I labili confini dell'esenzione IVA nelle attività mediche e paramediche di “cura alla persona”

Gabriele Damascelli
13 Maggio 2021

Con sentenza del 4 marzo 2021 nella causa C-581/19, la Corte di Giustizia ha tracciato i limiti dell'esenzione IVA, ai sensi dell'art. 132 paragrafo 1 lett. c) della Direttiva IVA 112/2006, in relazione alle possibili finalità terapeutiche di un servizio di monitoraggio e consulenza nutrizionale, fornito da un professionista certificato all'interno di uno stabilimento sportivo, nel quale erano offerti anche servizi di benessere fisico e di fitness, chiarendo che le due prestazioni sono tra loro distinte ed indipendenti ed escludendo la prima dal campo di esenzione dell'imposta.
Massima

Con sentenza del 4 marzo 2021 nella causa C-581/19, la Corte di Giustizia ha tracciato i limiti dell'esenzione IVA, ai sensi dell'art. 132 paragrafo 1 lett. c) della Direttiva IVA 112/2006, in relazione alle possibili finalità terapeutiche di un servizio di monitoraggio e consulenza nutrizionale, fornito da un professionista certificato all'interno di uno stabilimento sportivo, nel quale erano offerti anche servizi di benessere fisico e di fitness, chiarendo che le due prestazioni sono tra loro distinte ed indipendenti ed escludendo la prima dal campo di esenzione dell'imposta.

Il caso

L'oggetto della sentenza in commento riguardava una società commerciale portoghese che esercitava un'attività di gestione di stabilimenti sportivi nei quali erano svolte contestualmente anche attività che promuovevano ed incentivavano la salute umana, come il monitoraggio e la consulenza nutrizionale o la valutazione fisica mediante un nutrizionista qualificato e certificato a tal fine.

Il servizio di monitoraggio nutrizionale non veniva assoggettato ad IVA da parte della società e, in quanto opzionale rispetto a quello fitness, una volta sottoscritto dal cliente veniva a questo fatturato a prescindere dal fatto che ne avesse beneficiato o meno ed a prescindere dal numero di consultazioni di cui egli aveva beneficiato.

L'amministrazione finanziaria portoghese riprendeva a tassazione IVA l'attività di monitoraggio nutrizionale qualificandola come “accessoria” a quella principale di fitness.

La Corte UE, correttamente, ha escluso qualsiasi “nesso” funzionale tra le due attività e, per quanto qui di interesse, ha evidenziato i limiti applicativi delle esenzioni previste dalla Direttiva IVA in tema di “cure alla persona” rispetto ai servizi di “consulenza nutrizionale” seppur offerti da un professionista certificato ed autorizzato a tal fine presso stabilimenti sportivi.

La questione

La posizione della Corte di Giustizia circa i limiti applicativi delle esenzioni in tema di cure mediche e paramediche. Le declinazioni del concetto di “finalità terapeutica”.

L'intervento della CGUE offre lo spunto per una ricognizione della posizione della giurisprudenza unionale in merito alle esenzioni previste dalla Direttiva IVA che gravitano, più o meno vicine, intorno alle prestazioni mediche e paramediche, esenzioni che vanno interpretate anche in funzione dell'evoluzione tecnologica e sociale di determinate scienze mediche (vedi ad es. la telemedicina o da ultimo la “declinazione” della pet therapy, nella recente risposta dell'Agenzia delle entrate più avanti accennata).

Le soluzioni giuridiche

L'art. 132, par. 1, della Direttiva IVA esenta alla lett. b) le operazioni di ospedalizzazione e le cure mediche nonché le operazioni ad esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici e diagnostici ed altri istituti della stessa natura debitamente riconosciuti, ed alla lett. c) le prestazioni mediche effettuate nell'esercizio delle professioni mediche e paramediche come definite dallo Stato membro interessato.

Entrambe le disposizioni, differenziate in base al “luogo” di erogazione della prestazione, si riferiscono a prestazioni destinate a diagnosticare, trattare e curare malattie o anomalie della salute (v. C‑86/09, punti 37 e 38, e C‑700/17, punto 20).

Riguardo in particolare le operazioni di cui alla lett. c), applicata al caso in esame, la Corte UE ricorda che dette attività si riferiscono a prestazioni mediche e paramediche, fornite al di fuori di un contesto ospedaliero sia al domicilio privato del prestatore sia a quello del paziente o in qualsivoglia altro luogo (v. C‑141/00, punto 36 e C‑86/09, punto 36, C-48/19, punto 20), la cui finalità deve essere terapeutica, ciò al fine di determinare la sua esenzione o meno da IVA.

Nel pensiero della Corte UE l'ulteriore condizione per l'esenzione della prestazione risiede nel “livello professionale” dell'operatore che fornisce la cura (v. C-443/04, punti 37 e 38) dal momento che, se è pur vero che ogni Stato membro è libero di definire le professioni mediche e paramediche il cui svolgimento è esente da IVA (vedi causa C-45/01, punto 81), tuttavia tale potere discrezionale non è illimitato, perché la norma (art. 132 par. 1 lett. c) mira a garantire che l'esenzione si applichi unicamente alle prestazioni mediche fornite da prestatori in possesso delle necessarie qualificazioni professionali.

Possono così rientrare nelle ipotesi esentative solo quelle prestazioni mediche che presentino un livello di qualità sufficiente, tenuto conto della formazione professionale dei prestatori, nonostante non sia obbligatorio, nell'interpretazione della Corte UE, che i prestatori esercitino una professione disciplinata dalla normativa dello Stato membro interessato, in quanto possono essere prese in considerazione altre efficaci modalità di controllo delle loro qualifiche professionali, in funzione dell'organizzazione delle professioni mediche e paramediche in tale Stato membro (v. C-597/17, punto 27).

La Corte UE individua così due direttrici per attrarre ad esenzione una specifica prestazione, quali la finalità terapeutica dell'attività prestata e la circostanza che tale operazione avvenga nell'ambito dell'esercizio delle professioni mediche e paramediche quali definite dallo Stato membro interessato, nel rispetto del principio di neutralità fiscale dell'operazione.

Il concetto di finalità terapeutica, nel pensiero della Corte UE, non deve essere inteso in un'accezione particolarmente rigorosa e restrittiva (vedi C-76/99, punto 23), dal momento che possono beneficiare dell'esenzione IVA tutte quelle prestazioni mediche effettuate allo scopo di tutelare, vuoi mantenendola vuoi ristabilendola, la salute delle persone (v. C-48/19 punto 29 e giurisprudenza citata).

Infatti, ricorda la Corte UE (C-212/01, punto 40 e C-106/05, punto 29), nelle ipotesi in cui le persone che sono state oggetto di esami o di altri trattamenti medici a carattere preventivo non soffrono di alcuna malattia o anomalia di salute, l'inclusione di tali prestazioni nella nozione di prestazioni mediche è conforme all'obiettivo di ridurre il costo delle spese sanitarie, da cui il beneficio di esenzione, consentendo l'osservazione e l'esame dei pazienti ancor prima che diventi necessario diagnosticare, curare o guarire un'eventuale malattia.

Nella sentenza in commento la Corte, sulla base delle argomentazioni svolte nel tempo in argomento, pur riconoscendo che un servizio di monitoraggio nutrizionale fornito nell'ambito di uno stabilimento sportivo potrebbe, a medio e lungo termine, essere uno strumento per prevenire talune malattie come l'obesità o per limitare l'insorgenza di malattie cardiovascolari, ha individuato, in linea di principio, una finalità sanitaria, ma non, o non necessariamente, una finalità anche terapeutica.

La Corte, in assenza di indicazioni specifiche che possano “convincerla” circa un fine di prevenzione, diagnosi e trattamento di una malattia prefissato dall'attività di monitoraggio nutrizionale, non potendo quindi collocare la prestazione tra quelle di “interesse generale” attratte dall'esenzione IVA, ha escluso l'attività in oggetto dal novero dell'art. 132 della Direttiva.

Ragionando diversamente, sostiene la Corte, ogni servizio rientrante in un'attività medica o paramedica, che abbia, anche in maniera velata, l'effetto di prevenire talune patologie, o che abbia un nesso semplicemente incerto con una patologia, senza rischio concreto di danno alla salute, rientrerebbe nell'esenzione prevista da tale disposizione.

Così ad esempio la CGUE ha negato l'esenzione IVA (C-86/09) alle attività consistenti nell'invio di un materiale di raccolta di sangue di cordone ombelicale dei neonati nonché nell'analisi e nel trattamento di detto sangue e nella conservazione delle cellule staminali contenute in tale sangue in vista di un eventuale futuro impiego terapeutico, “nell'ipotesi incerta in cui detto trattamento divenisse necessario”, quando non già finalizzato ad “evitare o a prevenire una malattia, una lesione o problemi di salute o ad individuare patologie latenti o nascenti”, così escludendo una finalità terapeutica prospettica in quanto tale incompatibile con l'art. 132 par. 1 lett. c) della Direttiva IVA (in termini analoghi v. anche C-212/01, C-394/04, C- 262/08, C-334/14).

L'individuazione dei limiti dell'esenzione IVA nelle prestazioni di cure mediche e paramediche haimpegnato la CGUE in diversi altri casi in cui il confine con l'assoggettamento ad imposta risultava labile.

Così ad esempio nell'ipotesi di prestazioni di cure mediche effettuate per telefono (causa C-48/19), la Corte ha ritenuto applicabile l'esenzione al ricorrere di precise finalità terapeutiche e ciò anche a prescindere dalla mancanza di prescrizione medica precedente la consultazione telefonica o di trattamento medico concreto conseguente a quest'ultima, ed ha così concluso anche in relazione all'obiettivo di ridurre i costi delle cure e nel rendere le stesse più accessibili ai singoli cittadini.

La Corte ha riconosciuto l'esenzione delle attività di consulto telefonico del medico, consistenti nella spiegazione della diagnosi, delle terapie possibili e delle modifiche dei trattamenti seguiti ed ha, di contro, escluso le finalità terapeutiche delle prestazioni finalizzate alla comunicazione di informazioni su patologie o terapie che non possono, a causa del loro carattere generale, contribuire a proteggere, mantenere o ristabilire la salute delle persone (causa C‑48/19, punto 27).

Ed ancora, nell'ipotesi di una società che offriva servizi di chirurgia estetica tanto cosmetica quanto ricostruttiva a fini terapeutici, conseguente a traumi, incidenti, malattie, oppure ad un handicap fisico congenito, la Corte UE (C‑91/12), riconoscendo che le cure mediche rientranti nell'esenzione della Direttiva IVA possono essere anche di natura psicologica, ha però chiarito che “la semplice convinzione soggettiva, che sorge nella mente del paziente che si sottopone ad un intervento estetico, non è di per sé determinante ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia o meno scopo terapeutico”, prerogativa invece esclusiva del personale (medico) qualificato a tale scopo.

L'indagine intorno alla “finalità” della prestazione di cura alla persona, quale criterio dirimente ai fini dell'esenzione IVA, appare ancor più evidente nel precedente della Corte C-307/01, in cui si discuteva circa l'esenzione delle attività peritali prestate da un medico, le cui finalità, per la Corte, non erano certo terapeutiche, bensì di “soddisfare una condizione legale o contrattuale prevista nel processo decisionale altrui”, così come gli esami medici effettuati per consentire ad un datore di lavoro di adottare decisioni relative all'assunzione o alle funzioni che un dipendente deve esercitare, il cui scopo finale è di fornire al datore di lavoro un semplice elemento “decisionale” ai fini contrattuali.

Al contrario, ha specificato la Corte UE in C-307/01, la redazione di certificati medici di idoneità, richiesti come condizione preliminare all'esercizio di un'attività professionale particolare o alla pratica di talune attività che richiedono una buona costituzione fisica, se finalizzati a dimostrare nei confronti di terzi che lo stato di salute di una persona impone limiti a talune attività o esige che esse siano effettuate in condizioni particolari, può rivelare una finalità terapeutica, analogamente ai controlli medici regolari istituiti dai datori di lavoro, i quali possono rientrare nell'esenzione purché siano diretti principalmente a permettere la prevenzione e l'individuazione di malattie e la verifica costante dello stato di salute dei lavoratori.

Un ulteriore spunto di riflessione ci viene offerto da C‑156/09, avente ad oggetto prestazioni di distacco di cellule della cartilagine articolare dal materiale cartilagineo prelevato da un essere umano ai fini della loro successiva riproduzione e reimpianto al donatore, qualificate come attività mediche, nonostante l'argomentazione contraria del Governo tedesco in causa, il quale sosteneva una violazione del principio di neutralità fiscale, sulla base dell'equiparazione del “cerotto cartilagineo” ad un prodotto farmaceutico non esente da IVA. La CGUE, correttamente, concludeva sul punto che “la qualificazione di un servizio come prestazione medica può dipendere solo dalla natura del servizio stesso, senza che sia rilevante la questione della disponibilità di un'alternativa farmacologica”, oltre al fatto che “alcune tipologie di cure hanno già un'alternativa farmacologica, mentre altre l'avranno probabilmente in futuro, cosicché le due categorie risultano in costante evoluzione”.

Quanto poi alla forma giuridica attraverso la quale possono essere svolte le prestazioni mediche, la CGUE in C-141/00 ha chiarito che le prestazioni di cure mediche o paramediche a carattere terapeutico effettuate da una società di capitali che gestisce un servizio di somministrazione di cure in loco, anche a domicilio, fornite da personale infermieristico qualificato, possono godere dell'esenzione IVA, dal momento che questa non dipende dalla forma giuridica del soggetto passivo che fornisce le prestazioni.

Di indubbio pregio la sintesi del concetto di “finalità terapeutica”, le cui svariate declinazioni rendono spesso arduo il compito della Corte UE nell'individuare i limiti di esenzione della prestazione, rintracciabile nelle conclusioni dell'Avvocato generale, nella causa C-212/01 (par. 66-68), secondo cui “Decisivo ai fini della questione se un intervento medico sia esentato dall'IVA non è dunque né il contenuto dell'attività medica svolta, né l'importanza che essa ricopre nella sfera di competenza del medico, quanto piuttosto lo scopo dell'attività”, in quanto non tutte le attività di un medico vengono esentate, ma solo quelle che perseguono uno scopo terapeutico.

Un ultimo spunto di riflessione sul tema qui brevemente trattato, concerne le prestazioni svolte dai medici veterinari, ontologicamente escluse da esenzione IVA come chiarito da tempo dalla Corte UE (v. C-122/87), ma ricomprese nell'agevolazione dell'art. 132 par. 1 lett. c) della Direttiva IVA, qualora finalizzate alla “cura della persona” nell'ambito dei servizi di pet therapy, sulla base delle Linee Guida stabilite in Italia dall'Accordo del 25.3.2015 tra Governo, Regioni e Province autonome, sottoscritto ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 281/1997, sul documento recante “Linee guida nazionali per gli interventi assistiti con gli animali (IAA)”.

Brevemente, l'approccio di Pet Therapy si declina secondo i tre modelli di Interventi Assistiti con gli Animali (IAA), quali la TAA - Terapia assistita con animali, la EAA - Educazione assistita con gli animali e la AAA - Attività Assistita con gli animali; tali interventi con “valenza terapeutica, riabilitativa, educativa e ludico-ricreativa”, prevedono l'impiego di animali domestici e si indirizzano prevalentemente a persone con disturbi della sfera fisica, neuromotoria, mentale e psichica.

La corretta applicazione degli IAA richiede il coinvolgimento di un'equipe multidisciplinare della quale fanno parte, oltre ad operatori sanitari, anche un medico veterinario specializzato in IAA, il quale procede a valutazione sanitaria e comportamentale dell'animale impiegato.

In argomento è stata di recente interpellata sul punto l'Agenzia delle Entrate (v. interpello n. 560 del 28.11.2020) la quale ha riconosciuto l'esenzione IVA, ai sensi dell'art. 10 c. 1, n. 27-ter del d.P.R. 633/1972, per le prestazioni di terapia assistita con gli animali, fornite con l'impiego di un cavallo, da parte di un'associazione senza scopo di lucro, munita di formale autorizzazione nonché di figure professionali sanitarie riabilitative, operante quale “struttura sanitaria privata semplice”, per l'erogazione di attività di ippoterapia per disabilità fisiche e psichiche, qualificabile dall'Agenzia quale “ente avente finalità di assistenza sociale” in base alle attività del suo Statuto.

Le conclusioni dell'Agenzia rappresentano un'ulteriore declinazione di quel concetto, alle volte opaco in quanto di difficile perimetrazione, di “cura alla persona” applicabile anche alle prestazioni mediche alla persona veicolate attraverso gli animali.

Osservazioni

Si ritiene che le argomentazioni fornite dalla CGUE nella sentenza qui in commento non siano del tutto soddisfacenti, nonostante questa abbia rimesso al giudice del rinvio l'indagine conoscitiva circa gli elementi di fatto che potranno eventualmente portare al riconoscimento dell'esenzione IVA dell'attività di monitoraggio nutrizionale, e ciò per un possibile “disallineamento”, interno alle conclusione della Corte UE, delle due condizioni della qualità della prestazione di cura offerta e del principio di neutralità fiscale.

La Corte UE, in relazione al primo profilo, ha chiarito (C-443/04) che l'esclusione di una determinata professione o di un'attività medica specifica dalla definizione delle professioni paramediche, come adottata dalla normativa nazionale di uno Stato membro ai fini dell'esenzione di cui alla Direttiva IVA, deve poter essere giustificata in base a motivi oggettivi, fondati sulle qualifiche professionali dei prestatori delle cure e, dunque, in base a considerazioni riguardanti la qualità delle prestazioni fornite. Secondo la CGUE gli Stati hanno, al riguardo, un potere discrezionale che comprende non soltanto quello di definire le qualifiche richieste per esercitare le dette professioni, ma anche quello di definire le attività mediche specifiche che rientrano in tali professioni. Pur tuttavia l'esigenza di un'applicazione corretta delle esenzioni non può consentire agli Stati di pregiudicare né gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva né i principi di diritto comunitario, ed in particolare quello di parità di trattamento (v. C-45/01, C-498/03, C-246/04), così che spetta ai giudici nazionali verificare se il singolo Stato abbia rispettato i limiti del potere discrezionale.

In relazione al secondo profilo, la CGUE ha affermato in argomento (v. C-366/12, C-156/09, C-443/04, C-498/03, C-109/02, C-45/01, C-141/00) la violazione del principio di neutralità fiscale qualora si assoggetti ad IVA una determinata attività medica o paramedica, nella misura in cui nel singolo Stato viene, contestualmente, riconosciuta l'esenzione in capo ad altre figure professionali per lo svolgimento delle medesime prestazioni.

Di conseguenza l'esclusione di una professione o di un'attività medica dall'esenzione IVA contrasta con il principio di neutralità fiscale qualora si possa dimostrare che le persone svolgenti la detta professione o attività dispongono, per la fornitura di tali prestazioni mediche, di qualifiche professionali atte a garantire a tali prestazioni un livello di qualità equivalente a quelle fornite da persone che beneficiano dell'esenzione in virtù della medesima normativa nazionale.

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