Il torrino realizzato sulla terrazza comune con accesso diretto, riservato ad un solo condomino
28 Febbraio 2022
Massima
La costruzione su una terrazza condominiale, da parte di un condomino, di un torrino che contiene una scala a chiocciola e crea un accesso diretto riservato, collegato all'unità immobiliare in proprietà esclusiva, oltre a poter determinare l'appropriazione, da parte di detto condomino, della superficie del torrino, costituisce una modifica strutturale del terrazzo - non riconducibile, peraltro, all'esercizio del diritto di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. - rispetto alla sua primitiva configurazione, risultandone alterata unilateralmente la funzione e la destinazione della porzione occupata, siccome assoggettata ad un uso estraneo a quello originario comune, che viene perciò soppresso, con violazione dei diritti di comproprietà e delle inerenti facoltà di uso e godimento spettanti agli altri condomini. Il caso
La causa - risolta dal Supremo Collegio con l'ordinanza in commento - originava da una domanda, proposta da alcuni condomini, al fine di ottenere la condanna di un altro condomino alla rimozione di un torrino in muratura, realizzato sulla terrazza dell'edificio condominiale, che consisteva in una scala a chiocciola interna che consentiva l'accesso diretto alla terrazza dall'appartamento di proprietà del convenuto. Il Tribunale aveva accolto la suddetta domanda, ritenendo che tale torrino cagionava un mutamento materiale della struttura della terrazza condominiale, imponendo su di essa una servitù a vantaggio della proprietà esclusiva sottostante, senza che vi fosse il necessario consenso di tutti i condomini. La Corte d'Appello, adita dal condomino soccombente, aveva confermato la pronuncia di prime cure, affermando che il torrino de quo, per le sue dimensioni (mq. 2,42), rendeva una parte non trascurabile della terrazza totalmente inutilizzabile dagli altri condomini, attraendo la stessa nella sfera di esclusiva disponibilità dell'appellante. La questione
Si trattava di verificare se la Corte territoriale avesse fatto o meno corretta applicazione dei principi giuridici vigenti in materia di utilizzo, da parte del singolo condomino, dei beni comuni, ai sensi dell'art. 1102 c.c., sottolineando, sul versante fattuale, la mancata considerazione - anche alla stregua dell'espletata CTU - di importanti elementi, quali le modeste dimensioni del torrino, la posizione marginale dell'opera, la carenza di pregiudizio alla stabilità ed al decoro architettonico dell'edificio, la mancata incidenza sulla destinazione di copertura della terrazza, la conseguita sanatoria da parte dell'Autorità amministrativa. Si trattava, altresì, di verificare se l'iniziativa del condomino ricorrente potesse inquadrarsi nell'alveo dell'art. 1127 c.c., il quale riconosce al proprietario dell'ultimo piano di elevare nuovi piani o nuove fabbriche, tra le quali non poteva rientrare un torrino di modeste dimensioni. Le soluzioni giuridiche
Ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, la gravata sentenza ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità. Invero, la nozione di “pari uso” della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo - dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione - implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Proprio perché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, il condomino che si serve della terrazza condominiale nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un'unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l'art. 1117 c.c., lo fa nell'esercizio del diritto di condominio e non avvalendosi di una servitù. Viceversa, dall'uso della cosa comune a favore del fondo di proprietà esclusiva oltre i limiti segnati dall'art. 1102 c.c. può discendere, nel concorso degli altri requisiti di legge, l'usucapione di una servitù a carico della proprietà condominiale (Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427). La costruzione da parte di un condomino di un torrino, che contiene una scala a chiocciola e crea un accesso diretto riservato, collegato con l'unità immobiliare di proprietà esclusiva, su una terrazza condominiale, costituisce una “modifica strutturale del terrazzo rispetto alla sua primitiva configurazione” e dà luogo, per la porzione di terrazzo occupata, “all'assoggettamento ad un uso estraneo a quello originario comune”, che viene soppresso. Peraltro - secondo gli ermellini - la modifica può determinare l'appropriazione da parte del condomino della superficie del torrino. Tale modifica, certamente non riconducibile all'esercizio del diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell'ultimo piano dello edificio condominiale, è illegittima ove realizzi un'alterazione unilaterale della funzione e della destinazione di porzione della terrazza comune, integrando una violazione dei diritti di comproprietà e delle inerenti facoltà di uso e godimento spettanti agli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 19 novembre 2004, n. 21901; Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1983, n. 3199). Anche di recente, il Supremo Collegio ha chiarito che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2021, n. 2126; cui adde Cass. civ., sez. VI/II, 21 febbraio 2018, n. 4256; Cass. civ., sez. VI/II, 25 gennaio 2018, n. 1850; Cass. civ., sez. VI/II, 4 febbraio 2013, n. 2500; Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14107). Ad ogni buon conto, l'accertamento circa la significatività della parte del terrazzo che sia resa inutilizzabile per innestarvi opere a vantaggio esclusivo di una proprietà individuale, oppure l'accertamento del superamento dei limiti imposti dall'art. 1102 c.c. al condomino che si assuma abbia alterato, nell'uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all'entità e alla qualità dell'incidenza del nuovo uso, è riservato al giudice di merito e, come tale, è censurabile in sede di legittimità - non per violazione dell'art. 1102 c.c., bensì - soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. Quanto, poi, al riferimento all'art. 1127 c.c., i magistrati del Palazzaccio ribadiscono che le opere realizzate da un condomino su parti comuni poste all'ultimo piano di un edificio comportano l'applicazione della disciplina di cui all'art. 1120 c.c., in caso di conforme delibera assembleare di approvazione, o dell'art. 1102 c.c., ove tali modifiche dei beni comuni siano state eseguite di iniziativa del singolo; mentre costituisce sopraelevazione, disciplinata dall'art. 1127 c.c., la realizzazione di nuove opere, consistenti in nuovi piani o nuove fabbriche, nonché la trasformazione di locali preesistenti mediante l'incremento di volumi e superfici nell'area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell'ultimo piano (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2020, n. 11490). Né, infine, assumeva rilevanza la dedotta sanatoria amministrativa, trattandosi di atto che attiene all'àmbito del rapporto pubblicistico tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, e cioè all'aspetto formale dell'attività edificatoria, e che non è invece di per sé risolutivo del conflitto tra i proprietari privati interessati in senso opposto alla costruzione, conflitto da dirimere, pur sempre, in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e i limiti posti dall'art. 1102 c.c. Osservazioni
Interessanti si rivelano, altresì, i rilievi in materia processuale. Invero, il ricorrente aveva, altresì, denunciato la violazione dell'art. 331 c.p.c., stante l'assenza, nel giudizio di appello, di un litisconsorte necessario, e cioè di uno degli attori - unitamente ad altri - in primo grado, il quale aveva, poi, rinunciato “alla domanda e all'azione". La doglianza è stata ritenuta “totalmente infondata”: infatti, ciascuno dei singoli condomini è legittimato ad esercitare, senza necessità di litisconsorzio con gli altri comunisti, le azioni a difesa della cosa comune - nella specie, la domanda di natura reale ex art. 1102 c.c., avente quale fine il ripristino dello status quo ante di una cosa comune illegittimamente alterata da altro condomino - nei confronti sia dei terzi, sia di ogni altro partecipante alla comunione (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2003, n. 3435; Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 734). Ove più condomini - come era avvenuto nel caso in esame - agiscono nello stesso processo verso altro condomino ai sensi dell'art. 1102 c.c., si determina una ipotesi di “litisconsorzio facoltativo” disciplinato dall'art. 103 c.p.c., sicché la rinuncia all'azione da parte di uno soltanto degli attori comporta l'estinzione dell'azione e la cessazione della materia del contendere limitatamente al rapporto processuale scindibile per il quali la rinuncia medesima è intervenuta. Ne consegue che il giudizio prosegue tra le altre parti, senza che nessun effetto abbia nei loro confronti l'estinzione del processo conseguente alla rinuncia - trattandosi, peraltro, di pronuncia assolutamente inidonea ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere - e senza che, comunque, in sede di impugnazione trovi applicazione il meccanismo di cui all'art. 332 c.p.c. (e non quello di cui all'art. 331 c.p.c.), neppure rilevando l'eventualità che la medesima prosecuzione del giudizio porti ad un esito favorevole, potenzialmente idoneo a riflettersi anche nella sfera giuridica del rinunciante (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 1977, n. 552; Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1975, n. 2446). Sempre sul versante processuale, si è, di recente, puntualizzato (Cass. civ., sez. VI/II, 18 novembre 2021, n. 35213) che il superamento dei limiti del pari uso della cosa comune di cui all'art. 1102 c.c. deve essere dedotto e provato dal comproprietario che agisce in giudizio per ottenere la rimozione dell'opera nei confronti del condomino che abbia apportato modifiche alla res, trattandosi di fatto costitutivo, inerente alle condizioni dell'azione esperita, laddove il convenuto può limitarsi a contestare genericamente l'avversa domanda, salvo che invochi a suo favore fatti o titoli diversi, impeditivi, limitativi o estintivi del diritto invocato dalla controparte, nel qual caso ne assume l'onere della prova. Relativamente alla competenza a conoscere tale tipologia di cause, si è, da ultimo, statuito (Cass. civ., sez. VI/II, 26 novembre 2021, n. 36967) che le controversie che vedono messo in discussione il diritto del condomino ad un determinato uso della cosa comune - nella specie, la realizzazione di un cancello scorrevole nell'androne condominiale ed in adiacenza a tre appartamenti di proprietà di altro condomino, al fine di delimitare la proprietà comune da quella privata - non rientrano nella competenza del Giudice di Pace ex art. 7 c.p.c., ma sono soggette agli ordinari criteri della competenza per valore, atteso che, in esse, non si controverte sui limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, relativi al modo più conveniente ed opportuno con cui detta facoltà debba esercitarsi, venendo piuttosto in gioco un vero e proprio conflitto tra proprietà individuale e proprietà condominiale. Nello stesso ordine di concetti, la domanda volta all'eliminazione di una cancellata installata da un condomino su un pianerottolo comune appartiene alla competenza del Tribunale, trattandosi di controversia a tutela dell'essenza del diritto all'uso di un bene comune e della libertà di esercizio di tale uso e, pertanto, non annoverabile tra quelle relative “alla misura e modalità di uso dei servizi di condominio di case”, devolute alla competenza del Giudice di Pace dall'art. 7, comma 3, n. 2), c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 22 novembre 2021, n. 35818; in senso conforme, v. anche Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2005, n. 8376, circa utilizzazione del pianerottolo comune, che si assume leso dall'apertura verso l'esterno di una porta di accesso all'appartamento di proprietà di un condomino; Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2005, n. 4030, in ordine all'impugnazione di una delibera nella parte in cui stabiliva di mantenere il distacco dell'apertura della porta d'ingresso dello stabile dai singoli citofoni anche durante le ore di chiusura del portierato). Riferimenti
Bordolli, La trasformazione di porzione del tetto in terrazza a livello, in Immob. & proprietà, 2019, 349; De Tilla, La trasformazione di un tetto in terrazza esclusiva, in Arch. loc. e cond., 2013, 622; Salciarini, Il cielo in una stanza: possibile realizzare una terrazza sul tetto, in Immob. & proprietà, 2012, 632; Guida, Non si può trasformare il lastrico solare in terrazza di proprietà, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 4, 54; Salis, Costruzione di pensilina su terrazza a livello ed obbligo di pagamento della indennità di sopraelevazione, in Riv. giur. sarda, 1994, 604; Balzani, Quando si vuole costruire una terrazza a tasca, in Arch. loc. e cond., 1994, 249; Lenzi, Costruzione di una terrazza privata in luogo del tetto in edificio condominiale: legittimo esercizio del diritto di sopraelevazione?, in Arch. loc. e cond., 1990, 795; Samperi, Trasformazione del tetto in terrazza: sopraelevazione o innovazione?, in Giust. civ., 1986, I, 2248. |