Transfer pricing: necessaria la comparabilità delle transazioni

Fabio Gallio
21 Aprile 2021

In materia di transfer pricing l'Ufficio, per potere contestare i prezzi di trasferimento all'interno di un Gruppo multinazionale, deve procedere con l'analisi di transazioni comparabili, sia in termini di prodotti, che in termini di mercato. E questo anche nel caso in cui venga scelto il metodo c.d. “TNMM”.
Massima

In materia di transfer pricing l'Ufficio, per potere contestare i prezzi di trasferimento all'interno di un Gruppo multinazionale, deve procedere con l'analisi di transazioni comparabili, sia in termini di prodotti, che in termini di mercato. E questo anche nel caso in cui venga scelto il metodo c.d. “TNMM”.

Il caso

Con sentenza del 29 dicembre 2020, n. 3115, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano si è espressa in merito all'applicazione della normativa sul transfer pricing.

In particolare, da quanto si legge nella parte relativa allo svolgimento del processo, l'Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società ricorrente di avere acquistato dalle proprie controllate tunisina e indiana dei beni a prezzi non corretti secondo la normativa sui prezzi di trasferimento. Per questo motivo, erano stati ripresi in aumento alcuni costi.

L'analisi effettuata dall'Agenzia delle Entrate per rettificare i prezzi si era basato sul criterio del “TNMM” (metodo basato sul margine netto della transazione) che esamina il margine netto relativo ad una base adeguata (costi, ricavi, attivi, etc.) che un contribuente realizza da una transazione intercompany.

I giudici di Milano hanno accolto il ricorso della società, la quale, malgrado non avesse predisposto la documentazione relativa ai prezzi di trasferimento (Cfr. il Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate del 23 novembre 2020 n. 360494, il quale ha dato attuazione alla disciplina di cui all'art. 1, comma 6, e all'articolo 2, comma 4- ter, del d.lgs.18 dicembre 1997, n. 471, concernente la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al principio di libera concorrenza delle condizioni e dei prezzi di trasferimento praticati dalle imprese multinazionali), ha dimostrato come l'Agenzia delle Entrate, per giustificare le proprie eccezioni, avesse utilizzato degli studi di comparabilità completamente sbagliati, facendo riferimento a soggetti che, non solo operavano in mercati diversi a quelli di riferimento, ma anche che producevano beni completamente differenti da quelli del Gruppo italiano. Inoltre, parte contribuente è riuscita a dimostrare come i margini delle società estere del Gruppo erano allineati a quelli realizzati da altri soggetti, diversi da quelli considerati dall'Ufficio, che, però, producevano beni della stessa categoria merceologica di quelli prodotti dalle società controllate estere.

Le conclusioni della sentenza in esame sono coerenti con quelle di altre pronunce che hanno confermato che non possono essere considerati e, quindi devono essere esclusi dall'analisi dei prezzi di trasferimento, tutti quei soggetti che effettuano transazioni, la cui peculiarità della tipologia dei beni o dei servizi resi rende impossibile o incongruo il confronto (Così Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, dell' 11 giugno 2020 n. 977/11/20).

La questione

In merito, si ricorda che la disciplina dei prezzi di trasferimento in Italia è contenuta nel comma 7, dell' art. 110 , d.P.R. n. 917/1986 e recentemente ha subito delle modifiche (per un maggiore approfondimento su questo argomento, si rinvia alla Circolare Assonime n. 17 del 2017) (Anche la Circolare della Guardia di Finanza n.1 del 2018 si è occupata delle modifiche normative alla normativa in esame).

Tale norma, rubricata "Norme generali sulle valutazioni", disponeva, nella versione precedente a quella attualmente in vigore, che: "I componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva un aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri [...]. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l'impresa esplica attività di vendita e di collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti".

Come sostenuto dalla prevalente giurisprudenza, la normativa in esame non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del «transfer pricing» (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato, sicché la prova gravante sull'Amministrazione finanziaria riguarda non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, mentre incombe sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697, c.c. ed in materia di deduzioni fiscali, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall'art. 9, comma 3, TUIR (Cfr. ordinanza della Corte di Cassazione del 18 giugno 2020, n. 11837).

In altri termini, in difetto di prova, a carico dell'Ufficio, dello scostamento dalla normalità, non vi sono i presupposti per applicare la normativa sul transfer pricing (Cfr. Corte di Cassazione, con ordinanza 230 del 12 gennaio 2021).

Con l'art. 59, comma 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, il comma 7 dell'art. 110 è stato modificato.

Con il decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 14 maggio 2018, sono state fornite le linee guida per l'applicazione della nuova normativa in materia di transfer pricing.

La versione attuale prevede che le maggiori componenti di reddito sono determinate con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili

La soluzione giuridica

Da una semplice lettura del nuovo dettato normativo, si evince che è stato reso più esplicito, rispetto alla versione precedente, il fatto che uno degli elementi fondamentali dell'analisi delle transazioni è quello della comparabilità.

Tale nozione viene disciplinata dall'art. 3 del Decreto ministeriale in commento.

In particolare, in tale disposizione viene specificato che, tra le transazioni prese a riferimento, non ci devono essere differenze significative, che possono incidere sui prezzi delle transazioni analizzate o su altri indicatori finanziari, ma qualora si dovessero constatare alcune diversità, si dovrà procedere ad effettuare delle opportune rettifiche.

Inoltre, per determinare se due operazioni sono comparabili è necessario fare riferimento ad alcuni fattori rilevanti, quali:

  1. I termini contrattuali delle operazioni;
  2. le funzioni svolte da ciascuna delle parti coinvolte nelle operazioni, tenendo conto dei beni strumentali utilizzati e dei rischi assunti, inclusi il modo in cui queste funzioni si collegano alla più ampia generazione del valore all'interno del gruppo multinazionale cui le parti appartengono, le circostanze che caratterizzano l'operazione e le consuetudini del settore;
  3. le caratteristiche dei beni ceduti e dei servizi prestati;
  4. le circostanze economiche delle parti e le condizioni di mercato in cui esse operano;
  5. le strategie aziendali perseguite dalle parti.

Pertanto, da tale decreto si evince che il concetto di “prezzo giusto”, definito legislativamente, si uniforma al principio di libera concorrenza consigliato in via primaria dall'OCSE per la determinazione della congruità del prezzo di trasferimento. In breve, tale valore deve essere uguale o similare a quello che sarebbe stato pattuito per transazioni assimilabili da terze imprese indipendenti.

A questo punto è necessario ricordare che, al fine di verificare la correttezza della determinazione dei prezzi di trasferimento, sono stati elaborati alcuni criteri: i metodi basati sulla transazione (quello del confronto del prezzo, quello del costo maggiorato e quello del prezzo di rivendita) e i metodi basati sugli utili (quello della ripartizione dei profitti globali, quello della comparazione dei profitti, quello della redditività del capitale investito) (Il Ministero delle finanze ha fornito utili indicazioni sul fenomeno del “transfer pricing” nelle ormai datate C.M. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980 e n. 42/12/1587 del 12 dicembre 1981. Anche la Guardia di Finanza ha emesso le proprie istruzioni con la Circolare 1 del 2008).

Quasi tutti tali metodi sono stati richiamati dall'art. 4 del Decreto ministeriale in commento, il quale esprime una preferenza per il metodo del confronto del prezzo, stabilendo, però, che, in caso di maggiore affidabilità nelle analisi delle transazioni, è possibile per il contribuente utilizzare anche un criterio diverso da quelli elencati.

Osservazioni

In ogni caso, il Decreto conferma di fatto un principio fondamentale, ovvero che l'analisi dei prezzi di trasferimento si deve basare su elementi comparabili.

Infatti, viene sancito che, qualsiasi sia il metodo utilizzato, compreso quelli basati sugli utili, è necessario che le transazioni prese a riferimento siano confrontabili.

In caso contrario, la comparabilità dei prezzi non è possibile.

Del resto, come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate in provvedimenti precedenti a quello in commento (successivamente sono stati emessi il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 29 settembre 2010,prot. n. 2010/137654, la Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 58/E del 15 dicembre 2010, e la Circolare delle Dogane n. 16/D del 6 novembre 2015), l'analisi della comparabilità è l'elemento essenziale del modo di procedere, valide per ogni modalità di controllo adottata.

In particolare, tale analisi, secondo l'Amministrazione finanziaria deve avere per oggetto:

  • le caratteristiche dei beni e dei servizi;
  • e funzioni svolte, i rischi assunti ed i beni strumentali utilizzati;
  • i termini contrattuali;
  • le condizioni economiche ed in particolare ai lineamenti generali dei mercati di riferimento, siano essi di approvvigionamento, transito o sbocco;
  • le strategie d'impresa.

Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate l'analisi deve essere basata su elementi comparabili, altrimenti non è possibile effettuare le eventuali rettifiche.

La stessa giurisprudenza (cfr. CTR Lombardia, con la sentenza n. 69 del 7 giugno 2011) ha stabilito che l'Ufficio, per addivenire alle proprie conclusioni, deve scegliere un metodo di determinazione del prezzo più idoneo al caso, scegliere un mercato rilevante e scegliere i prodotti; scegliere degli indici di rilievo; effettuare i calcoli.

Inoltre, altri giudici hanno accolto l'appello della società ricorrente (cfr. CTR Lombardia, con la sentenza n. 3591/2016 del 16 maggio 2016), sostenendo che l'Ufficio non ha effettuato un'analisi corretta delle transazioni comparabili, in quanto ha posto a fondamento delle proprie determinazioni una pluralità di soggetti che nulla avevano in comune con le società i controllate dalla ricorrente. Infatti, per la determinazione del prezzo di trasferimento delle transazioni controllate, sarebbe stata necessaria la comparazione di operazioni similari in termini di prodotto e mercato, mentre non è stato sufficiente affermare che vi fosse un'analogia funzionale, senza peraltro, dimostrarla (dello stesso tenore la Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza n. 8905/23/16 del 10 ottobre 2016).

Si ricorda che altre sentenze di giudici di merito hanno sostenuto che l'analisi effettuata dall'Agenzia delle Entrate, per rettificare i prezzi, non si era basata su elementi comparabili e, quindi, le relative contestazioni che dovevano considerarsi infondate (cfr. Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza del 18 dicembre 2017, n. 7038/17, e CTP Milano, con sentenza del 18 aprile 2017, n. 2961).

In caso contrario, vi sarebbe una violazione della normativa contenuta nell'art. 110, comma 7, del TUIR.

Tali conclusioni sono confermate anche dalle linee guida dell'OCSE, di luglio dell'anno 2017 e successivi aggiornamenti. In particolare, analizzando quanto riportato nel paragrafo 2.29, si ricava che : “Sulla base dei principi menzionati al capitolo 1, la transazione sul libero mercato può essere paragonata a una transazione controllata (costituisce cioè una transazione comparabile sul libero mercato) ai fini del metodo del prezzo di rivendita se viene soddisfatta una delle due seguenti condizioni” e cioè non esistono differenze tra le transazioni comparate o sono possibili correzioni ragionevolmente adeguate per eliminare gli effetti di dette differenze.

Nella direttiva 2.47 si legge anche che “come nel caso del metodo del prezzo di rivendita, (vedasi paragrafo 2.34), quando esistono differenze sostanziali che incidono ulteriormente sui cost plus mark up ottenuti nel corso delle transazioni controllate sul libero mercato.... dovrebbero essere apportate le correzioni per tener conto di tale differenze. La misura e l'affidabilità di dette correzioni influenzeranno la relativa affidabilità delle analisi effettuate secondo il metodo del costo maggiorato applicato in determinati casi”.

Facendo riferimento ai metodi che fanno riferimento all'utile, il paragrafo 2.64 del commentario OCSE afferma che “il metodo basato sul margine netto della transazione opera in maniera simile ai metodi del costo maggiorato e del prezzo di rivendita. Tale similarità sta ad indicare che, ai fini di un'applicazione affidabile, il metodo basato sul margine netto della transazione deve seguire in maniera conforme i parametri di applicazione dei metodi del costo maggiorato e del prezzo di rivendita”. Tali criteri, come è stato già esposto, richiedono un'analisi di comparabilità fondata su elementi similari tra le società prese a riferimento, compresa quella basata sulla similarità dei prodotti.

Lo stesso paragrafo 2.75, richiede un elevato livello di similarità in relazione a numerosi aspetti dell'impresa associata e dell'impresa indipendente coinvolte nelle transazioni, affinché le transazioni collegate siano comparabili; sussistono vari fattori diversi, sia dai prodotti, che dalle funzioni, che possono influenzare gli indicatori di utile netto in modo significativo.

In sostanza l'OCSE fa presente che, se le differenze fra i beni da confrontare sono molto rilevanti, si può far luogo a modesti interventi correttivi, ma che se questi sono di grande misura, le analisi non possono essere considerate come affidabili.

Tali considerazioni valgono anche nel caso in cui le attività esercitate dalle società prese a confronto siano comprese nello stesso codice ATECO (cfr. Commissione Tributaria Regionale della Lombardia , con sentenza numero 3165/34/15 del 9 luglio 2015).

Inoltre, tale tesi non cambierebbe neppure quanto vengono utilizzati metodi alternativi a quelli tradizionali, quale quello del TNMM (cfr. CTP Lombardia, con la sentenza n. 539/1/16 del 28 gennaio 2016, e Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 4904/25/16, del 7 luglio 2016).

Sulla necessità della comparabilità delle transazioni, si espressa, infine, anche la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 15282 del 21 luglio 2015) che ha accolto i motivi del ricorso di un contribuente, il quale aveva impugnato una sentenza di una CTR, stabilendo che i giudici di secondo grado non avevano basato la propria decisione su un analisi delle differenze che vi erano nei prodotti presi a riferimento e in altri elementi.

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