Il diritto d'uso esclusivo delle facciate non può essere riservato, anche se al momento di costituzione del condominio, ad un solo condomino
27 Gennaio 2022
Massima
Il diritto d'uso esclusivo delle facciate, attribuito dagli originari comproprietari dell'intero stabile a sé medesimi ed ai propri aventi causa al momento della costituzione del condominio (coincidente con il primo atto di vendita di una delle unità immobiliari in esso comprese), non è cedibile a terzi, atteso l'espresso divieto sancito in proposito dall'art. 1024 c.c. Le facciate di un edificio svolgono, di per sé, non tanto una funzione “statica e di copertura laterale” dell'edificio stesso, quanto piuttosto una funzione “estetica” o di “decoro architettonico” del fabbricato, determinandone la fisionomia e rendendolo (possibilmente) esteticamente gradevole. Conseguentemente, deve ritenersi che riservare l'uso esclusivo di tali parti comuni dell'edificio ad uno soltanto dei condomini, sia pure al fine specifico di installarvi pannelli pubblicitari, comporti di per sé la sottrazione agli altri partecipanti al condominio del diritto di godimento della cosa comune loro spettante ed il relativo svuotamento della relativa proprietà nel suo nucleo essenziale. Il caso
Il Tribunale di Milano respingeva la domanda con la quale un condominio aveva chiesto che altra condomina (nella specie: società a responsabilità limitata) venisse condannata alla definitiva rimozione da due facciate dell'edificio delle strutture per i pannelli pubblicitari ivi installati. Il tutto con la condanna della convenuta alla restituzione dei fruttipercepiti e percipiendi per il prolungato uso, oltre l'accertamento, in capo alla stessa, della insussistenza della titolarità del diritto d'uso su dette parti comuni. Avverso tale sentenza, il condominio proponeva appello, riproponendo le domande formulate in primo grado e lamentando una errata valutazione delle prove documentali, dalle quali risultava che il diritto d'uso esclusivo dei frontespizi non era stato concesso dal venditore nel momento di costituzione del condominio (e questo avrebbe realizzato le condizioni di cui all'art. 1117, comma 1, c.c.), ma in un momento successivo. Il Tribunale - sempre a dire dell'appellante - non aveva preso in considerazione l'eccezione di intrasmissibilità del diritto d'uso ex art. 1024 c.c., attesa la natura personale dello stesso. La Corte d'Appello riteneva fondato il gravame e riformava la sentenza di primo grado, condannando l'appellata a rimuovere dai frontespizi dell'edificio condominiale le strutture ivi apposte per il loro sfruttamento a fini pubblicitari. La questione
Il thema decidendum, oggetto della sentenza in commento, riguarda la possibità di applicare alle parti comuni del condominio la norma che disciplina il diritto d'uso compreso nella categoria dei diritti reali, che è stata considerata e trattata dal legislatore come un numerus clausus. Le soluzioni giuridiche
Il giudice dell'appello ha preliminarmente richiamato la pronuncia della Corte Suprema, intervenuta nelle more del gravame (Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 2020, n. 28972), secondo la quale la pattuizione avente ad oggetto l'attribuzione del c.d. diritto reale di uso esclusivo su una porzione condominiale (nella specie: cortile comune), essendo finalizzata alla creazione della figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere sul diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, come configurato dall'art. 1102 c.c., è preclusa dal principio del numerus clausus insito nelle norme del codice civile. Da ciò consegue che è necessario verificare se con la pattuizione, che abbia contemplato siffatta attribuzione al momento della costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà del bene ovvero costituire un diritto reale d'uso ex art. 1021 c.c., ovvero ancora se sussistano i presupposti, ex art. 1424 c.c., per convertire il contratto volto alla creazione del diritto reale d'uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo di natura obbligatoria. Due gli elementi di fatto accertati nel corso del giudizio di secondo grado: 1) gli unici comproprietari dell'edificio, pervenuto loro in eredità, avevano manifestato l'intenzione di frazionare lo stabile per poi procedere alla vendita degli immobili e, contestualmente, avevano formato il regolamento contrattuale del futuro condominio riservando, per sé e per i loro aventi causa, l'uso esclusivo di due facciate da utilizzare per l'installazione di pannelli pubblicitari. Le relative spese (installazione, utilizzo e manutenzione dei pannelli) venivano sostenute dalla proprietà venditrice, mentre gli oneri inerenti alla facciata restavano a carico del condomino e 2) successivamente i comproprietari avevano proceduto alla vendita delle singole unità immobiliari, dando vita, in quel momento, al condominio. Con il trasferimento alla società appellata dell'unità immobiliare veniva, quindi, concesso alla stessa l'uso delle dette facciate come da regolamento. In diritto, dato come pacifico il fatto che le facciate rientrano nei beni comuni ai sensi dell'art. 1117, n. 1), c.c., la Corte territoriale aveva rilevato che, aldilà di quanto stabilito dal codice per il diritto reale d'uso di cui all'art. 1021 c.c., la cessione del diritto d'uso esclusivo delle facciate deve essere esclusa dal disposto dell'art. 1024 c.c., esprimendosi in modo contrario a quanto affermato dalla Corte di legittimità (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24301), che si era pronunciata prima dell'intervento delle Sezioni Unite con la richiamata sentenza. In ogni caso il diritto vantato dalla società convenuta sarebbe stato, in ogni caso, inopponibile al condominio, attesa la regola generale di cui all'art. 1372, comma 2, c.c. (secondo il quale il contratto non produce effetto nei confronti dei terzi tranne nei casi previsti dalla legge). Osservazioni
La riserva formulata dagli originari comproprietari dell'edificio, prima del frazionamento dello stabile e della vendita a terzi delle singole unità immobiliari, concernente il diritto d'uso esclusivo di due facciate dell'edificio finalizzato all'installazione di ponteggi a fini pubblicitari è stata ritenuta, dalla Corte d'Appello di Milano, estranea all'ipotesi disciplinata dall'art. 1021c.c. Una riserva formalizzata, dai futuri venditori in favore degli stessi e dei loro aventi causa, nel regolamento contrattuale di condominio formato prima della nascita del condominio e, quindi, riprodotta nell'atto di compravendita in favore della società, attuale appellata. In tal modo, il giudice del gravame ha ribaltato la sentenza di primo grado. L'art. 1021 c.c. (rubricato “uso”) dispone che colui che è titolare del diritto d'uso di una cosa può servirsi della stessa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia, da valutarsi secondo la condizione sociale del titolare del diritto. La peculiarità della norma è costituita sia dalla natura temporanea del diritto d'uso, al quale non può essere attribuito un carattere di perpetuità, in quanto si estingue con la morte dell'usuario (Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17491), sia dal carattere personale dello stesso in conseguenza del divieto di cessione a terzi sancito dall'art. 1024 c.c. Il divieto, tuttavia, può essere superato per effetto di una pattuizione in deroga intercorsa tra le parti (Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2006, n. 4599). Si è posta, quindi, la questione di individuare se sussista una compatibilità tra il diritto reale d'uso, come disciplinato dal codice civile, e l'istituto del condominio caratterizzato dalla coesistenza di parti comuni e beni di proprietà esclusiva. Le prime sono indicate, anche se non in via esaustiva e salvo titolo contrario, nell'art. 1117 c.c. e tra di esse, per quanto di ragione, rientrano le facciate in quanto necessarie all'uso comune (n. 1). In ambito condominiale, per espresso rinvio dell'art. 1139 c.c., vige il principio dell'uso paritario della cosa comune, mutuato dall'art. 1102 c.c. in materia di comunione, in base al quale ciascun partecipante può servirsi del bene comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Va da sé che, come affermato dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2015, n. 7446), la nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell'art. 1102 c. c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell'utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l'identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell'oggetto della comunione. Più di recente è stato, altresì, precisato che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, atteso che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica, solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2020, n. 18038). Pertanto, ove si volesse riconoscere l'applicabilità dell'art. 1021 c.c. in àmbito condominiale si creerebbe un conflitto con l'art. 1102 c.c. come, in effetti, evidenziato dal giudice distrettuale meneghino. In proposito questa ha correttamente osservato che riservare l'uso esclusivo di una parte comune dell'edificio ad uno soltanto dei condomini, anche se per un fine specifico, si tradurrebbe nella sottrazione agli altri partecipanti proprio del diritto di godimento della cosa comune loro spettante per legge, con il contestuale svuotamento della relativa proprietà nel suo nucleo essenziale. La Corte del merito nella sua decisione, quindi, non ha potuto fare altro che allinearsi a quanto deciso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 28972/2020), chiamata a pronunciarsi in merito ai differenti e contrastanti orientamenti delle Sezioni Semplici sulla natura del c.d. “diritto reale d'uso esclusivo” di parti comuni dell'edificio condominiale. Nella complessa motivazione della decisione - pluriannotata da autorevole dottrina - l'art. 1102 c.c. costituisce uno dei punti cardine per escludere l'estensione analogica dell'art. 1021 c.c. al pianeta condominio. Infatti vi è un passaggio della sentenza in questione, qui richiamato in estrema sintesi, in cui la Corte Suprema ha chiaramente esplicitato l'essenza dell'art. 1102 c.c.: 1) usare la cosa comune, assume il significato di “servirsi della cosa comune”, ovvero esercitare le facoltà ed i poteri attraverso i quali il partecipante alla comunione od al condominio trae le utilità dal bene secondo e nei limiti della sua destinazione; 2) l'uso paritario è stato inteso come uso normale o in linea di principio o, ancora, potenziale non escluso l'uso più intenso da parte di un condomino rispetto agli altri e 3) pur non avendo la norma un carattere inderogabile, talché i limiti in essa contenuti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il quorum prescritto dalla legge, rimane sempre fermo il principio che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2014, n. 2114). Queste considerazioni - si ripete del tutto parziali rispetto al corpo della sentenza - espresse in primis dalla Corte Suprema e fatte proprie dalla Corte del merito, rappresentano uno dei profili sui quali fondare l'inefficacia di una pattuizione che priverebbe, all'evidenza, gli altri condomini di godere delle facciate nel loro interesse. Nella fattispecie, peraltro, non si potrebbe neppure parlare di un uso più intenso delle facciate condominiali da parte della società appellata, dal momento che questo, in via generale, non deve alterare il rapporto di equilibrio, qualitativo e quantitativo, tra i partecipanti (Cass. civ., sez. VI/II, 23 giugno 2014, n. 14245); non deve sconfinare nell'esercizio di una vera e propria servitù (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 2009, n. 22341) ovvero non deve risolversi in un'imposizione di limitazioni o pesi sul bene comune (Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2004, n. 8852). Da ultimo, non ci si può esimere dal rilevare che ove si volesse parificare il diritto all'uso esclusivo di un bene condominiale al diritto d'uso disciplinato dall'art. 1021 c.c. si verrebbe a creare una nuova categoria di diritto reale atipica determinata non dalla legge, ma dalla volontà dei contraenti o - come nel caso concreto - degli originari proprietari dell'intero edificio e trasposta nel relativo atto di compravendita dell'immobile là dove, invece, è stato il legislatore a perimetrare l'area nella quale inserire tali diritti e la rispettiva disciplina. Così come è stato ancora il legislatore a parlare di “uso esclusivo” in riferimento ai lastrici solari di copertura dell'edificio, anche se l'ipotesi è del tutto peculiare ed avulsa dal contesto dell'art. 1021 c.c., perché nella fattispecie i lastrici continuano a mantenere la loro funzione di interesse collettivo ma, per la loro posizione e struttura possono essere utilizzati solo da uno o più condomini escludendo, in via di fatto, dal godimento gli altri partecipanti al condominio.
Riferimenti
Ferraris, È possibile l'uso esclusivo del cortile condominiale?, in Altalex.com, 15 gennaio 2021; Celeste, È nulla la pattuizione che conferisce il diritto “reale di uso esclusivo” su una porzione comune dell'edificio, in Condominioelocazione, 22 dicembre 2020; Scripelliti, La lenta evoluzione dei principi in tema di uso individuale delle parti comuni, in Giur. it., 2016, 1324.
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