Diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione: decorrenza del termine di prescrizione

28 Giugno 2022

La Cassazione ha chiarito che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione decorre dalla scoperta del rapporto causale tra trasfusione e malattia.
Massima

“Ciò che rileva per il termine prescrizionale ex art. 2935 c.c., in tema di risarcimento del danno da contagio da HCV derivate da emotrasfusione, è il momento in cui l'emotrasfuso ha avuto consapevolezza della natura dell'infezione e della causalità con la trasfusione o, comunque, ha avuto a disposizione elementi sufficienti che gli avrebbero consentito, usando l'ordinaria diligenza, di individuare il nesso causale ”.

Il caso

Nel caso di specie, nel gennaio 2002, un uomo conveniva in giudizio il Ministero della Salute ed il Commissario Liquidatore della locale, soppressa, USL per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti a causa di infezione da HCV che assumeva di avere contratto a seguito di trasfusione effettuata nel novembre 1981, in occasione di un suo ricovero.

Poichè la malattia, all'epoca, non era ancora stata individuata come manifestazione autonoma rispetto all'epatite A ed all'epatite B, veniva formulata diagnosi di epatopatia nel 1983, non lasciando dubbi in ordine al fatto che la patologia riscontrata fosse grave, in quanto avente natura di epatite cronica.

Dopo la diagnosi di epatite del 1983, il paziente ometteva di sottoporsi ad ulteriori, successivi, accertamenti clinici sino al 1997/98 (anno in cui ricevette la diagnosi di epatite HCV correlata di verosimile derivazione trasfusionale).

Il lungo periodo tra il 1983 ed il 1997/98 è connotato da silenzio diagnostico, durante il quale il ricorrente avrebbe omesso sia di farsi visitare dal medico curante, sia di effettuare la ripetizione di esami ed accertamenti diagnostici, con ciò trascurando di tenere sotto osservazione e controllo l'evoluzione della malattia.

In primo grado, tutti i convenuti contestavano la domanda attorea ed eccepivano la prescrizione del diritto azionato dall'attore; la Regione chiamava, a sua volta, in causa, per l'eventuale manleva, le proprie Compagnie assicuratrici, le quali si costituivano contestando l'operatività della garanzia assicurativa ed eccependo, anch'esse, l'intervenuta prescrizione del diritto azionato, e, comunque, l'infondatezza della pretesa attorea.

Il Tribunale pronunciava sentenza non definitiva con cui affermava la responsabilità della Regione (escludendo, invece, quella del Commissario Liquidatore della USL e del Ministero della Salute), e dichiarava le Compagnie assicuratrici tenute a manlevare la Regione nei limiti del massimale di polizza e nella misura corrispondente alla rispettiva quota di coassicurazione; con successiva sentenza definitiva, il Tribunale liquidava il danno e condannava la Regione al pagamento del relativo importo (maggiorato degli interessi e decurtato delle somme percepite dall'attore a titolo di indennizzo secondo il disposto di cui alla legge n. 210/1992), nonché le terze chiamate in causa a tenere indenne la Regione e, altresì, a rimborsare alla stessa le spese processuali del grado.

Le predette sentenze venivano impugnate da tutte le parti parzialmente o totalmente soccombenti e, riuniti gli appelli (principali ed incidentali) proposti, la Corte d'Appello, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava la domanda del danneggiato, compensando fra tutte le parti le spese dei gradi di merito. La Corte di secondo grado motivava il rigetto sostenendo che, a fronte del periodo di colpevole inerzia durante il quale il paziente aveva omesso di sottoporsi ad ulteriori controlli, il fatto che solo nel 1997, con conferma nel 1998, avesse ricevuto una diagnosi di verosimile derivazione trasfusionale della propria malattia, non poteva costituire una circostanza utilmente spendibile ai fini dell'individuazione del dies a quo del termine prescrizionale, giacché, qualora lo stesso si fosse sottoposto a controlli e cure adeguati, avrebbe potuto avere contezza della rapportabilità causale della propria patologia alla trasfusione del 1981 già nel 1989 (anno in cui divenne disponibile il test per individuare il virus dell'HCV).

Tanto premesso, rilevato che il primo atto interruttivo nei confronti dei soggetti chiamati a rispondere del danno risaliva al gennaio 2002, risultava irrimediabilmente decorso il termine prescrizionale della pretesa creditoria, ciò sia quanto al termine decennale relativo alla responsabilità contrattuale sia, a maggior ragione, in riferimento al termine quinquennale correlato alla responsabilità extracontrattuale, nell'ambito della quale suole iscriversi la responsabilità da contagio a seguito di emotrasfusione.

La causa giungeva in Cassazione.

La questione

Nella sentenza qui esaminata, la Suprema Corte affronta la tematica del danno patito in seguito ad infezione da HCV dovuta a emotrasfusione, e la conseguente richiesta di risarcimento danni: nello specifico, il punto critico esaminato riguarda l'individuazione del momento dal quale far decorrere il termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione risarcitoria.

Le soluzioni giuridiche

In Cassazione, il ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell'art. 2935 c.c., in relazione all'individuazione del criterio interpretativo in base al quale determinare il dies a quo del termine prescrizionale della domanda di risarcimento danni proposta dal ricorrente. In particolare, richiamato il principio secondo cui, in caso di contagio riferibile a emotrasfusione, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui la malattia venga percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo (o possa essere percepita tale usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche), il ricorrente deduceva che incorre in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell'art. 2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita, o comunque conseguibile, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione. Sarebbe, dunque, stato evidente l'errore interpretativo commesso dalla locale Corte d'Appello, la quale, anziché far decorrere la prescrizione dal 1997, ossia momento in cui il ricorrente era venuto a conoscenza del contagio da HCV e della riferibilità dello stesso alla trasfusione del 1981, ha, invece, ritenuto che il silenzio diagnostico durato anni fosse colpevolmente ascrivibile all'attore e dovesse, pertanto, farsi retroagire il dies a quo al 1983, o, al più tardi, al 1989.

La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso.

Richiamando il principio secondo cui, in caso di contagio riferibile a emotrasfusione, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui la malattia venga percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento della Struttura ospedaliera (o possa essere percepita usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto delle conoscenze scientifiche), la Suprema Corte evidenzia, infatti, che il termine ultimo per la decorrenza della prescrizione sia quello della richiesta di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1992 (“Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”). Ciò nonostante, spiega la Corte Suprema, il giudice può effettivamente indagare sull'esatto momento in cui il malato è venuto a conoscenza del rapporto causale tra la trasfusione e la malattia, potendo, dunque, collocare l'effettiva conoscenza della rapportabilità causale della malattia in un momento diverso, tenendo conto delle informazioni in possesso del danneggiato e della diffusione delle conoscenze scientifiche (tra le tante, Cass. n. 27757/2017). Tale accertamento può essere compiuto anche attraverso presunzioni semplici: in questo caso, il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto dovrà essere circostanza obiettivamente certa e non già mera ipotesi o congettura (così, anche Cass. n. 17421/2019).

Incorre, quindi, in errore il giudice che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione (Cass. n. 13745/2018; conforme Cass. n. 24164/2019). Ciò che rileva per il decorso del termine prescrizionale ex art. 2935 c.c. (per il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere), è il momento in cui l'emotrasfuso ha avuto consapevolezza della natura dell'infezione e della causalità con la trasfusione o, comunque, ha avuto a disposizione elementi sufficienti che gli avrebbero consentito, usando l'ordinaria diligenza, di individuare il nesso causale.

All'opposto, spiega la Cassazione, la Corte di merito non ha tenuto conto delle informazioni di cui il paziente era effettivamente in possesso prima degli accertamenti diagnostici eseguiti negli anni 1997 e 1998, per valutare se le stesse fossero idonee a consentirgli di ricollegare la malattia all'emotrasfusione, ma ha ragionato in termini di possibilità che lo stesso avrebbe avuto di acquisire prima (già nel 1983 o, comunque, nel 1989) la consapevolezza della probabile origine trasfusionale della propria epatopatia (ciò sarebbe potuto avvenire, secondo l'assunto della sentenza, ricorrendo alla consulenza del medico curante, monitorando e tenendo sotto osservazione l'evoluzione dell'epatopatia).

In tal modo, la Corte d'Appello, anziché tener conto della conoscenza dell'infezione virale correlabile all'emotrasfusione (o della sua conoscibilità, sulla base dei dati di cui si poteva concretamente disporre), ha valorizzato, in modo decisivo, la diversa circostanza per la quale l'attore non avesse tenuto condotte che, presumibilmente, gli avrebbero consentito di acquisire prima la conoscenza della natura e della causa della propria patologia epatica; con ciò, determinando uno "sviamento" dall'oggetto dell'indagine che il giudice del merito è chiamato a compiere, giacché la Corte d'appello avrebbe dovuto accertare quando, in concreto, il paziente avesse avuto consapevolezza (o, comunque, effettiva conoscibilità) della possibile riconducibilità dell'epatite cronica alla trasfusione, e non di accertare se lo stesso avesse diligentemente monitorato l'evoluzione malattia, identificando, peraltro, il silenzio diagnostico - protrattosi dal 1983 al 1997 - quale colpevole inerzia non utilmente spendibile ai fini della decorrenza del dies a quo della prescrizione.

Invero, conclude la Suprema Corte, ciò che rileva ai fini dell'art. 2935 c.c., è il momento in cui l'emotrasfuso ha avuto consapevolezza della natura dell'infezione e della sua correlabilità alla trasfusione o, comunque, ha avuto a disposizione elementi che gli avrebbero consentito, con l'ordinaria diligenza, di individuare la possibile origine della patologia; non possono, invece, rilevare - nell'ambito di un accertamento volto ad individuare il momento in cui il danneggiato avrebbe potuto concretamente attivarsi per far valere il suo diritto - circostanze e valutazioni come quelle indicate dalla Corte d'appello, attinenti a condotte che, in via del tutto e meramente ipotetica, avrebbero consentito di acquisire, in anticipo, la conoscibilità della natura della patologia e della sua possibile origine.

Osservazioni

La Suprema Corte è tornata ad affrontare il tema dell'individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, ex artt. 2935 e 2947 c.c., del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione.

La questione esaminata riguarda la possibilità che il giudice, attraverso elementi presuntivi, possa retrodatare la decorrenza del termine prescrizionale rispetto all'effettiva conoscenza che il malato ha avuto del rapporto causale tra la trasfusione e la malattia.

Da un lato, infatti, a norma degli artt. 2935 e 2947 c.c., il dies a quo è da individuarsi, al più tardi, al momento della presentazione della domanda di indennizzo, poiché in tale momento si ritiene possa collocarsi la consapevolezza del malato in ordine al rapporto causale tra la malattia e le trasfusioni; dall'altro, ciò non esclude la possibilità di fissare l'effettiva conoscenza della malattia ad un momento antecedente, tenendo conto delle informazioni in possesso del danneggiato e della diffusione delle conoscenze, e, conseguentemente, di individuare un dies a quo, utile al calcolo del decorso della prescrizione, antecedente alla presentazione della domanda di indennizzo.

La Corte di cassazione, nell'ordinanza in commento, individua, inoltre, i mezzi a disposizione dell'interprete per individuare la decorrenza del termine di prescrizione ad un momento antecedente a quello della richiesta di indennizzo; nello specifico, ruolo importante è assunto dalle presunzioni e da tutte quelle informazioni che, in concreto, risultino idonee a provare l'effettiva conoscenza, o l'astratta conoscibilità, in capo al malato, del rapporto causale tra la trasfusione e la malattia.

La decisione si segnala, dunque, per due aspetti riguardanti le modalità di individuazione di tale momento.
Da un lato, si riconosce rilevanza alla data di presentazione della domanda di indennizzo ex legge n. 210/1992, evidenziando, tuttavia, la non esclusività tassativa di tale riferimento, riconoscendosi al giudice la possibilità di datare, tramite un accertamento fattuale sostenuto da adeguata motivazione, l'acquisizione di tale consapevolezza anche in un momento anteriore. A tal fine, il giudice potrà avvalersi anche della prova per presunzioni, al fine di accertare che il danneggiato era a conoscenza (o comunque che poteva acquisire tale conoscenza con la diligenza ex art. 1176 c.c.) sia di aver contratto una malattia, sia che la stessa fosse eziologicamente collegata alla trasfusione.

Elemento essenziale, tuttavia, è che le premesse fattuali delle presunzioni siano assistite da oggettiva certezza, onde evitare che, al contrario, ove si tratti di circostanza priva di oggettivo riscontro (rimanendo su un piano, quindi, meramente ipotetico), l'accertamento finisca per violare il divieto espresso dal noto brocardo praesumptum de presumpto non admittitur.

Per altro verso, al fine di evitare la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2935 c.c., si afferma che il giudice di merito, per individuare il momento di effettiva decorrenza del termine di prescrizione, deve necessariamente accertare, in relazione a quello che si intenda quale dies a quo, quando il danneggiato sia entrato in possesso di informazioni ed elementi concreti, effettivamente idonei a fargli comprendere che la propria situazione patologica sia eziologicamente riconducibile alla trasfusione subita.

Il monito di questa ordinanza, in definitiva, è a non incorrere nell'errore di fondare l'accertamento in parola sulla base di ragionamenti meramente possibilistici o ipotetici, poiché, in tal caso, l'indagine del giudice di merito si allontanerebbe dal suo doveroso ed irrinunciabile oggetto: l'individuazione del momento in cui il danneggiato ha potuto, obiettivamente, rendersi conto (sempre con la diligenza di cui all'art. 1176, comma 1, c.c.) della natura dell'infezione e della sua potenziale origine.

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