme prescritte dalla legge, ossia con l'azione di annullamento, dà luogo a decadenza per mancato compimento dell'atto previsto dalla legge, che è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento - a differenza di quanto vale per la decadenza discendente dalla scadenza del termine di cui all'art. 1137, comma 2, c.c., che è riservata all'eccezione di parte, ai sensi dell'art. 2969 c.c. - conseguendone che il giudice deve dichiarare inammissibile l'eventuale eccezione con cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente deduca l'eventuale annullabilità della delibera posta a fondamento dell'ingiunzione.

Osservazioni

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite si rivela abbastanza innovativa sul versante processuale, nel senso che, chiamate a perimetrare l'estensione del thema decidendum del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione degli oneri condominiali, si è stabilito che, in tale giudizio, purché a determinate condizioni - quanto a modalità e termini - il giudice possa sindacare la validità della suddetta delibera, su cui è fondata l'ingiunzione di pagamento, non essendo tale sindacato precluso perché riservato ad apposito giudizio avente specificamente ad oggetto l'impugnazione in via immediata della delibera medesima.

Ciò dovrebbe, però, comportare l'abbandono della tesi che escludeva il nesso di pregiudizialità tecnico-giuridica tra i due giudizi, sicché, qualora quello di impugnativa ex art. 1137 c.c. sia proposto in precedenza, spesso davanti al Tribunale, considerando l'ammontare complessivo della spesa deliberata, il Giudice di Pace, competente funzionalmente per valore ex art. 637 c.p.c., sull'opposizione a decreto ingiuntivo basato sullo stato di riparto approvato proprio con quella delibera, oggetto di precedente impugnazione, non potendosi i due giudizi riunire, deve sospendere quello davanti a lui, in attesa della definizione del giudizio pendente davanti al giudice togato.

Altrettanti interessanti sono stati i rilievi esplicitati dalle Sezioni Unite per risolvere la seconda questione - che forse doveva essere analizzata per prima per ragioni di priorità logica - riguardante il tipo di invalidità che inficia la delibera dell'assemblea condominiale che ripartisca le spese tra i condomini in violazione dei criteri dettati negli artt. 1123 ss. c.c. o dei criteri convenzionalmente stabiliti.

In particolare, si trattava di stabilire se una delibera siffatta debba ritenersi affetta da “nullità”, come tale rilevabile d'ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, oppure da mera “annullabilità”, deducibile nei modi e nei tempi previsti dall'art. 1137, comma 2, c.c.

Sul punto, la giurisprudenza tradizionale aveva affermato il principio secondo cui, riguardo alle delibere assembleari, aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con cui vengono stabiliti i criteri di ripartizione ex art. 1123 c.c. o sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con cui, nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., vengono in concreto ripartite le spese medesime, atteso che solo queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza, di 30 giorni, previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1995, n. 1455; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1993, n. 1213).

Lo stesso supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806, sull'abbrivio di Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 31), nel ribadire il principio appena richiamato, ha avuto cura di tracciare il discrimen tra le delibere assembleari “nulle” e quelle “annullabili”, nel senso che devono qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), quelle con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, quelle che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, quelle comunque invalide in relazione all'oggetto, mentre devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, e quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.

Nella motivazione di tale autorevole arresto, si individua il criterio distintivo tra nullità e annullabilità nella contrapposizione tra “vizi di sostanza”, come tali afferenti al contenuto delle delibere, e “vizi di forma”, afferenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle delibere assembleari: i primi ricorrerebbero quando le delibere presentano un oggetto impossibile o illecito, mentre i secondi ricorrerebbero quando le delibere sono state assunte dall'assemblea senza l'osservanza delle forme prescritte dall'art. 1136 c.c. per la convocazione, la costituzione, la discussione e la votazione in collegio, ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.

Tuttavia, tale criterio distintivo si è rivelato inadeguato specie con riferimento alle delibere assembleari aventi ad oggetto la ripartizione, tra i condomini, delle spese afferenti alla gestione delle cose e dei servizi comuni in violazione dei criteri stabiliti dalla legge (artt. 1123 ss. c.c.) o dal regolamento condominiale contrattuale.

È avvenuto così che, proprio nella materia dell'invalidità delle delibere che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri legali o convenzionali, si è delineato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Un primo indirizzo giurisprudenziale - rimasto fedele alla giurisprudenza tradizionale - ha affermato che sono affette da nullità soltanto le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono meramente annullabili - e, come tali, impugnabili nel termine di cui all'art. 1137, comma 2, c.c. - le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., determina “in concreto” la ripartizione delle spese medesime in violazione dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c. o stabiliti convenzionalmente da tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 21 luglio 2006, n. 16793; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17101; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708; Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2010, n. 6714).

Un secondo orientamento ha affermato - in senso diametralmente opposto - che le delibere dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto, e non meramente annullabili, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, trattandosi di invalidità da ricondursi alla “sostanza” dell'atto e non connessa con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2017, n. 19651); d'altra parte, tali delibere finiscono per incidere negativamente sulla sfera patrimoniale del singolo condomino, allo stesso modo delle delibere c.d. normative - che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese per il futuro - cosicché l'adozione di esse necessiterebbe dell'accordo unanime di tutti i condomini.

A fronte di questo rinnovato contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite ritengono di dover ribadire i principi già affermati con la propria sentenza n. 4806/2005, sia pure nei termini e con le precisazioni che seguono.

Al riguardo, si ricorda che, nel condominio, la volontà collettiva si forma mediante il metodo collegiale, che assegna ogni potere decisionale all'assemblea dei condomini, la quale delibera secondo il principio maggioritario: la volontà della maggioranza, formatasi secondo le regole ed i criteri previsti dalla legge, è infatti vincolante per tutti i condomini, anche per quelli assenti o dissenzienti (art. 1137, comma 1, c.c.).

La preoccupazione del legislatore di assicurare la certezza dei rapporti giuridici di un'entità così complessa, come il condominio degli edifici, spiega perché la relativa disciplina normativa sia improntata ad un chiaro favor per la stabilità delle delibere dell'assemblea dei condomini, che sono efficaci ed esecutive finché non vengano rimosse dal giudice (art. 1137, comma 3, c.c.), e perché tale disciplina non contempli alcuna ipotesi di nullità delle delibere dell'assemblea condominiale, che renderebbe le medesime esposte in perpetuo all'azione di nullità, proponibile senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse.

La recente riforma della normativa condominiale (l. n. 212/2012) ha, poi, accentuato il disfavore per le figure di nullità delle delibere assembleari: invero, il novellato art. 1137 c.c. configura ora espressamente l'impugnazione delle suddette delibere come una azione di “annullamento” - il testo originario non ne parlava espressamente - da proporre “contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio”.

Il tenore amplissimo della disposizione non lascia dubbi sull'intento del legislatore di ricondurre ogni forma di invalidità delle delibere assembleari, senza distinzioni, alla figura della “annullabilità” e di porre così a carico del singolo condomino l'onere - esigibile sul piano della diligenza - di verificare, una volta ricevuta comunicazione di una delibera dell'assemblea, la sussistenza di eventuali vizi della stessa e, in caso positivo, di impugnarla, chiedendone l'annullamento.

Il tenore dell'art. 1137 c.c. non deve, tuttavia, ingannare: esso non consente di ritenere che la categoria della nullità sia interamente espunta dalla materia delle delibere dell'assemblea dei condomini, poiché esistono categorie, nel mondo del diritto, che non sono monopolio del legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge, come, per esempio, con riferimento alle delibere dell'assemblea condominiale affette dai vizi più gravi.

Si tratta, allora, di verificare in quali termini le fattispecie di nullità, previste dall'art. 1418 c.c. per il contratto, possano valere per le delibere dell'assemblea del condominio ed in quali termini esse siano compatibili col carattere collegiale dell'assemblea e con il principio maggioritario, tenendo presente che l'àmbito in cui esse possono operare è, comunque, circoscritto dalla disciplina posta dall'art. 1137 c.c.: in particolare, nel compiere tale verifica, va tenuto presente che, con la disposizione dell'art. 1137 c.c., il legislatore - mosso dall'intento di favorire la sanatoria dei vizi ed il consolidamento degli effetti delle delibere dell'assemblea condominiale - ha elevato la categoria della annullabilità a “regola generale” dell'invalidità delle delibere assembleari, confinando così la nullità nell'area della residualità e dell'eccezionalità (ciò trova conferma nel fatto che, con la citata riforma del 2013, sono state introdotte - agli artt. 1117-ter, comma 3, e 1129, comma 14, c.c. - alcune speciali fattispecie di nullità, in tema, rispettivamente, di modificazioni delle destinazioni d'uso e di nomina dell'amministratore di condominio).

Tenendo presente quanto appena detto, le Sezioni Unite si danno carico di ricercare lo spazio che, nella disciplina codicistica del condominio, residua per la categoria della “nullità” con riguardo alle delibere dell'assemblea dei condomini.

Innanzitutto, proprio considerando il fatto che la categoria dell'annullabilità è stata elevata dal legislatore a regola generale delle delibere assembleari viziate, è possibile cogliere l'inadeguatezza del criterio distintivo tra nullità e annullabilità fondato sulla mera contrapposizione tra “vizi di sostanza” e “vizi di forma”.

Invero, l'art. 1137 c.c. sottopone inequivocabilmente al regime dell'azione di annullamento, senza distinzioni, tutte “le delibere contrarie alla legge o al regolamento condominiale”, per cui sono annullabili non solo le delibere assembleari che presentano vizi di forma, afferenti cioè alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, ma anche quelle che presentano vizi di sostanza, afferenti al contenuto del deliberato.

Afferiscono senz'altro al contenuto delle delibere dell'assemblea condominiale le numerose disposizioni di legge che disciplinano la ripartizione delle spese tra i condomini: così, innanzitutto, l'art. 1123 c.c., che detta il criterio generale, ma anche le altre disposizioni particolari che dettano specifici criteri di ripartizione con riferimento all'oggetto della spesa, come l'art. 1124 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la sostituzione delle scale e degli ascensori, l'art. 1125 c.c., in tema di ripartizione delle spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai - che, però, a ben vedere, non contempla alcun “riparto” tra i condomini, interessando solo i proprietari dei piani contrapposti - e l'art. 1126 c.c., in tema di ripartizione delle spese per le riparazioni o le ricostruzioni dei lastrici solari di uso esclusivo.

La violazione di tali disposizioni dà luogo a delibere assembleari “contrarie alla legge” con riferimento al loro “contenuto” e, perciò, affette da un vizio di “sostanza”, ma ciò non esclude che tale vizio rientri, in via di principio, tra quelli per i quali l'art. 1137 c.c. prevede l'azione di annullamento.

D'altra parte, deve escludersi che le delibere che ripartiscano le spese tra i condomini in contrasto con i criteri legali o convenzionali siano adottate in carenza di potere da parte dell'assemblea: infatti, il codice civile espressamente riconosce, tra le attribuzioni dell'assemblea condominiale da adottare con il metodo maggioritario, l'approvazione e la ripartizione delle spese per la gestione ordinaria e straordinaria delle parti e dei servizi comuni (artt. 1135 nn. 2 e 4, 1120, 1123, 1128 c.c.), e tali attribuzioni non vengono meno quando l'assemblea incorra in un “cattivo esercizio del potere ad essa conferito”, adottando un errato criterio di ripartizione delle spese, contrastante con la legge o con il regolamento condominiale.

Invero, l'attinenza di una delibera alle attribuzioni assembleari va apprezzata avendo riguardo alla corrispondenza della materia deliberata a quella attribuita dalla legge, ossia avendo riguardo all'esistenza del potere, e non al “modo in cui il potere è esercitato”; neppure le delibere che ripartiscono le spese tra i condomini in violazione dei criteri di legge o convenzionali potrebbero ritenersi nulle per il fatto che esse finiscono per incidere negativamente, pregiudicandola, sulla “sfera patrimoniale” dei singoli condomini (del resto, anche delibere pacificamente annullabili, come, ad esempio, quelle adottate in assenza di comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea a taluno dei condomini, possono provocare ricadute negative sul patrimonio di singoli condomini, ma ciò non vale a ritenere tali delibere affette da nullità).

In proposito, le Sezioni Unite ritengono che la categoria giuridica della nullità, riguardo alle delibere dell'assemblea dei condomini, abbia un'estensione del tutto residuale rispetto alla generale categoria della annullabilità, attenendo a quei vizi talmente radicali da privare la delibera di cittadinanza nel modo giuridico.

In particolare, la delibera condominiale deve ritenersi affetta da nullità nei seguenti casi: 1) per mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali - volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma - tale da determinare la deficienza strutturale della delibera (si pensi alla delibera adottata senza la votazione dell'assemblea, o a quella priva di oggetto, ossia mancante di un reale decisum o con un oggetto non determinato né determinabile, o a quella priva di causa, carente cioè di una ragione pratica giustificativa della stessa che sia meritevole di tutela giuridica, oppure a quella non risultante dal verbale dell'assemblea, sprovvista perciò della necessaria forma scritta; 2) per impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della delibera: l'impossibilità “materiale” dell'oggetto della delibera va valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato, mentre l'impossibilità “giuridica” dell'oggetto va valutata in relazione alle attribuzioni proprie dell'assemblea; 3) per illiceità, laddove la delibera assembleare, pur essendo stata adottata nell'àmbito delle attribuzioni dell'assemblea, risulti avere un “contenuto illecito” (art. 1343 c.c.), nel senso che il decisum risulta contrario alle norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.

Orbene, al di fuori di tali ipotesi, deve ritenersi che ogni violazione di legge determina la mera annullabilità della delibera, che può essere fatta valere solo nei modi e nei tempi di cui all'art. 1137 c.c.

Rimane, da ultimo, da stabilire nello specifico, alla luce dei criteri appena enunciati, se le delibere assembleari che ripartiscono le spese condominiali in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dal regolamento condominiale contrattuale configurino o meno una delle ipotesi di nullità sopra esaminate.

Il massimo organo di nomofilachia - così confermando quanto già affermato nel precedente dal 2005, ma con un'opportuna chiosa - ritengono che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell'oggetto ove l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere - oltre che per il caso oggetto della delibera - anche “per il futuro”, mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi “nel singolo caso deliberato”.

In proposito, si osserva che le attribuzioni dell'assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., alla verifica ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l'art.1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio.

Ne consegue che l'assemblea, la quale deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative), si troverebbe ad operare in “difetto assoluto di attribuzioni”, mentre, al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell'assemblea la delibera che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto una siffatta delibera non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dagli artt. 1123 ss.c.c. o stabiliti convenzionalmente, né è contraria a norme imperative, sicché tale delibera deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c.

A questo punto, non resta che augurarsi che l'autorevole arresto in commento metta la parola fine sulla vexata quaestio relativa alla corretta individuazione dei vizi attinenti alle delibere, per rispondere alle esigenze, per un verso, di certezza dei rapporti condominiali e, per altro verso, di affidamento di tutti gli operatori del settore.

Riferimenti

Scarpa, Opposizione a decreto ingiuntivo per spese condominiali e impugnazione della deliberazione assembleare, in Immob. & proprietà, 2019, 358;

Santarsiere, Opposizione al decreto ingiuntivo e confronto con l'impugnazione delle deliberazioni condominiali, in Arch. loc. e cond., 2015, 528;

Battaglia, Opposizione a decreto ingiuntivo e impugnazione di delibera assembleare, in Il Civilista, 2010, fasc. 12, 52;

Conte, Sul rapporto di pregiudizialità tra il processo d'impugnazione di delibera assembleare condominiale che approva il piano di riparto delle spese e il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo del condomino contro la pretesa creditoria del condominio, in Giur. it., 2008, 390;

Izzo, Il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo per il pagamento dei contributi condominiali non può essere sospeso per la pendenza del giudizio di impugnazione della relativa delibera, in Corr. giur., 2007, 482;

Carrato, L'opposizione a decreto ingiuntivo e l'impugnazione della delibera, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 6, 29;

Celeste, Nell'opposizione a decreto ingiuntivo la verifica dell'efficacia della delibera, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 8, 23;

Cimatti, Sul rapporto tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo condominiale ed impugnazione della delibera condominiale, in Rass. loc. e cond., 2005, 187.

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