Valida l'assemblea anche se viene convocato il condomino apparente: un principio discutibile

Edoardo Valentino
22 Aprile 2021

Con l'ordinanza in commento, il Tribunale di Catania respinge l'impugnazione di una delibera da parte di due condomini sulla base dell'inconferenza della circostanza da loro sostenuta, ossia che il soggetto convocato dall'amministratore non fosse effettivamente condomino, ma solo usufruttuario e, quindi, condomino apparente.
Massima

È valida l'assemblea anche se ad essere convocato non è il proprietario dell'immobile, ma il condomino apparente, a patto che non fosse dimostrato che l'amministratore conosceva la situazione di diritto dell'immobile nel condominio e, quindi, l'effettiva difformità della titolarità dello stesso.

Il caso

Due condomini agivano in sede giudiziale al fine di ottenere la revoca di una delibera assembleare.

L'azione, in particolare, era incentrata su diverse questioni di diritto.

In primo luogo, i proprietari contestavano la validità della costituzione dell'assemblea in quanto, al posto loro, era stato convocato l'usufruttuario dell'immobile, ritenuto a torto il vero condomino da parte dell'amministratore.

Secondo i proprietari, infatti, l'amministratore era da tempo stato avvertito della reale titolarità dell'immobile e avrebbe dovuto ritualmente convocare loro, in luogo dell'usufruttuario.

In secondo luogo, i ricorrenti contestavano una violazione del regolamento di condominio consistente nella mancata sottoscrizione dei verbali relativi all'assemblea di condominio da parte di tutti i condomini.

In ultimo i condomini avevano mosso delle contestazioni rispetto alla presunta illegittimità dei consuntivi approvati alla luce delle tabelle millesimali del condominio.

La vicenda primaria, però, era quella descritta al primo punto, ossia la presunta invalidità delle assemblee per la loro mancata convocazione e l'errata convocazione dell'usufruttuario.

La questione

L'oggetto dell'azione giudiziale in analisi è la contestazione della rituale convocazione dell'assemblea, sulla base dell'errata valutazione della qualità di condomino di uno dei convocati.

L'amministratore, infatti, non appurandosi della effettiva proprietà degli immobili, aveva convocato e svolto l'assemblea non alla presenza di tutti i proprietari, bensì di tutti i proprietari e un usufruttuario, in luogo degli effettivi aventi diritto. Questi si erano, quindi, risolti ad agire in giudizio, contestando l'invalidità della deliberazione

Le soluzioni giuridiche

Il principio alla base della presente sentenza è quello generale dell'apparenza del diritto e, in particolare, nel contesto condominiale, del c.d. condomino apparente.

In determinati casi, l'ordinamento prescrive che l'affidamento sulla qualità di una persona sia produttivo di effetti giuridici in quanto il soggetto che si era affidato era stato indotto a pensare che il soggetto presente avesse le qualità necessarie (ad esempio il mandatario apparente) o sia stato erroneamente convinto a causa di una carente verifica delle suddette qualità.

Nel contesto condominiale, chiaramente, la questione afferisce la presenza di un uno o più soggetti che, pur avendo la materiale disponibilità dell'immobile, non ne hanno la proprietà e non hanno quindi il ruolo di condomino.

La vicenda, in particolare, era già stata analizzata in un altro contesto dalla autorevole sentenza Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035), nella quale si affermavano principi chiari sulla gestione delle controversie relative al condomino apparente.

In estrema sintesi, la Cassazione aveva diviso la questione a seconda del contesto giudiziale o stragiudiziale.

Nel caso di controversia giudiziale avverso il condomino, infatti, ad esempio relativa al mancato pagamento delle spese condominiali, sarebbe spettato all'amministratore verificare l'effettiva qualità di condomino del soggetto passivo dell'azione, di tal che ogni errore sarebbe ricaduto sul professionista.

In ambito stragiudiziale, invece, l'amministratore avrebbe avuto meno conseguenze dall'erroneo affidamento sulla qualità di condomino di un soggetto che, per sue caratteristiche (ad esempio la costante presenza in assemblea o la scrittura di comunicazioni all'amministratore) appariva come tale.

Secondo la sentenza a Sezioni Unite, quindi, vicende analoghe dovevano essere decise nel seguente senso: «L'ipotesi non contenziosa del rapporto va mantenuta distinta da quella contenziosa. Le esigenze di celerità, praticità e funzionalità, addotte a giustificazione dell'applicazione dell'istituto dell'apparenza del diritto, valgono per l'ipotesi non contenziosa del rapporto, quando, cioè, l'apparente condomino non solleva alcuna contestazione provvedendo al pagamento degli oneri condominiali. In tal caso le violazioni dei rispettivi doveri (quelli di correttezza e di informazione a carico del condomino apparente e quelli di consultazione dei registri immobiliari a carico dell'amministratore) non rilevano; in particolare l'amministratore non è tenuto ad effettuare alcuna indagine, mediante consultazione dei pubblici registri (che può essere anche costosa e a volte complessa, con grave nocumento per la gestione condominiale) circa il vero proprietario dell'unità immobiliare, potendo oltretutto il problema essere affrontato anche in termini di adempimento del terzo (art.1180 c.c.)», e anche «Diversa è l'ipotesi contenziosa, quando cioè l'amministratore, in presenza di mancato pagamento, deve agire giudizialmente per il recupero delle spese condominiali. In tal caso, l'istituto dell'apparenza del diritto, che non è di natura processuale, bensì di natura sostanziale, non può valere a giustificare un'iniziativa giudiziaria svincolata dalla realtà; mentre la violazione dei rispettivi doveri va considerata, esigendo nel contempo un collegato giudizio di comparazione e bilanciamento tra situazioni contrapposte».

In buona sostanza, quindi, in caso di situazione stragiudiziale, spetterebbe ai proprietari illustrare la natura di condomino apparente dell'usufruttuario e la loro natura di condomini, anche alla luce dell'art. 1180 c.c. (in tema di adempimenti delle incombenze da parte dei terzi) che afferma, al comma 1, che «L'obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione».

Nel caso di specie, la sentenza del Tribunale di Catania rigettava la domanda dei ricorrenti.

Quanto ai motivi numero 2 e 3, in effetti, il Tribunale liquidava la questione sinteticamente, affermando per il punto 2 (ossia la mancanza delle sottoscrizioni di tutti i condomini) come di una mera irregolarità del verbale che non ne inficiava la validità, mentre per il terzo motivo (inerente alla presunta erronea applicazione dei criteri tabellari), il Tribunale lo rigettava considerandolo posto in termini generici e inaccoglibili.

La vicenda che appare di maggiore pregio giuridico, però, riguarda il rigetto della domanda relativa al primo motivo, ossia la mancata convocazione dei condomini e l'affidamento sul condomino apparente.

Secondo il Tribunale siciliano, infatti, nel solco della giurisprudenza delle Sezioni Unite citata, non sarebbe stato compito dell'amministratore sincerarsi della qualità di condomino del soggetto convocato, e quindi l'assemblea si sarebbe regolarmente svolta anche in presenza dell'usufruttuario.

Osservazioni

Pur correttarispetto ai principi giuridici in analisi, la sentenza di Catania lascia qualche interrogativo.

Non si mette qui in dubbio, infatti, il principio graniticamente espresso dalla Cassazione, ma non si può non domandarsi se, nel caso in oggetto, la vicenda meritasse una diversa attenzione.

Parrebbe, infatti, oltremodo limitativo decidere le controversie in merito alla presenza di un condomino apparente unicamente limitando la responsabilità dell'amministratore ad accertare la qualità dei condomini solo in caso di controversie giudiziali.

Risulta corretto, e in applicazione dei principi giuridici del diritto condominiale, che l'amministratore si sinceri della composizione del suo condominio ab origine.

La riforma del diritto condominiale introdotta dalla l.n. 220/2012 costituisce, è noto, uno spartiacque per la professione di amministratore di condominio.

Seguendo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità e delle associazioni di settore, infatti, il legislatore ha tentato (e per molti versi è riuscito) di dare una stretta al ruolo dell'amministratore, aumentandone i doveri, ma conferendo più professionalità al ruolo.

Un esempio che pare calzante nel presente caso, appare la modifica dell'articolo 1130 c.c., con la creazione della c.d. anagrafe condominiale.

Brevemente, si sottolinea come detta norma reciti che è compito dell'amministratore «curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili».

Tale incombenza non è una facoltà, ma vero e proprio dovere dell'amministratore.

Pare difficile, quindi, che se l'amministratore nel caso in questione avesse correttamente adempiuto al suo dovere, abbia errato incolpevolmente nel considerare l'usufruttario come condomino.

È facile supporre (ma sarebbe opportuno verificare le circostanze e i documenti prodotti in giudizio) che una regolare tenuta dell'anagrafe condominiale avrebbe potuto fugare ogni dubbio in merito alla proprietà delle unità immobiliari di tal che, pare veramente difficile parlare di errore scusabile dell'amministratore.

A parere di chi scrive, quindi, sarebbe opportuno emendare il principio espresso dalle Sezioni Unite nell'anno 2002, affermando che, anche in caso di controversia stragiudiziale, spetta all'amministratore l'onere di provare la regolare tenuta dell'anagrafe condominiale.

In assenza di questa, l'errore di convocazione dell'assemblea non pare scusabile, ma vero e proprio inadempimento dell'amministratore al proprio mandato professionale.

Riferimenti

Izzo, Sull'apparenza del diritto nel condominio e l'onere di consultazione dei registri immobiliari; in Giust. civ., 2002, fasc. 7-8, 1836;

Mazzieri, Spese condominiali ed accertamento della titolarità dell'immobile, la Suprema Corte pone termine a un dibattito ventennale sull'apparenza del diritto, in Giust. civ., 2003, fasc. 9, 1901;

Avolio - Ditta, Il principio dell'apparenza del diritto nell'individuazione del legittimato passivo per la ripartizione delle spese condominiali, in Riv. giur. edil., 2003, fasc. 6, 1453.

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