Locazione commerciale ai tempi del Covid-19: escluso il potere del giudice di modificare gli accordi liberamente stipulati dalle parti

Katia Mascia
14 Aprile 2022

Il Tribunale di Roma, al di fuori delle specifiche ipotesi espressamente previste dalla legge, esclude la possibilità per il giudice di modificare le condizioni contrattuali liberamente pattuite dalle parti, procedendo ad una riduzione, anche se solo temporanea, dei canoni di locazione concordati, e ritenendo inesistente, nel nostro ordinamento, un obbligo di rinegoziazione dei contratti divenuti svantaggiosi per una delle parti, anche se a seguito di eventi eccezionali ed imprevedibili.
Massima

Deve escludersi un potere autoritativo del giudice di modificare le condizioni economiche dei contratti di locazione, riducendo, anche solo temporaneamente, i canoni locatizi; allo stato attuale, nei casi in cui il locatario abbia subìto una significativa diminuzione del proprio volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie dovute alla crisi pandemica da Covid-19, per addivenire ad una rideterminazione del canone di locazione, locatore e conduttore sono tenuti a collaborare tra di loro, secondo quanto previsto dall'art. 6-novies dell'allegato alla l. n. 69/2021.

Il caso

Parte attrice, con ricorso cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c., adiva il Tribunale di Roma. Affermava di condurre in locazione un complesso immobiliare per uso di attività alberghiera, di ristorazione e centro benessere e che, a seguito del sorgere della pandemia da Covid-19 - che aveva comportato una drastica diminuzione del proprio fatturato - era nell'impossibilità di far fronte al pagamento del canone locatizio inizialmente pattuito. Dichiarava fallito ogni tentativo di ottenere dal locatore una riduzione del canone e una modifica delle modalità di pagamento. Riteneva sussistente il fumus boni iuris nell'obbligo del locatore di ripristinare l'equilibrio tra le prestazioni nel nuovo contesto socio-economico generato dal coronavirus e allo stato compromesso e si richiamava alla buona fede con funzione integrativa cogente del contratto al verificarsi di fattori sopravvenuti imprevedibili. Ulteriore requisito per ottenere la tutela cautelare, il periculum in mora, era individuato nell'aggravamento della propria crisi finanziaria che esponeva l'istante al pregiudizio imminente e irreparabile di chiudere definitivamente l'attività. Chiedeva, pertanto, in via principale, che il giudice disponesse una riduzione dei canoni locatizi di almeno il 40% da marzo 2021 a dicembre 2022 - e, dunque in funzione anche anticipatoria del contenuto della pronuncia di merito - e, in via subordinata, che fosse previsto un piano di rientro delle somme dovute in rate mensili.

Il locatore si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea perchè infondata, ritenendo insussistente sia il fumus che il periculum, avendo l'attrice una solidità economica e imprenditoriale guadagnata nel corso degli anni. Affermava come l'attrice si fosse resa ripetutamente e dolosamente inadempiente non soltanto agli obblighi di pagamento dei canoni, ma altresì con riferimento ad ulteriori obbligazioni contrattuali.

La questione

Si tratta di stabilire se va riconosciuta tutela cautelare al conduttore di un immobile ad uso commerciale, il quale si ritiene impossibilitato al pagamento dei canoni locatizi a seguito della chiusura della propria attività imprenditoriale, disposta dalle misure restrittive emanate per il contrasto della pandemia da Covid-19.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Roma, con la pronuncia in oggetto, ritiene che il ricorso non possa trovare accoglimento presentando diversi profili di inammissibilità e, comunque, infondatezza. Ritiene, infatti, che la tutela urgente sia stata azionata in funzione anticipatoria del contenuto della pronuncia di merito costitutiva. Pertanto, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese di lite.

Osservazioni

Ai sensi dell'art. 700 c.p.c., chi ha fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti di urgenza, che, secondo le circostanze, appaiono più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.

La giurisprudenza ha affermato che i provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 hanno di norma il carattere dell'atipicità, nel senso che vanno adottati, secondo le circostanze, allo scopo di assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, senza però dover necessariamente anticipare il prevedibile contenuto della medesima (Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 2004, n. 12767).

Condizioni della domanda cautelare nonché requisiti fondamentali perché possa essere concesso un provvedimento d'urgenza sono il fumus boni iuris e il periculum in mora.

Il primo consiste nell'apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela, la cui sussistenza deve risultare come verosimile e probabile alla luce degli elementi di prova esistenti prima facie.

ll periculum in mora consiste invece nel possibile pregiudizio che possa derivare al suddetto diritto nelle more del giudizio ordinario. Incaso di provvedimenti d'urgenza viene identificato nel fondato timore che, in dette more, il diritto sia esposto ad un pericolo imminente ed irreparabile.

L'esperimento del ricorso cautelare disciplinato dall'art. 700 c.p.c. presuppone, a pena di inammissibilità dell'azione, l'inesistenza di specifici rimedi cautelari tipici (c.d. requisito della residualità-atipicità del provvedimento d'urgenza).

Il contenuto testuale della disposizione normativa pone in evidenza il carattere accessorio e temporaneo dei provvedimenti d'urgenza, diretti ad assicurare provvisoriamente, attraverso una tutela preventiva ed autonoma, gli effetti della futura decisione di merito. Tale tutela preventiva può essere accordata solo in quanto necessaria ad evitare che il diritto azionato venga pregiudicato, in modo irreparabile, nelle more del giudizio di merito.

Funzione propria della tutela d'urgenza è, infatti, quella di anticipare in tutto o in parte la futura sentenza di merito o alcuni degli effetti che possono prodursi sul rapporto intercorrente tra le parti o, anche, tra le parti e i terzi, garantendone anticipatamente e provvisoriamente l'efficacia e l'effettività.

Nella fattispecie in esame l'attrice, chiedendo al giudice di disporre pro futuro - ossia da marzo 2021 a dicembre 2022 - ad una riduzione del canone di locazione dell'immobile, non sollecita l'emissione di misure di salvaguardia dell'effetto esecutivo che può derivare dalla futura decisione costitutiva di merito, ma finisce, in definitiva, per richiedere l'emissione di un provvedimento di natura costitutiva volto a modificare le condizioni contrattuali che hanno valore di legge tra le parti, ai sensi dell'art. 1372 c.c. La tutela contemplata dall'art. 700 c.p.c. nel caso in esame non può essere richiesta in quanto finirebbe per operare rispetto a situazione in cui il diritto da tutelare non è ancora venuto ad esistenza. Si ritiene, infatti, ammissibile la tutela urgente soltanto in presenza di diritti perfetti preesistenti alla stessa pronuncia richiesta al giudice, posto che il provvedimento cautelare non deve alterare in alcun modo il momento operativo della pronuncia di merito. Quindi, le sentenze costitutive non sono suscettibili di tutela urgente, proprio perché si eserciterebbe una funzione strutturalmente anticipatoria che produrrebbe subito quella stessa costituzione del rapporto giuridico che dovrebbe essere presumibilmente introdotta con la sentenza costitutiva, laddove il disposto dell'art. 700 c.p.c. presuppone l'attualità del diritto cautelando.

Non sussiste, nel nostro ordinamento, un diritto alla riduzione del canone di locazione: nel caso di eccessiva onerosità della prestazione il conduttore potrà chiedere la risoluzione del contratto. Il locatore, dal canto suo, è tenuto a garantire soltanto che l'immobile locato sia strutturalmente idoneo all'uso pattuito ma non che tale uso sarà sempre possibile e proficuo per il conduttore. La causa del contratto di locazione non si estende mai alla garanzia della produttività dell'attività imprenditoriale che il conduttore andrà a svolgere nell'immobile locato. L'immobile oggetto di locazione, dunque, non è considerato nella sua dimensione produttiva, bensì in quella materiale e ciò rappresenta il discrimen tra la locazione e il contratto di affitto.

Il giudice romano evidenzia come la stessa normativa dettata per fronteggiare la diffusione della pandemia da Covid-19 non preveda la possibilità per il conduttore di sospendere o rifiutare il pagamento dei canoni nell'ipotesi in cui la propria attività sia stata interdetta a seguito dei provvedimenti emergenziali, qualificando, anzi, il mancato pagamento come inadempimento. D'altronde, quando il legislatore, per fronteggiare l'emergenza da Covid-19, ha voluto introdurre la possibilità - e non l'obbligo - di rinegoziare le condizioni economiche di un contratto o ridurre definitivamente a determinate categorie di imprenditori i canoni di locazione per un certo numero di mensilità, lo ha affermato espressamente. Al di fuori dei casi espressamente previsti, dunque, si ritengono temporaneamente giustificati i mancati o ritardati pagamenti relativi ai canoni suturati durante le restrizioni per il Covid-19, restando fermo però l'obbligo di pagamento dei suddetti canoni una volta cessate le misure restrittive. Deve, pertanto, escludersi la possibilità per il giudice di modificare le condizioni economiche dei contratti di locazione riducendo, anche solo temporaneamente, i canoni di locazione. Ai sensi dell'art. 3, comma 6 bis, del d.l. n. 6/2020, è consentito soltanto valutare se sia imputabile o meno al conduttore il mancato pagamento dei canoni locatizi una volta che questi venga convenuto in giudizio dal locatore per il pagamento o per la convalida di una intimazione di sfratto per morosità.

Il convenuto, al fine di ottenere la riduzione dei canoni di locazione, si richiamava anche alla buona fede, la quale, oltre ad operare in sede di interpretazione ed esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375 c.c.), opera altresì quale fonte d'integrazione della stessa regolamentazione contrattuale, secondo il dettato dell'art. 1374 c.c.

In realtà, la stessa giurisprudenza, pur riconoscendo che l'art. 1374 c.c. consente di ritenere i principi di buona fede e correttezza fonti di integrazione della regolamentazione contrattuale, ne circoscrive la portata alle clausole contrattuali ambigue, ai testi contrattuali lacunosi o ai casi non disciplinati dalle parti al momento della stipulazione del contratto, ricercando quella che sarebbe stata la loro volontà qualora si fossero prospettate la situazione che poi si è venuta a creare.

Il principio di buona fede va inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost.: le parti hanno il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, anche a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali, o di quanto stabilito da singole norme di legge. Tuttavia, per il giudice romano, nell'ipotesi in esame - nella quale la ricorrente chiede di imporre al locatore una decurtazione rilevante del canone locatizio - non è possibile osservare questo principio perché comporterebbe per una parte un sacrificio sicuramente apprezzabile.

Il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite. Certo, quella che ci troviamo ad affrontare in seguito al diffondersi dell'emergenza pandemiologica da Covid-19 è una situazione alquanto particolare. Nella prassi, si è verificato che in molteplici casi i locatori hanno provveduto a accordare ai conduttori dilazioni dei termini di pagamento, giungendo anche a riduzioni dei canoni locatizi per i periodi di chiusura governativa imposta. I problemi ovviamente non sussistono nei casi in cui le parti riescono a gestire in modo concordato le situazioni patologiche. La questione, invece, sorge e si complica quando manca un accordo tra i contraenti. D'altronde - si osserva - il conduttore, anche se non riesce a trarre tutte le utilità previste, continua comunque ad essere nella disponibilità del bene e il locatore, dal canto suo, a seguito della pandemia non recupera certo la disponibilità dell'immobile. Dunque, porre sistematicamente in capo ai locatori un obbligo di rinegoziare il canone dovuto dai conduttori, finirebbe per attribuire a questi ultimi una posizione di vantaggio eccessiva, che non tiene conto dei benefici che essi hanno ricevuto dalla normativa emergenziale.

Allo stato attuale, non esiste nel nostro ordinamento un obbligo di rinegoziazione dei contratti divenuti svantaggiosi per una delle parti - anche se in conseguenza di eventi eccezionali e imprevedibili che abbiano comportato uno squilibrio eccessivo delle prestazioni - e un potere del giudice di modificare i regolamenti contrattuali liberamente concordati dalle parti nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, al di fuori delle specifiche ipotesi espressamente contemplate dalla legge. È stato, però, previsto dall'art. 6 novies dell'allegato alla l. 21 maggio 2021 n. 69 - che ha convertito, con modificazioni, il d.l. n. 41/2021 (c.d. Decreto rilancio), recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da Covid-19 - un percorso regolato di condivisione dell'impatto economico derivante dall'emergenza epidemiologica per la ricontrattazione delle locazioni commerciali, a tutela delle imprese e delle controparti locatrici, nei casi in cui il locatario abbia subito una significativa diminuzione del volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie come dalla crisi economica di taluni comparti. Il legislatore prevede che le parti (locatario e locatore) sono tenute a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione, pur non contemplando - ahimè - alcuna sanzione o conseguenza nell'ipotesi di mancata collaborazione o mancato raggiungimento di un accordo.

Riferimenti

Balbi, voce Provvedimenti d'urgenza, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, 80;

Toschi Vespasiani - Materassi, Rinegoziazione del contratto di locazione commerciale a causa del Covid-19: è applicazione del principio di buona fede, in Contratti, 2022, fasc. 1, 53;

Matera, Covid-19 e locazioni commerciali: tra rinegoziazione, intervento del giudice sul contratto e inutilizzabilità della prestazione, in Nuova giur. civ. comm., 2021, fasc. 4, 991;

Carapezza Figlia, Locazioni commerciali e sopravvenienze da Covid-19. Riflessioni a margine delle prime decisioni giurisprudenziali, in Danno e resp., 2020, 698;

Cipriani, L'impatto del lockdown da COVID-19 sui contratti, in Riv. dir. bancario, 2020, fasc. 4, 651.

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