Occlusione della fogna condominiale: profili di nullità della delibera

Maurizio Tarantino
24 Febbraio 2021

Chiamato ad accertare la legittimità della delibera, nella parte in cui l'assemblea addebitava ad alcuni condomini le somme relative al risarcimento del danno - derivati all'appartamento di altra condomina a causa dell'occlusione della fognatura condominiale posta a valle dell'appartamento di questa - il Tribunale adito ha precisato che, senza l'effettiva responsabilità accertata e riconosciuta dal condomino, l'Assemblea non può addebitare le relative spese. Di conseguenza, la delibera è stata annullata.
Massima

In caso di condanna del condominio per l'occlusione del tratto terminale della condotta utilizzata da tutti i condomini, l'assemblea, non avendo autotutela, senza il voto di tutti i partecipanti, non può addebitare la spesa ad uno o solo ad alcuni dei compartecipi senza che la stessa responsabilità sia stata accertata e riconosciuta espressamente dal condomino stesso, o sia stata oggetto di accertamento giudiziale e conseguente condanna al pagamento.

Il caso

L'attore - quale proprietario di immobile sito al piano quinto della scala B, interno 13 -, conveniva in giudizio il Condominio al fine di ottenere la declaratoria di nullità della delibera condominiale del 2014 nella parte in cui disponeva che tutte le somme relative al risarcimento del danno, spese legali e di CTU, derivati all'appartamento della sig.ra Mevia e portate dalla sentenza resa dal Tribunale, fossero a carico dei proprietari degli appartamenti del quarto, quinto e sesto piano delle unità immobiliari situate nel secondo corpo di fabbrica dello stabile. A motivo dell'impugnativa, l'attore deduceva la nullità della delibera in considerazione delle risultanze tecniche disposte nel relativo giudizio, dove il CTU aveva individuato la causa dei danni lamentati dalla condomina Mevia, nell'occlusione della fognatura condominiale posta a valle dell'appartamento di questa, con il conseguente venir meno di ogni responsabilità dei proprietari degli appartamenti sovrastanti, ivi compreso, quello attoreo.

La questione

La questione in esame è la seguente: in mancanza di effettivo accertamento dei responsabili dell'occlusione della fognatura condominiale, l'Assemblea può addebitare il risarcimento ai proprietari degli immobili sovrastanti?

Le soluzioni giuridiche

A seguito dell'istruttoria di causa era emerso che l'Assemblea aveva assunto tale decisione, con espresso richiamo alla sentenza del 2011, con la quale era stata disposta la condanna del Condominio al risarcimento del danno sul presupposto che la rottura della condotta fecale condominiale era stata la causa dei danni all'appartamento di Mevia. Difatti, la detta fecale era strutturalmente a servizio esclusivo del 4°, 5° e 6° piano situati nel secondo corpo di fabbrica e, precisamente a servizio degli interni 11, 13 e 15; sicché, a carico dei proprietari degli interni 13 e 15, erano state addebitate tutte le somme, sia a titolo di risarcimento danni, di spese legali e di CTU conseguenti alla sentenza.

Tuttavia, secondo l'attore, l'assunto in base al quale l'Assemblea aveva ripartito gli oneri economici derivanti dalla richiamata sentenza - ravvisato nella “rottura della condotta fecale condominiale” - a carico solo di alcuni condomini (proprietari degli interni 13 e 15) non trovava riscontro negli accertamenti peritali effettuati tanto nel giudizio conclusosi con la sentenza indicata, quanto nell'odierno procedimento, non risultando in alcun modo tal circostanza. Difatti, dalla relazione del CTU era emerso che l'edificio era composto da due corpi di fabbrica, le cui due porzioni erano servite da due condotte (fecale e pluviale) solo “parzialmente” distinte; invero, queste si intersecavano e si raccordavano in diversi punti fino a giungere nella parte terminale a valle in un unico pozzetto di raccolta prima di immettersi nella fognatura pubblica. Pertanto, non era possibile, con assoluta certezza, stabilire il punto preciso in cui si era verificata l'occlusione all'origine della fuoriuscita di liquami provenienti dalla colonna fecale e determinanti il danno alla condomina, in quanto, all'atto dei sopralluoghi tecnici, tale occlusione non risultava più in atto.

Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, attesa la responsabilità generale del Condominio per l'occlusione del tratto terminale della condotta (res communis alla totalità dei condomini), secondo il giudicante l'Assemblea non aveva i poteri di autotutela, non potendo senza il voto di tutti i partecipanti, addebitare la spesa ad uno solo - o solo ad alcuni dei compartecipi - senza il suo consenso o senza che la stessa sia stata accertata e riconosciuta espressamente dal condomino stesso, o sia stata oggetto di accertamento giudiziale e conseguente condanna al pagamento (Trib. Milano 11 settembre 2015, n. 10247), essendo le attribuzioni dell'Assemblea, circoscritte alla sola verifica ed applicazione dei criteri di ripartizione delle spese necessarie per la conservazione e godimento delle parti comuni, nonché per la prestazione dei servizi nell'interesse comune, oltre che per le legittime innovazioni deliberate dalla maggioranza.

Del resto, osserva il Tribunale di Salerno, la ripartizione delle spese comuni deve sempre avvenire in base ai criteri previsti dall'art. 1123 c.c. o, eventualmente, dal regolamento condominiale contrattuale in quanto criteri diversi possono essere applicati solo previo consenso unanime dei condomini. Pertanto, in linea con l'orientamento prevalente della Suprema Corte, sono da ritenersi radicalmente nulle le delibere con le quali l'Assemblea di Condominio imputa una determinata spesa al singolo condomino invece di ripartirla tra tutti i partecipanti al Condominio in base ai millesimi di proprietà secondo i criteri di cui all'art. 1123 c.c. o di quelli posti dal regolamento condominiale, potendo, tali criteri, essere modificati solo con il consenso unanime di tutti i condomini e rimanendo annullabili le delibere con cui l'Assemblea determina in concreto la ripartizione delle spese medesime applicando erroneamente i criteri di cui all'art. 1123 c.c. (Cass. civ.,sez. II, 21 maggio 2012 n. 8010).

In conclusione, per i motivi esposti, la domanda è stata accolta; per l'effetto, la delibera è stata annullata.

Osservazioni

La pronuncia in oggetto è interessante in quanto si presta ad alcune precisazioni generali in merito agli aspetti afferenti l'occlusione della condotta fognaria del condominio.

Ebbene, uno dei problemi che si verifica all'interno di un edificio condominiale è certamente l'allagamento di parti esclusive a causa della rottura dell'impianto fognario/idrico. La causa è spesso rappresentata dalla vetustà delle condutture e dalla difficoltà di poterle monitorare o dalla presenza di vizi costruttivi che si manifestano anni dopo la realizzazione del caseggiato. Talvolta, però, tali allagamenti sono determinati dai singoli condomini o dal fatto di un terzo estraneo al Condominio o, infine, da eventi atmosferici di particolare rilevanza. In ogni caso, ogni qualvolta il fenomeno si verifica, si rende necessario individuare tempestivamente la conduttura danneggiata od eventualmente occlusa per i necessari interventi di manutenzione. In argomento, giova ricordare che la norma di cui all'art. 1117 c.c. contiene un'elencazione esemplificativa e non tassativa delle parti comuni dell'edificio oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari, annoverando, al n. 3), tra le altre, anche gli impianti idrici e fognari.

In proposito, una datata pronuncia di legittimità aveva precisato che “la presunzione di comunione dell'impianto idrico di un immobile in Condominio non può estendersi a quella parte dell'impianto stesso ricompresa nell'ambito dell'appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi e, di conseguenza, nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva - anche se questo sia allacciato a quello comune - servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri condomini” (Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1963, n. 2043). E ancora, con altra pronuncia di poco successiva, la Suprema Corte aveva ulteriormente specificato che “il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condomino è dato solo dalla loro destinazione. E il condotto di acque è di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio del singolo e comune in tutta la restante porzione, in cui a esso si innestano uno o più altri canali a servizio di altri condomini” (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1964, n. 2151).

Dunque, il criterio discretivo tra parti comuni e parti esclusive è quello della destinazione d'uso della singola tubatura, collegata all'impianto idrico. Questo criterio risulta ulteriormente confermato dalla giurisprudenza successiva, la quale più volte ha affermato che “in un Condominio la presunzione di comproprietà, prevista dall'art. 1117, n. 3), c.c. anche per l'impianto di scarico delle acque, opera con riferimento alla parte dell'impianto che raccoglie le acque provenienti dagli appartamenti e quindi che presenta l'attitudine all'uso e al godimento collettivo, con esclusione delle condutture (ivi compresi i raccordi di collegamento) che, diramandosi da detta colonna condominiale di scarico, servono un appartamento di proprietà esclusiva” (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 583).

Una delle novità introdotte dalla l. n. 220/2012 concerne proprio il termine “collegamenti” fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini. Per l'impianto in esame, tale collegamento consiste nel raccordo tra la colonna verticale di scarico e il tratto di competenza esclusiva, ovvero nella cosiddetta “braga”. Su tale argomento, la Cassazione ha posto in evidenza due orientamenti:

- Braga condominiale. Secondo tale orientamento, la proprietà dei tubi di scarico dei singoli condomini si estende fino al punto del loro raccordo con l'innesto nella colonna verticale, all'altezza di ciascun piano dell'edificio. Ne consegue che la parte della colonna di scarico che, all'altezza dei singoli piani dell'edificio condominiale, funge da raccordo fra tale colonna e lo scarico dei singoli appartamenti (braga) va qualificata come bene condominiale, proprio in relazione alla sua funzione e in quanto strutturalmente collegata al tratto verticale dello scarico, del quale costituisce parte essenziale (Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2012, n. 778). Di talché, in caso di rottura della braga, il Condominio deve risarcire i danni (Trib. Pescara 1 giugno 2016, n. 948).

- Braga non condominiale. Secondo altro orientamento,i canali di scarico sono oggetto di proprietà comune solo fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva e poiché la braga, quale elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale, di pertinenza del singolo appartamento, e la tubatura verticale, di pertinenza condominiale, è strutturalmente posta nella diramazione, essa non può rientrare nella proprietà comune condominiale, che è tale perché serve all'uso (e al godimento) di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II,3 settembre 2010, n. 19045). Quindi, secondo tale interpretazione, la c.d. braga (cioè l'elemento di raccordo fra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura verticale di pertinenza condominiale) non ha natura condominiale, in quanto serve soltanto convogliare gli scarichi di pertinenza del singolo appartamento (Cass. civ., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1027).

Premesso quanto innanzi esposto, in riferimento alla fattispecie oggetto di commento, il pregio della sentenza del Tribunale di Salerno è quello di aver posta l'attenzione sulle spese a carico dei condomini. Invero, abbiamo visto che la colonna di scarico delle acque nere, ossia la tubazione che consente il deflusso delle acque fognarie, è un impianto comune ai condòmini fino al punto di diramazione nelle singole unità immobiliari. In tale circostanza, il comma 3 dell'art. 1123 c.c. specifica che “qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità”. Si tratta del così detto Condominio parziale: una colonna di scarico in uso solamente ad una parte dei condòmini è una parte comune solamente a quei comproprietari che ne traggono utilità.

Conseguenza di tale considerazione è che la spesa per la sua conservazione dev'essere sostenuta solamente dai condòmini che la utilizzano, sulla base dei millesimi di proprietà, trattandosi di costo per la conservazione di quel bene. In conclusione, in caso di:

- danni alla tubatura orizzontale, che costituisce il canale di scarico della singola unità immobiliare, la relativa spesa dovrà essere affrontata dal proprietario di quest'ultima;

- danni alla tubatura verticale (colonna di scarico o fecale), alla quale sono allacciati gli scarichi dei singoli appartamenti, dovranno concorrere al pagamento della riparazione tutti i condomini che si avvalgono della colonna danneggiata. In tale ultimo caso, salvo diverso accordo tra i condomini, le spese per la manutenzione delle parti comuni saranno tra loro ripartite in base ai millesimi di proprietà da ciascuno detenuti;

- danni alla braga (raccordo tra la colonna verticale di scarico e il tratto di competenza esclusiva), in base al caso, occorrerà valutare la relativa spesa in base ai citati orientamenti.

Riferimenti

Tarantino, Le riparazioni delle colonne orizzontali serventi gli appartamenti condominiali, in Consulente immobiliare, 31 febbraio 2019, fasc. 1064, 509;

Tarantino - Pesce, Condannato il condominio per l'occlusione del discendente di scarico comune, in Consulente immobiliare, 28 febbraio 2019, fasc. 1062, 316;

Nicoletti, Impianto idrico e fognario, in Condominioelocazione.it, 31 luglio 2017.

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