Affittacamere, locazione commerciale e morosità
09 Febbraio 2022
Massima
Il contratto di locazione di immobile destinato dal conduttore ad attività di affittacamere va ricondotto alla disciplina delle locazioni alberghiere, con la conseguente durata ex lege. Non è precluso al locatore, che agisce per la risoluzione del contratto per scadenza del termine, domandare anche il pagamento dei canoni scaduti, seppur solo una volta convertito il rito e non in via monitoria nella fase sommaria ex art. 664 c.p.c., poiché, in tal caso, l'emissione del decreto ingiuntivo presuppone la convalida dello sfratto per morosità. Il caso
La vicenda processuale sorge fra l'ente proprietario di un immobile, locato con contratto ad uso abitativo di durata quadriennale, e la società conduttrice che vi esercita attività di affittacamere. Il locatore, intervenuta la scadenza contrattuale, promuove azione di convalida di sfratto per finita locazione, con contestuale richiesta di decreto ingiuntivo per i canoni scaduti e l'indennità di occupazione (parametrata ex art. 1591 c.c. al canone mensile) a far data dalla scadenza e fino al rilascio; il conduttore propone opposizione, eccependo la natura commerciale della locazione e la conseguente diversa durata, nonché l'inammissibilità della richiesta monitoria legata a domanda di risoluzione per finita locazione. Il giudice adìto, negata l'ordinanza ex art. 663 c.p.c., mutato il rito, esperita senza esito la mediazione - che nei procedimenti locatizi costituisce condizione di procedibilità ex art 5, comma 1-bis, deld.lgs. n. 28/2010 - trattiene la causa in decisione, non sussistendo istanze istruttorie delle parti. La questione
La prima, e più rilevante, eccezione addotta dalla convenuta conduttrice attiene alla natura del rapporto contrattuale, che le parti in contratto hanno inquadrato nello schema della locazione abitativa, pur dando atto espressamente della attività che vi sarebbe stata svolta, con espressa autorizzazione del locatore ad esercitarvi “attività di affittacamere”. Accertata la natura del rapporto, il Tribunale capitolino ha ritenuto di poter disporre sulla integrazione ex lege del contratto e sull'individuazione della corretta scadenza senza incorrere in vizi di ultrapetizione, anche in assenza di espressa domanda delle parti. L'ulteriore interessante questione affrontata dal giudice romano attiene al cumulo della domanda di pagamento dei canoni, avanzata dal locatore in via monitoria ai sensi dell'art. 664 c.p.c., con la citazione per convalida di sfratto per finita locazione. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale si sofferma, dapprima, sulla natura della locazione, ritenendo che nonostante il nomen juris attribuito dalle parti (“contratto di locazione ad uso abitativo”), dagli atti emerga inequivocabilmente l'esercizio di un'attività commerciale turistico alberghiera all'interno dell'immobile locato. Tale diversa qualificazione non attiene ad una condotta contrattualmente illecita del conduttore, da ricondurre alla previsione del mutamento di destinazione d'uso previsto dall'art. 80 della l. 27 luglio 1978, n. 392, poiché l'esercizio di attività di affittacamere da parte di società commerciale che ha quale oggetto sociale l'esercizio di attività alberghiere turistiche e ricettive, comporta la sussistenza ab origine del consenso delle parti a siffatto utilizzo imprenditoriale del bene locato, circostanza che - sotto il profilo sostanziale - connota dunque come commerciale il fine del contratto di locazione oggetto di causa, aldilà delle espressioni letterali usate dalle parti. Ai fini della qualificazione del contratto, il Tribunale richiama recente pronuncia di legittimità (Cass. civ., sez. II, 7 ottobre 2020, n. 21562) - resa in tema di condominio - e che ha ritenuto illecita l'attività di affittacamere ove il regolamento condominiale di natura contrattuale vieti l'esercizio di attività commerciale nelle unità individuali poste nel condominio. L'utilizzo di un identico canone interpretativo in tema di locazioni e condominio appare interessante e consente una lettura uniforme in diversi ambiti, posto che in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva espresso posizioni diverse, affermando (sempre in tema condominiale) che la destinazione a civile abitazione prevista dalla norma regolamentare è pienamente compatibile con l'attività di affittacamere (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 20914, n. 24707; Cass. civ., sez. V, 19 agosto 2015, n. 16972). La Cassazione del 2020 ha fatto chiarezza sui parametri che valgono a qualificare l'attività di affittacamere e bed & breakfastcome esercizio di impresa commerciale, osservando che la assimilazione di tali attività a quella imprenditoriale alberghiera, è coerente con l'interpretazione di legittimità secondo la quale, pur differenziandosi l'affittacamere dall'esercizio di albergo per le sue modeste dimensioni (Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1991, n. 755), presenta natura analoga, poichè comporta, non diversamente da un albergo, la sussistenza di un'attività imprenditoriale, di un'azienda e di contatto diretto con il pubblico; l'attività di bed & breakfast e di affittacamere non comporta, infatti, unicamente la cessione in godimento del bene ma anche la prestazione di servizi quali il riassetto del locale, la fornitura di biancheria ed altri benefit, quali colazioni (Cass. civ., sez. II, 8 novembre 2010, n. 22665). Il Tribunale, sulla scorta di tale puntualizzazione, applica i medesimi canoni ermeneutici all'attività svolta nell'immobile condotto dalla convenuta, pervenendo alla qualificazione della locazione come commerciale (nello stesso senso, v. Trib. Sanremo 26 aprile 2004), riconducibile allo specifico genus della locazione alberghiera, con durata novennale, disciplinato dall'art. 27, comma 3, della l. 27 luglio 1978, n. 392. Alla luce della durata prevista ex lege, il giudice provvede a determinare la nuova scadenza contrattuale, comunque decorsa al momento dell'azione, e a ordinare il rilascio dell'immobile: tale attività è pacificamente consentita e non costituisce vizio di ultrapetizione poiché, anche a fronte di data erroneamente indicata dall'attore, la causa petendi dell'azione è costituita dalla risoluzione alla scadenza (sia essa contrattuale o ex lege), che compete al giudice individuare (Trib. Roma 23 gennaio 2019, n. 1732; Cass. civ., sez. III, 17settembre 2013, n. 21153) sulla scorta degli elementi della fattispecie contrattuale dedotta in causa, il cui onere della prova incombe all'attore ex art. 2697, comma 1, c.c. Il Tribunale, infine, risolve in senso favorevole al locatore anche la possibilità di cumulo della domanda di risoluzione per scadenza del vincolo contrattuale con quella di pagamento di canoni scaduti, poiché si tratta di accertamenti e domande non incompatibili; non è tuttavia concesso al locatore richiedere il peculiare decreto ingiuntivo previsto dall'art. 664 c.p.c., poiché quel provvedimento presuppone - per espressa previsione letterale della norma - la convalida dello sfratto per morosità, pur potendo la domanda di condanna al pagamento del corrispettivo essere accolta nella fase ordinaria di merito, che si instaura a fronte della opposizione e della conversione del rito. Osservazioni
La pronuncia capitolina è decisamente interessante, poiché finisce per dar corpo ad un parametro interpretativo uniforme delle attività da ritenersi commerciali seppur svolte all'interno di abitazioni private, siano essere condomini o immobili concessi in locazione. Assai curiosamente una stessa norma regolamentare (regolamento n. 8 Regione Lazio 7 agosto 2015) è sottesa sia alla pronuncia in commento che a quella della corte di legittimità richiamata, laddove prevede che l'immobile destinato ad attività ricettiva debba avere destinazione di civile abitazione. Mentre la Cassazione aveva escluso che quella previsione consentisse di ritenere l'attività ricettiva ascrivibile all'uso civilistico privato dell'immobile, atteso che l'art. 4 dello stesso regolamento individua gli affittacamere come “strutture gestite in forma imprenditoriale”, il giudice capitolino chiarisce ulteriormente che il regolamento menziona la categoria catastale della civile abitazione unicamente per escludere che possano essere adibiti ad attività ricettive immobili privi dei requisiti igienico sanitari idonei al soggiorno, ma non può in alcun modo valere per qualificare la natura dell'attività ivi esercitata (tesi già espressa da Cass. civ., sez. VI, 16 gennaio 2015, n. 704, che sottolineava come una legge regionale che esclude che la costituzione di un bed&breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d'uso non possa, incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi che reciprocamente si assumono le parti, in tal caso condomini, posto che la legislazione in materia urbanistica o, più in generale, in materia amministrativa, disciplinando il rapporto tra cittadini e norme di carattere pubblicistico, non può comportare un automatico recepimento della relativa disciplina nell'ambito di rapporti privatistici). Sulla natura dell'attività ricettiva - seppur sul versante condominiale e del correlativo divieto contenuto in regolamento pattizio, ma si tratta di profili che mutatis mutandis possono trovare applicazione interpretativa anche in tema di locazione - la giurisprudenza ha nel tempo fornito letture non sempre omogenee, affermando che, ove tra le prestazioni accessorie non figurino quelle del riassetto, pulizia dei locali, fornitura e lavaggio della biancheria, il rapporto è incompatibile con quello dell'attività di affittacamere. Il divieto posto nel regolamento di tenere locande o pensioni non si estende alla attività di affittacamere in quanto le prime, a differenza delle seconde, oltre al godimento di locali ammobiliati, comportano anche la somministrazione di vitto (Trib. Milano 21 febbraio 2018). Ancora il giudice lombardo (Trib. Milano 10 novembre 2017, n. 11380) ha ritenuto che l'attività di bed & breakfast sia del tutto sovrapponibile a quella di pensioni o camere d'affitto, mentre il Tribunale capitolino ha assimilato l'attività di affittacamere a quello della casa-vacanza (Trib. Roma 19 aprile 2016). Alla luce di tale quadro interpretativo, appare invece distonica - e plausibilmente superata dall'approdo del 2020, su cui si fonda anche la pronuncia oggi in commento - un'isolata pronuncia di legittimità (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707), che parrebbe invece suggerire un'equiparazione fra l'attività di bed & breakfast e l'uso di civile abitazione privata, pur chiarendo quella pronuncia è confinata all'ambito condominiale e non estensibile anche al rapporto locatizio. Riferimenti
Carrato - Scarpa, Le locazioni nella pratica del contratto e del processo, Milano,2015; Lazzaro - Preden, Le locazioni ad uso non abitativo, Milano, 2010; Di Marzio - Giordano - De Stefano, Locazioni immobiliari, Milano, 2018; Cirla, Bed & breakfast, bussola in Condominioelocazione.it; Celeste, Regolamento contrattuale (opponibilità)”, bussola in Condominioelocazione.it; Santangelo, Bed & breakfast e affittacamere, Maggioli, 2018, 325; Scripelliti, Albergo e pensione, in Condominioelocazione.it; Amendolagine, Controversie locatizie, in Condominioelocazione.it; Rezzonico, Il divieto di destinare gli appartamenti a pensioni o camere di affitto è da considerarsi esteso anche al bed & breakfast, in Condominioelocazione.it. |