Contratto con azienda sanitaria con effetti protettivi nei confronti del terzo e prescrizione del danno iure proprio

29 Novembre 2021

L'art. 2947 c.c., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine di prescrizione stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria e si applica perciò...
Massima

“L'art. 2947 c.c., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine di prescrizione stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria e si applica, perciò, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento del danno a tiolo di responsabilità indiretta, qual è un Ente ospedaliero, per fatto illecito di un medico dipendente”.

Il caso

Nel caso di specie, una coppia di coniugi adiva il Tribunale affinché, accertata la responsabilità dell'Azienda Ospedaliera per fatto del personale medico e paramedico, la stessa fosse condannata a risarcire tutti i danni dagli stessi subiti in ragione della morte della loro bambina, nata il 24 luglio 2001 e deceduta il successivo 28 ottobre. L'evento mortale era attribuito ad un'inadeguata assistenza nella fase post-operatoria successiva ad un intervento chirurgico, resosi necessario a causa di artesia congenita delle vie biliari: tale gravissima malformazione epatica affliggeva la bimba dalla nascita.

Gli attori chiedevano, altresì, il ristoro dei danni sia «iure proprio» (risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione dello stretto congiunto, o per la privazione del rapporto parentale) risentito dagli attori stessi in ragione della loro qualità e del vincolo familiare che indissolubilmente li legava alla figlioletta, sia «iure hereditatis». La Gestione Liquidatoria Azienda Ospedaliera si costituiva in giudizio eccependo l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda attorea, sul presupposto dell'intervenuta prescrizione quinquennale del diritto quesito, ex art. 2947, comma 1 c.c.

Gli attori, soccombenti, impugnavano il provvedimento, lamentando, per un verso, che il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sul capo di domanda relativo al risarcimento dei danni subiti «iure proprio», avendo applicato il termine prescrizionale del danno aquiliano; per altro verso, contestavano la sentenza del primo giudice in parte qua escludeva che la responsabilità contrattuale da «contatto sociale», asseritamente sussistente a carico dell'Ente ospedaliero nei confronti del paziente, potesse estendere i propri effetti anche in favore di soggetti terzi, richiedendo, in conclusione, l'applicabilità alla fattispecie del diverso termine di prescrizione decennale, vigente in tema di responsabilità contrattuale.

La Corte di Appello respingeva il gravame contro la sentenza del Tribunale di Verona, confermando il rigetto della domanda risarcitoria per intervenuta prescrizione quinquennale del diritto.

La causa giungeva in Cassazione.

La questione

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte, in tema di responsabilità medica, statuisce in ordine a due fondamentali questioni: il contratto con l'Azienda sanitaria con effetti protettivi nei confronti del terzo e la prescrizione per il danno iure proprio che, sebbene, è ribadito, soggiaccia al regime extracontrattuale, purtuttavia, ai sensi dell'art. 2947 c.c., può giovarsi della prescrizione decennale, stante il reato di omicidio colposo.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione si è pronunciata su due problematiche fondamentali: quella dell'estensione degli effetti protettivi della responsabilità da contatto sociale (oltre che alla persona soggetta alle cure) anche ai genitori, con conseguente esclusione del riconoscimento del termine di prescrizione decennale; e quella relativa alla mancata applicazione, da parte delle corti di merito, del termine di prescrizione da reato.

Pur ritenendo il primo motivo di ricorso infondato, la Suprema Corte fa chiarezza sugli effetti protettivi della responsabilità da contatto sociale verso i terzi.

Non si discute in ordine alla pretesa risarcitoria avanzata dai genitori (come rappresentanti della figlia minore) per inadempimento del contratto concluso con la struttura sanitaria per danni fatti valere iure hereditatis, bensì sulla possibilità di considerare i genitori “terzi protetti dal contratto”, con conseguente applicazione del termine di prescrizione decennale, ex contractu, al credito risarcitorio per i danni iure proprio, in luogo di quello quinquennale.

Richiamando i propri precedenti, la Cassazione ha statuito che la figura dei c.d. “terzi protetti dal contratto” deve essere limitata, nell'ambito della responsabilità medica, ai casi di “danni da nascita indesiderata”, ove, nel rapporto contrattuale tra puerpera e struttura, incentrato sulla gestazione e/o il parto, la madre assume quasi la qualità di soggetto “esponenziale” degli interessi di tutto il nucleo familiare e non solo del nascituro.

Al di fuori di questa ipotesi, l'azione per la perdita o la lesione del rapporto parentale va ritenuta di natura esclusivamente aquiliana. Infatti, in tema di responsabilità contrattuale, la relazionalità della violazione di un rapporto obbligatorio prescinde dall'ingiustizia del danno: la rilevanza dell'interesse leso, infatti, corrisponde all'interesse alla prestazione dedotta in obbligazione.

Per affermare l'efficacia protettiva del contratto verso terzi, occorre che l'interesse di cui i terzi siano portatori risulti strutturalmente connesso a quello dedotto in obbligazione, ovvero, detto diversamente, l'interesse dei terzi deve essere identico a quello dello stipulante.

D'altra parte, un'estensione generalizzata degli effetti contrattuali protettivi finirebbe per contraddire il principio di relatività degli effetti del contratto (art. 1372 c.c.).

Quanto al secondo motivo di impugnazione, ossia quello concernente il termine di prescrizione da reato, la Corte afferma che, essendo la domanda giudiziale prospettata come astrattamente riconducibile al delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.), ai sensi dell'art. 2947, comma 3, c.c., il termine di prescrizione doveva essere ritenuto decennale, in ossequio alla prescrizione del delitto di omicidio colposo nella previsione applicabile, ratione temporis, dell'art. 157 c.p. (nella versione anteriore alla modifica operata dalla l. n. 251/2005).

Osservazioni

La decisione de qua riguarda la pretesa risarcitoria di una coppia di coniugi derivante dalla morte della loro figlia all'esito di due interventi chirurgici alla quale la stessa fu sottoposta a pochi mesi di vita.

I genitori, dopo aver ricordato come l'azione intrapresa contro la struttura ospedaliera fosse volta a conseguire il ristoro dei danni subiti tanto "iure proprio" quanto "iure hereditatis", censuravano la decisione della Corte d'Appello per aver escluso il risarcimento dei primi, dolendosi, in particolare, del fatto che il giudice di appello (al pari del giudice di primo grado, il quale escludeva che la responsabilità contrattuale da «contatto sociale», sussistente a carico dell'ente ospedaliero nei confronti del paziente, potesse estendere i suoi effetti anche in favore di soggetti terzi), avesse negato che potesse esservi estensione degli effetti protettivi del contratto nei propri confronti, oltre che della minore soggetta alle cure della struttura stessa.

Pertanto, nel giudizio di appello, non si sarebbe discusso della pretesa risarcitoria che i genitori avevano correlato all'inadempimento del contratto da essi concluso con la struttura ospedaliera in qualità di rappresentati della figlia minore, con riferimento ai danni dalla stessa direttamente subiti e fatti valere "iure hereditatis", quanto, piuttosto, della possibilità di considerare i ricorrenti quali terzi protetti dal contratto, con conseguente applicazione al credito risarcitorio per i danni "iure proprio" dai medesimi patiti, del termine decennale di prescrizione, in luogo di quello quinquennale di cui all'art. 2947 c.c.

Ebbene, l'infondatezza del motivo addotto fa leva su precedenti giurisprudenziali (Cass. civ., Sez. 3, 8 maggio 2012, n. 6914; Cass. civ., Sez. 3, 20 marzo 2015, n. 5590) che riconducono all'art. 2043 c.c. la pretesa risarcitoria relativa ai danni da lesione del rapporto parentale.

Con riferimento alla figura dei terzi protetti dal contratto, si precisa che l'ambito di applicazione deve essere circoscritto, in tema di responsabilità medica, al solo «sottosistema» dei c.d. «wrongful birth damages" (così, anche Cass. civ., Sez. 3, 8 luglio 2020, n. 14258; Cass. civ., Sez. 3, 6 marzo 2020, n. 14615); sicché, al di fuori di queste ipotesi, l'azione per perdita o la lesione del rapporto parentale è esclusivamente di natura aquiliana.

Come osserva la Corte, il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella necessaria relazionalità del rapporto negoziale e nella conseguente violazione di un rapporto obbligatorio; peraltro, il danno derivante dall'inadempimento dell'obbligazione non richiede la qualifica dell'ingiustizia, richiesta nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, perché la rilevanza dell'interesse leso dall'inadempimento non è sottoposta al previo scrutinio di meritevolezza di tutela alla stregua dei principi dell'ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500), ma alla corrispondenza dell'interesse alla prestazione dedotta in obbligazione (ex art. 1174 c.c.), essendo, dunque la fonte contrattuale dell'obbligazione idonea a conferire rilevanza giuridica all'interesse regolato (Cass. civ., Sez. 3, 11 novembre 2019, n. 28991).

Su tali basi, dunque, si è affermato che, stante la relazionalità della responsabilità contrattuale (art. 1372 c.c.), è proprio la natura dell'interesse a segnare il perimetro entro il quale risulta possibile integrare — anche in chiave di efficacia protettiva verso i terzi, ex art. 1375 c.c. — il contenuto del contratto, consentendo, in tal modo, anche a soggetti che non rivestono la qualità di parte negoziale, di agire a norma dell'art. 1218 c.c.

In questa prospettiva, pertanto, l'interesse corrispondente alla prestazione, per non ricadere nel motivo, irrilevante dal punto di vista contrattuale, dev'essere intrinsecamente connesso all'interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e, dunque, rilevante quale causa del contratto e non attenere alla soddisfazione di un contingente ed occasionale bisogno soggettivo (Cass. civ., Sez. 3, n. 28991 del 2019).

Ne consegue che, per postulare l'efficacia protettiva del contratto verso i terzi, occorre che l'interesse di cui essi siano portatori risulti sostanzialmente sovrapponibile a quello regolato dalla programmazione negoziale; ne viene che, nell'ambito delle prestazioni mediche, la figura del contratto con efficacia protettiva verso i terzi trova il suo luogo di emersione esclusivamente nelle relazioni contrattuali intercorse tra la puerpera e la struttura sanitaria che ne segua la gestazione e/o il parto.

La prescrizione per il danno iure proprio, sebbene soggiaccia al regime extracontrattuale, purtuttavia, ai sensi dell'art. 2947 c.c., può giovarsi della prescrizione decennale, stante il sotteso reato di omicidio colposo.

La Corte ritiene corretto stimare in anni dieci il termine di prescrizione ex art. 2947 comma 3 c.c., tenuto conto che, al momento della commissione del fatto (28 ottobre 2001) vigeva, "ratione temporis", il testo di cui all'art. 157 c.p. anteriore alle modifiche apportate dall'art. 6, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251.

Tale termine decennale, prima dell'instaurazione del giudizio, era stato validamente interrotto dalla missiva del 21 ottobre 2011, in forza della quale i ricorrenti avevano richiesto il risarcimento del danno, ben potendo la Corte procedere a tale apprezzamento, atteso che l'eccezione di interruzione della prescrizione integra un'eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d'ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti, dovendosi escludere, altresì, che la rilevabilità dell'eccezione di prescrizione, consentita solo ad istanza di parte, possa trovare applicazione al caso di specie.

Non ha fondamento di diritto positivo, argomenta sul punto la Corte di legittimità, assimilare al regime di rilevazione di un'eccezione in senso stretto quello di una contro-eccezione - quale deve intendersi l'interruzione della prescrizione - né può validamente addursi l'argomento secondo il quale il termine di prescrizione ex art. 2947 comma 3 c.c., possa farsi valere solo nei confronti degli ipotetici autori del reato, ovvero i sanitari, ma non nei confronti della struttura sanitaria.

Statuiscono, sul punto, i massimi giudici che l'art. 2947 c.c., allorquando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine di prescrizione stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria e si applica, perciò, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all'azione civile azionabile nei confronti di coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta, ovvero, nella fattispecie, avverso l'ente ospedaliero responsabile per il fatto illecito di un medico proprio dipendente (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 6 febbraio 1989, n. 729; Cass. Sez. 3, sent. 28 ottobre 1978, n. 4937; Cass. Sez. 3, sent. 14 maggio 1977, n. 1941).

Riferimenti

NARDI V., nota a Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2020, n. 19188, in Resp. Civ. e prev., 2021, 469.

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