Il rimedio alla notificazione tentata ma «non andata a buon fine»
18 Ottobre 2017
Viene qui esaminata un'ipotesi, frequentissima nella pratica, quella della notificazione semplicemente tentata e non andata a buon fine, anzitutto — questo il caso più comune — per essere il notificando, sia esso la parte personalmente oppure il suo difensore, sloggiato dal luogo presso cui la notificazione è stata indirizzata. La notificazione non andata a buon fine è notificazione inesistente (non giuridicamente inesistente, per totale difformità dell'atto dal paradigma legale, ma materialmente inesistente), per non essersi affatto completato il procedimento notificatorio (Cass. civ., 26 marzo 2010, n. 7358; Cass. civ., 21 giugno 2007, n. 14487; Cass. civ., 29 maggio 1997, n. 4746), con conseguente sua insanabilità attraverso la rinnovazione dell'atto: alla notificazione non andata a buon fine, come tale inesistente, cioè, non si applica il congegno della rinnovazione della notificazione nulla, dettato dall'art. 291 c.p.c.. Il fenomeno ha assunto un rilievo sia pratico che concettuale sempre maggiore successivamente all'affermarsi del noto principio della separazione tra i due momenti perfezionativi della notificazione per notificante e notificato: per un verso, la riconosciuta tempestività della notificazione, sol perché l'atto da notificare è affidato all'ufficiale giudiziario all'ultimo momento utile (sebbene sia ormai certo che la notificazione non potrà completarsi entro il termine al fine previsto), ha indotto buona parte della classe forense a prendersi cura a ridosso della scadenza del termine delle notificazioni da effettuare, sì da trovarsi non di rado dinanzi alla sorpresa di eventi pur del tutto ordinari, qual'è il trasferimento del destinatario da un luogo ad un altro; per altro verso, lo stesso principio ha attribuito ad un semplice segmento del procedimento di notificazione, qual'è la consegna all'ufficiale giudiziario, un ruolo che esso nel passato non aveva, non assumendo i singoli atti del procedimento di notificazione alcuna autonoma rilevanza. L'aspetto più scottante, naturalmente, è quello delle impugnazioni, per l'ipotesi che l'atto venga tempestivamente consegnato all'ufficiale giudiziario ma la notificazione non attinga il destinatario, sicché l'ufficiale giudiziario restituisca l'atto non notificato quando il termine è ormai spirato: da un lato, in particolare, vi è il principio della insuperabile perentorietà dei termini per l'impugnazione, i quali non possono essere prorogati, sospesi o interrotti (tra le tante Cass. civ., 26 luglio 2006, n. 17002); dall'altro vi è il principio, dal quale la stessa regola della scissione dei due momenti della notificazione si è generata, secondo cui la parte non può subire conseguenze sfavorevoli determinate da condotte involontarie. La soluzione della riattivazione
La giurisprudenza ha tentato di armonizzare i due corni del dilemma attraverso la valorizzazione della non imputabilità del comportamento del notificante nei casi in cui la notifica non andata a buon fine sia riconducibile al caso fortuito o alla forza maggiore. Il modello su cui gli indirizzi giurisprudenziali formatisi in proposito poggiano è cioè quello della rimessione in termini, attraverso la verifica caso per caso se l'omessa notifica sia o meno da imputare al notificante: rimessione in termini ormai prevista in via generale dall'art. 153 c.p.c., ma che la Suprema Corte reputa applicabile ad ogni segmento del processo già sulla base del vecchio art. 184-bis c.p.c. (Cass. civ., 29 luglio 2010, n. 17704; Cass. civ., 17 giugno 2010, n. 14627). Regole operative
Ciò detto, l'indicazione delle regole pratiche da applicare non è stata negli ultimi anni univoca. Talora è stato affermato che la riattivazione del procedimento di notificazione va preceduta da uno scrutinio, ad opera del giudice, della non imputabilità dell'omessa notifica, e quindi di una preventiva autorizzazione giudiziale (Cass. civ., Sez. Un., n. 3818 e n. 3960/2009; Cass. civ., 17 dicembre 2015, n. 25339; Cass. civ., 5 luglio 2012, n. 11294; Cass. civ., 29 ottobre 2010, n. 22245). Altre volte si è sostenuto che la parte, una volta vistosi restituito l'atto dall'ufficiale giudiziario, deve in un termine ragionevole riattivare il procedimento di notificazione di propria iniziativa, senza alcun intervento da parte del giudice (Cass. civ., 25 settembre 2015, n. 19060; Cass. civ., 11 febbraio 2015, n. 2645; Cass. civ., 13 febbraio 2014, n. 3356; Cass. civ., 11 settembre 2013, n. 20830; Cass. civ., 26 marzo 2012, n. 4842; Cass. civ., 30 settembre 2011, n. 19986; Cass. civ., 13 ottobre 2010, n. 21154; Cass. civ., 22 marzo 2010, n. 6486; Cass. civ., 15 gennaio 2010, n. 581; Cass. civ., Sez. Un., 24 luglio 2009, n. 17352). Resta inteso che, come si ripeterà, secondo quest'ultimo indirizzo, la riattivazione è pur sempre subordinata al controllo, non ex ante ma ex post,sulla sussistenza della non imputabilità del mancato completamento della notificazione originariamente tentata. La soluzione della riattivazione unilaterale
La seconda soluzione (quella della riattivazione unilaterale senza preventiva autorizzazione) è ormai definitivamente prevalsa (Cass. civ., Sez. Un., 15 luglio 2016, n. 14594). Volendo sintetizzare, la chiave di volta di questa costruzione sta in ciò, che il procedimento di notificazione riattivato direttamente ad iniziativa del notificante è un procedimento unico, sicché è fisiologico che la iniziale consegna all'ufficiale giudiziario vada ad allacciarsi alla positiva conclusione della notificazione, una volta verificata la dislocazione del notificando: e la soluzione della riattivazione unilaterale è da preferire, vuoi perché la sub-procedura della preventiva autorizzazione allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, vuoi perché non sarebbe neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata. Rimane dunque salva, come si diceva, la valutazione ex post circa la imputabilità o meno al richiedente della erroneità delle iniziali indicazioni, in quanto la giurisprudenza sulla dissociazione dei tempi della notificazione per il richiedente e il destinatario è basata sull'assunto che a detrimento del primo non debbano andare aspetti del procedimento che non siano sotto il suo controllo. Si è dunque esclusa l'operatività del congegno della riattivazione nel caso in cui la notificazione non era andata a buon fine per il trasferimento dello studio del difensore di controparte, destinatario della notificazione, trasferimento agevolmente accertabile dalla consultazione dell'albo professionale (Cass. civ., 6 settembre 2012, n. 14934), ovvero nel caso in cui il notificante aveva fornito fin dall'origine un'erronea indicazione dell'indirizzo (Cass. civ., Sez. Un., 30 marzo 2010, n. 7607). Il mancato compimento della notificazione è stato ritenuto altresì imputabile qualora, non essendo accertabile il nuovo indirizzo del difensore, nei cui confronti effettuare la notificazione, il notificante non aveva proceduto alla notificazione personale alla parte ex art. 137 c.p.c., secondo il criterio sussidiario di cui all'art. 330, comma 3, c.p.c. (Cass. civ., 21 febbraio 2012, n. 2481; Cass. civ., 19 giugno 2009, n. 14309). Al contrario, il mancato perfezionamento della notificazione è stato ritenuto incolpevole per il fatto che il difensore di controparte, destinatario dell'atto, pur avendo informalmente comunicato il proprio trasferimento, aveva poi notificato la sentenza apponendovi un timbro con l'indicazione del vecchio indirizzo (Cass. civ., 26 marzo 2012, n. 4842; per il caso che il difensore domiciliatario non abbia dichiarato il proprio trasferimento al momento della notificazione della sentenza, v. Cass. civ., 30 settembre 2011, n. 19986). Il termine per la riattivazione
La riattivazione del procedimento di notificazione deve avvenire entro un tempo «ragionevole», da scrutinarsi, secondo la giurisprudenza meno recente, caso per caso in considerazione dei concreti aspetti della vicenda. In tal senso è stato affermato che, nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest'ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l'onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass. civ., Sez. Un., 24 luglio 2009, n. 17352). Ciò significa che l'incolpevole fallimento della notificazione originariamente tentata può ritorcersi contro il notificante qualora la riattivazione del procedimento di notificazione — ed in altri termini l'acquisizione delle informazioni circa la localizzazione del destinatario e la susseguente istanza all'ufficiale giudiziario di riprendere il procedimento — non sia adeguatamente celere. Ad esempio la riattivazione in un termine ragionevole è stata esclusa in un caso in cui il ricorrente aveva atteso quasi due mesi per effettuare la seconda richiesta di notifica, peraltro deducendo, ma non documentando, che l'iniziale errata indicazione di domicilio era dovuta alla mancata tempestiva comunicazione da parte del difensore all'Ordine professionale (Cass. civ., 13 ottobre 2010, n. 21154). Sull'estensione del tempo «ragionevole» entro cui il procedimento di notificazione va riattivato si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite, le quali hanno affermato che la riattivazione va effettuata in un termine pari alla metà del termine di cui all'art. 325 c.p.c., e cioè 15 giorni, salvo il caso della notificazione del ricorso per cassazione, da riattivare entro 30 giorni (Cass. civ., Sez. Un., 15 luglio 2016, n. 14594; nello stesso senso da ult. Cass. civ., 8 marzo 2017, n. 5974). Non si chieda il lettore perché: la risposta (una risposta appagante) non c'è. Dunque, come diceva il sommo poeta, state contenta umana gente al quia, che se potuto aveste intender tutto, eccetera eccetera. La riattivazione va fatta entro 15 giorni, ovvero in 30 per la Cassazione, punto e basta. Ciò che va tuttavia osservato è che anche questo termine, di creazione pretoria, conserva un margine di flessibilità. Si legge infatti nella pronuncia delle Sezioni Unite, in riferimento ai termini di cui all'art. 325 c.p.c., che, «se questi termini sono ritenuti congrui dal legislatore per svolgere un ben più complesso e impegnativo insieme di attività necessario per concepire, redigere e notificare un atto di impugnazione a decorrere dal momento in cui si è stato pubblicato il provvedimento da impugnare, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo alla soluzione dei soli problemi derivanti da difficoltà nella notifica, non possa andare oltre la metà degli stessi, salvo una rigorosa prova in senso contrario (ad esempio, relativa a difficoltà del tutto particolari nel reperire l'indirizzo del nuovo studio)». Ora, una prima questione è: da quando decorre questo termine di 15 o 30 giorni? Direi da quando l'ufficiale giudiziario restituisce l'atto non notificato, e non dalla data della relata negativa. Dopodiché, dunque, se il notificante riesce a stare nei 15 o 30 giorni, e cioè riesce a riattivare il procedimento entro tali termini, in buona sostanza passando all'ufficiale giudiziario il nuovo indirizzo del notificando, nulla quaestio. E tuttavia una precisazione su un aspetto pratico occorre. Fin tanto che si discorreva di riattivazione entro un termine genericamente «ragionevole», non sembra occorresse documentare l'esatto istante in cui la riattivazione del procedimento di notificazione era stata effettuata. Oggi che si tratta di osservare un termine a giorni, secondo un'impostazione che richiama l'applicabilità degli artt. 152 ss. c.p.c., il difensore si trova dinanzi all'esigenza di documentare l'avvenuta riattivazione, che però non corrisponde ad uno snodo tipico del procedimento notificatorio (il che, per la verità, è vero anche per la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, sulla quale è edificata tutta l'impalcatura della scissione dei momenti perfezionativi della notificazione) e di cui non pare rimanga traccia, anche sul piano della prassi, nella relata di notificazione. Non sono questioni sulle quali un consigliere della Corte di Cassazione abbia particolare esperienza ed autorità ad interloquire: io suggerirei all'avvocato di farsi mettere dall'ufficiale giudiziario un timbro datario e una firma al momento della consegna dell'indirizzo giusto. Se il notificante non riesce a stare nei 15 o 30 giorni, deve allegare, e se del caso provare (dando, dice la Suprema Corte, una «rigorosa prova»), le circostanze che gli hanno impedito di osservare il termine. Quando deve farlo? Come deve farlo? Anzitutto, direi, deve essere posto in condizioni di farlo: e cioè non è pensabile che, a fronte, ad esempio, di una riattivazione della notificazione di un atto d'appello effettuata poniamo al sedicesimo giorno, il giudice pronunci la sentenza dichiarando inammissibile l'appello senza interrogare l'appellante su che cosa è successo e perché ha sforato il termine. La verifica al riguardo, poi, dovrà avvenire alla prima udienza, in occasione della quale riterrei che il notificante debba farsi trovare pronto a fornire le giustificazioni e prove eventualmente richiestegli. Può infine darsi che la riattivazione unilaterale del procedimento di notificazione non sia possibile (si pensi, per esempio, alla necessità di ottenere la fissazione di una nuova udienza) ed occorra il preventivo ricorso al giudice. La notificazione non andata a buon fine nel rito del lavoro
Merita ancora soffermarsi sulla questione della notificazione inesistente o omessa del ricorso introduttivo del giudizio del lavoro. Secondo un primo indirizzo, il regime di sanatoria delle nullità formali afferenti l'atto introduttivo del giudizio e la sua notificazione (artt. 156, 162, 164 e 291 c.p.c.), trova applicazione anche nel rito del lavoro, in mancanza di specifica deroga e non ostando ragioni d'incompatibilità con le peculiarità strutturali di detto rito. Nelle cause di lavoro, pertanto, la nullità radicale od inesistenza giuridica della notificazione del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza, ovvero l'omissione della notificazione medesima, al pari della nullità, integrano vizi sanabili mediante rinnovazione disposta dal giudice, sia pur soltanto con effetto ex nunc, salvi restando i diritti quesiti (Cass. civ., 1 marzo 1988, n. 2166). Tale indirizzo, più volte ribadito con riguardo alla notificazione del ricorso in appello (Cass. civ., 5 giugno 1984, n. 3393; Cass. civ., 9 marzo 1985, n. 1926; Cass. civ., 4 aprile 1985, n. 2335; Cass. civ., 18 febbraio 1986, n. 969; Cass. civ., 24 febbraio 1986, n. 1145; Cass. civ., 4 febbraio 1987, n. 1096; Cass. civ., 20 marzo 1987, n. 2797; Cass. civ., 13 maggio 1987, n. 4420; Cass. civ., 21 ottobre 1987, n. 7770; Cass. civ., 15 novembre 1988, n. 6171; Cass. civ., 14 gennaio 1989, n. 148; Cass. civ., 2 dicembre 1990, n. 11816; Cass. civ., 13 gennaio 1994, n. 318; Cass. civ., 26 febbraio 1994, n. 1976), comportava l'inconveniente pratico che la rinnovazione potesse dover essere disposta, in caso di notificazione inesistente od omessa, per un numero di volte potenzialmente infinito, essendo ammissibile la reiterazione dell'ordine di rinnovazione (Cass. civ., 28 ottobre 1989, n. 4525). Si è dunque affermata la diversa opinione secondo cui, nelle controversie soggette al rito del lavoro, la proposizione dell'appello si perfeziona, ai sensi dell'art. 435 c.p.c., con il deposito, nei termini previsti dalla legge, del ricorso nella cancelleria del giudice ad quem, che impedisce ogni decadenza dall'impugnazione, con la conseguenza che ogni eventuale vizio o inesistenza giuridica o di fatto della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione non si comunica all'impugnazione (ormai perfezionatasi), ma impone al giudice che rilevi il vizio di indicarlo all'appellante ex art. 421, comma 1, c.p.c. e di assegnare allo stesso, previa fissazione di un'altra udienza di discussione, un termine, questo necessariamente perentorio, per provvedere a notificare il ricorso decreto (Cass. civ., 29 luglio 1996, n. 6841; Cass. civ., Sez. Un., 25 ottobre 1996, n. 9331; Cass. civ., 21 ottobre 1997, n. 10320; Cass. civ., 7 giugno 1999, n. 5585; Cass. civ., 17 ottobre 1998, n. 10295; Cass. civ., 28 gennaio 2000, n. 968; Cass. civ., 27 maggio 2000, n. 7013; Cass. civ., 21 luglio 2000, n. 9645; Cass. civ., 24 marzo 2001, n. 4291; Cass. civ., 17 luglio 2003, n. 11211). L'esattezza del principio è stata tuttavia ulteriormente posta in discussione dalla Suprema Corte, la quale ha nuovamente rimesso la questione alle Sezioni Unite, sollevando il quesito se il principio fosse compatibile con la costituzionalizzazione del principio di ragionevole durata del processo (Cass. civ., 3 ottobre 2007, n. 20721). Dall'ordinanza interlocutoria ricordata è infine scaturita l'affermazione secondo cui nel rito del lavoro l'appello, pur tempestivamente proposto nel termine di dieci giorni previsto dall'art. 435, comma 2, c.p.c., è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta, non essendo consentito al giudice, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost, di assegnare, ex art. 421 c.p.c., all'appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20604). Diverso il principio applicabile in tema di riassunzione del processo interrotto. In tema di riassunzione, il meccanismo per la riattivazione del rapporto processuale interrotto si realizza distinguendo il momento della rinnovata editio actionis da quello della vocatio in ius, sicché, una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria, il termine di sei mesi di cui all'art. 305 c.p.c. non ha alcun ruolo nella successiva notifica dell'atto volta a garantire il corretto ripristino del contraddittorio. Ne consegue che, ove la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza sia viziata od inesistente, l'assegnazione di un ulteriore termine da parte del giudice per la rinnovazione della notifica e il compimento del relativo adempimento prescindono dal rispetto delle indicazioni di cui all'art. 305 c.p.c. rispondendo alla sola necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius, senza che siano estensibili i principi applicabili per il ricorso in appello nel rito del lavoro e per il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo - che, alla stregua del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 comma 2,Cost., postulano che la notificazione avvenga nei termini di legge senza possibilità per il giudice di assegnare un termine per la rinnovazione - rispondendo la situazione ad una differente ratio legis (Cass. civ., 6 maggio 2011, n. 10016). Sappiamo già che, dinanzi ad una notificazione non andata a buon fine, ossia ad una notificazione inesistente, non può trovare applicazione l'istituto della rinnovazione della notificazione nulla ai sensi dell'art. 291 c.p.c.: in tale frangente il notificante, in generale, deve riattivare il procedimento di notificazione in un tempo ragionevole. Occorre ora chiedersi cosa accada in caso di notificazione non andata a buon fine che si innesti in un processo con pluralità di parti e, in particolare, in una situazione di litisconsorzio necessario: il quesito è se, il giudice debba in detto frangente applicare l'art. 331 c.p.c., secondo cui: «Se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l'udienza di comparizione». In un'occasione la Suprema Corte ha ritenuto che l'art. 331 c.p.c. riguardi l'integrazione del contraddittorio, ossia il caso che, in presenza di più litisconsorti necessari, l'appellante ne abbia citato solo alcuni; non riguarda, invece, il caso in cui li abbia citati tutti, ma solo alcune notificazioni siano andate a buon fine. È stato così affermato che: «L'art. 331 c.p.c., in virtù del quale il giudice deve ordinare d'ufficio l'integrazione del contraddittorio quando l'impugnazione della sentenza pronunciata in cause inscindibili o dipendenti non sia avvenuta nei confronti di tutte le parti, non si applica quando la parte impugnante abbia correttamente individuato tutti i contraddittori, ma poi riguardo ad uno di essi la notificazione sia stata omessa o sia inesistente ovvero non ne venga dimostrato il perfezionamento; pertanto, ove il ricorrente per cassazione ometta di depositare nei termini l'avviso di ricevimento della notificazione del ricorso effettuata a mezzo del servizio postale, non potendosi applicare in via analogica l'art. 331 c.p.c. per difetto della eadem ratio, ed alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost., l'impugnazione dev'essere dichiarata inammissibile, ferma restando la facoltà della parte interessata di invocare la rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c., previa la debita dimostrazione che l'omessa produzione del suddetto avviso di ricevimento non è dipesa da propria colpa» (Cass. civ., 10 novembre 2008, n. 26889). Insomma: secondo questa impostazione, in caso di litisconsorzio necessario, se una delle notificazioni dell'atto d'appello o del ricorso per cassazione non va a buon fine, l'impugnazione è in toto inammissibile, salvo che colui che impugna non abbia diritto alla rimessione in termini. Questa draconiana soluzione è stata in breve capovolta dalle Sezioni Unite, che hanno esteso l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. al caso della notificazione non andata a buon fine ad uno dei litisconsorti. È stato cioè affermato che: «Nel caso di cause inscindibili, qualora l'impugnazione risulti proposta nei confronti di tutti i legittimati passivi, nel senso che l'appellante (o il ricorrente) li abbia correttamente individuati e indicati come destinatari dell'impugnazione medesima, ma poi, in relazione ad uno o ad alcuni di essi, la notificazione sia rimasta comunque inefficace (omessa o inesistente), o non ne venga dimostrato il perfezionamento … deve trovare applicazione l'art. 331 c.p.c., in ossequio al principio del giusto processo in ordine alla regolare costituzione del contraddittorio ex art. 111 c.p.c., da ritenersi prevalente, di regola, rispetto al principio della ragionevole durata del processo, e pertanto il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio, e non può dichiarare inammissibile l'impugnazione» (Cass. civ., Sez. Un., 11 giugno 2010, n. 14124; Cass. civ., 15 aprile 2011, n. 8727; Cass. civ., 13 ottobre 2015, n.20501). |