Responsabilità per omessa vigilanza del paziente da parte della RSA
17 Dicembre 2021
Massima
La richiesta di risarcimento iure proprio da perdita del rapporto parentale, avanzata dal figlio di una paziente affetta da problemi psichici e residente presso una RSA dove è deceduta, ha natura extracontrattuale. Spetta al danneggiato fornire la prova che la struttura fosse a conoscenza della situazione psicopatologica della paziente. La circostanza che la paziente avesse mantenuto una condotta tale da non far presagire il compimento di un gesto estremo rende del tutto imprevedibile l'evento suicidario, con conseguente esclusione di responsabilità in capo alla struttura. Anche se la caduta dal terrazzo fosse stata accidentale, il fatto che il parapetto rispondesse ai requisiti di legge configura l'assoluta imprevedibilità dell'evento. Il caso
L'attore conveniva in giudizio una struttura assistenziale per non autosufficienti, ove la propria madre era ospite, al fine di sentirla condannare al risarcimento del danno iure proprio patito in conseguenza della morte della stessa, precipitata dalla terrazza del piano in cui alloggiava. In particolare, l'attore lamentava la mancata custodia e vigilanza da parte del personale, soprattutto alla luce del noto quadro psicopatologico in cui la madre versava e caratterizzato da un disturbo schizofrenico disorganizzato-disturbo schizoaffettivo.
Si costituiva la struttura, negando la sussistenza di qualsivoglia obbligo di custodia e vigilanza a proprio carico, trattandosi di residenza deputata all'accoglimento esclusivamente di persone anziane non autosufficienti e non anche di pazienti psichiatrici. Aggiungeva, inoltre, di non essere mai stata messa al corrente della storia clinica della paziente e che, peraltro, dal documento di accettazione della stessa presso la struttura emergeva unicamente un disturbo bipolare, tenuto sotto controllo con terapia farmacologica. Sosteneva, inoltre, l'Istituto come la paziente avesse sempre mantenuto un comportamento lineare, tale da non evidenziare alcun intento suicidario e che, in ogni caso, anche a voler ammettere che ella fosse caduta accidentalmente dal terrazzo, questo rispettasse i requisiti di legge. Da ultimo, la struttura negava la spettanza del risarcimento invocato dall'attore, avendo questi qualificato come contrattuale la responsabilità della convenuta, pur domandando i danni patiti iure proprio, salvo poi rimettere al Giudice la corretta qualificazione della relativa domanda. Il Tribunale trevigiano, con la sentenza in commento, perviene ad escludere la responsabilità della struttura per omessa custodia e vigilanza. La motivazione, come si dirà infra, appare tuttavia in dissonanza rispetto all'indirizzo interpretativo fornito dalla Suprema Corte in subiecta materia. La questione
La residenza assistenziale per non autosufficienti risponde della violazione degli obblighi di custodia e vigilanza nell'ipotesi di suicidio del paziente o anche solo di caduta accidentale dal terrazzo del piano ove alloggiava? Le soluzioni giuridiche
Con la pronuncia in esame, il Tribunale trevigiano affronta, anzitutto, il tema della qualificazione giuridica della domanda risarcitoria formulata nei confronti della struttura. La natura extracontrattuale dell'azione si impone per il semplice – e condiviso – motivo che l'attore ha richiesto i danni che egli avrebbe patito iure proprio a seguito di una condotta generatrice di responsabilità aquiliana nei propri confronti.
Viene correttamente rigettata dal Tribunale, invece, la prospettazione attorea che muove dagli effetti protettivi verso i terzi del contratto di spedalità per giungere alla predicata affermazione della responsabilità ex contractu della struttura: le tesi appare eccentrica rispetto al costante insegnamento della Suprema Corte, che fa leva sulla medesimezza di interesse perseguito dal contraente e che si limita ad estendere l'effetto del rapporto tra la struttura e la gestante al nascituro e al padre dello stesso (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2021, n. 21404; Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2020, n. 14615; Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2020, n. 14258; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2015, n. 5590; Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2012, n. 6914).
Ciò chiarito e premesso, il Tribunale, nel merito, non ha ritenuto provata la “condotta omissiva tenuta dall'Istituto convenuto”, sia per la “possibilità da parte di quest'ultimo di prevedere l'evento suicidario della madre”, sia per la “possibilità di evitarlo adottando la necessaria diligenza”. A fondamento del rigetto, peraltro, il Tribunale rimarca la mancanza di prova che la struttura assistenziale fosse stata a conoscenza della situazione psicopatologica della paziente, essendo noto esclusivamente il disturbo bipolare e avendo la stessa tenuto sempre un “comportamento lineare” (e la circostanza è rafforzata dal fatto che il medico curante concedeva alla paziente “di uscire in terrazza, con cadenza oraria, per fumare una sigaretta”). Il suicidio della paziente, pertanto, finisce per rappresentare un evento imprevedibile, alla stessa stregua dell'ipotesi di caduta accidentale dal terrazzo, essendo questo rispondente ai requisiti di legge. La pronuncia appare sostanzialmente allineata rispetto ad una precedente sentenza del Tribunale di Rovigo (Trib. Rovigo, sez. I, 15 febbraio 2018), nella quale, premesso che il dovere di vigilanza è maggiore nei pazienti che abbiano posto in essere condotte autolesionistiche o abbiano manifestato intenti suicidari, il giudice rodigino giunge alla conclusione che, ove manchi la prova della conoscenza da parte dei sanitari di tali circostanze, l'avvenuto suicidio rappresenta un evento del tutto imprevedibile, idoneo, pertanto, ad escludere la responsabilità dei sanitari e della struttura. Osservazioni
La pronuncia in esame, come sopra accennato, sembra porsi in contrasto rispetto ai dicta della giurisprudenza di legittimità quanto alla configurabilità della responsabilità della residenza per anziani -e, più in generale, della struttura sanitaria - in ipotesi come quella appena descritta. Costituisce ormai ius receptum, infatti, il principio secondo cui l'obbligazione dell'ente ospedaliero non si esaurisce nella mera prestazione delle cure mediche, ma include la protezione della persona destinataria dell'assistenza (cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 26 maggio 2020, n. 9714; Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22331; Cass. civ., 3 marzo 2010, n. 5067).
L'adeguata sorveglianza del paziente, inoltre, rientra nella diligenza esigibile dalla struttura ospedaliera ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c.
Scendendo alla disamina della fattispecie che ci occupa, i principi ribaditi dalla Suprema Corte avrebbero dovuto condurre il Tribunale a ritenere ininfluente l'assenza di prova sulla mancata conoscenza da parte della struttura dei disturbi psichici di cui era affetta la paziente (a tacere dell'inversione dell'onere probatorio operato dal giudice sul fortuito che, difformemente all'interpretazione tralatizia dell'art. 1218 c.c., non è stato fatto ricadere sull'ente debitore) e ciò per diversi ordini di ragioni:
Ma non solo. La prestazione di sorveglianza corrisponde ad un ben preciso interesse del paziente creditore, che è quello di potere essere sottoposto alle cure in ambiente adeguatamente protetto ed esente da qualsiasi rischio, per sé ed altri e tale interesse, oltre ad essere un elemento costitutivo dell'obbligazione (la prestazione, ex art. 1174 c.c., deve corrispondere ad un interesse del creditore) e a rappresentare un criterio della determinazione della prestazione (per tutto ciò che non è specificato nel titolo, la prestazione si determina secondo lo sforzo normalmente adeguato a soddisfare l'interesse del creditore), concorre ad integrare la causa del contratto (C.M. Bianca, Diritto Civile, 4. L'obbligazione, Giuffrè, Milano, 2019, pagg. 41 e ss.).
Qualsiasi struttura sanitaria, per concludere, nel momento stesso in cui accetta il ricovero d'un paziente, stipula un contratto dal quale discendono naturalmente, ai sensi dell'art. 1374 c.c., due obblighi: il primo è quello di apprestare al paziente le cure richieste dalla sua condizione; il secondo è quello di assicurare la protezione delle persone di menomata o mancante autotutela, per le quali detta protezione costituisce la parte essenziale della cura (ancora Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22331).
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